Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22110 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. I, 13/10/2020, (ud. 18/09/2020, dep. 13/10/2020), n.22110

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13031/2015 proposto da:

Comune di Bari in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Viale Bruno Buozzi 51, presso lo studio

dell’avvocato Marcello Vernola e rappresentato e difeso

dall’avvocato Mario Spinelli, in forza di procura speciale allegata

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.D., elettivamente domiciliato in Roma, Via dei

Pontefici 3, presso lo studio dell’avvocato Nico Panio e

rappresentato e difeso dall’avvocato Raffaele Bia, in forza di

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 63/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 22/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/09/2020 dal Consigliere SCOTTI UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE;

uditi gli Avvocati C. CIPRIANI in sostituzione dell’Avv. SPINELLI e

N. PANIO in sostituzione dell’Avv. BIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale ZENO

IMMACOLATA che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine per

il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Comune di Bari ha agito dinanzi al Tribunale di Bari nei confronti dell’imprenditore edile C.D. per ottenere la sua condanna al pagamento di Lire 512.000.000 a titolo di penale, quantificata nella misura di Lire 100.000 al giorno per appartamento, per aver ultimato solo il 3/5/1986, e quindi in ritardo di 64 giorni rispetto alla data prevista del 31/12/1985, la costruzione di 80 alloggi da destinare agli sfrattati.

A sua volta, con separato giudizio, C.D. aveva chiesto la condanna del Comune di Bari al risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento del promissario acquirente a varie obbligazioni scaturenti dal contratto preliminare che obbligavano l’Ente locale a erogare, subito dopo la stipulazione e al momento dell’acquisita disponibilità della somma, l’acconto del 30% del prezzo pattuito, nonchè a stipulare il contratto definitivo, previo deposito da parte del promittente venditore della documentazione inerente la libertà degli immobili da vincoli, e a corrispondere il saldo del prezzo dovuto.

C.D. aveva inoltre chiesto il risarcimento del danno per il ritardo nella presa in consegna degli immobili da parte del Comune.

Con sentenza del 27/5/1997 il Tribunale di Bari ha respinto la domande del Comune di Bari e ha condannato l’Ente pubblico, in accoglimento delle domande del C., a pagargli la somma di Lire 780.000.000, oltre interessi e rivalutazione (di cui Lire 282.621.021 per la tardiva percezione dell’acconto di prezzo nel periodo 3/4/1986-19/3/1987; Lire 392.648.621 per la tardiva corresponsione del saldo prezzo per il periodo 10/8/1986-19/3/1987; L. 113.730.260 per spese di guardania per il periodo 1/5/1986-30/6/1987), ponendo a carico del Comune le spese di lite.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado hanno proposto appello in via principale il Comune di Bari e in via incidentale C.D..

La Corte di appello di Bari con sentenza del 26/10/2004 ha accolto il gravame principale, rigettando la domanda di risarcimento proposta dal C., a spese compensate.

3. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione in via principale dal C. e in via incidentale il Comune di Bari.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 22/9/2011 n. 19358, ha accolto i motivi dal secondo al sesto del ricorso principale del C., rigettato il primo, e il motivo di ricorso incidentale del Comune di Bari e ha cassato la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione.

4. Previa riassunzione ad opera del C., la Corte di appello di Bari con sentenza del 22/1/2015 ha rigettato l’appello principale del Comune e dichiarato inammissibile l’appello incidentale del C., condannando il Comune di Bari alla rifusione delle spese dei gradi di appello, cassazione e rinvio.

5. Avverso la predetta sentenza, notificata il 19/3/2015, con atto notificato il 15/5/2015 ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Bari, svolgendo sei motivi.

Con atto notificato il 22/6/2015 ha proposto controricorso C.D., chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Il Procuratore Generale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il Comune ricorrente denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 324,384,394,156 e 161 c.p.c. e art. 2909 c.c..

1.1. Il Comune di Bari rammenta che con la sentenza n. 19358/2001 la Corte di Cassazione, accogliendo il suo ricorso incidentale, aveva censurato l’errore di diritto commesso dalla Corte territoriale per aver respinto la richiesta di condanna del C. al pagamento della penale per il ritardo nella ultimazione dei lavori, ritenendo che il termine indicato nel preliminare non avesse carattere essenziale e attribuendo erroneamente a tale rilievo carattere ostativo all’attribuzione della penale per la sua violazione.

La Corte del rinvio, in luogo dell’indebita riesumazione del tema fuorviante del “termine impossibile”, avrebbe dovuto applicare il predetto principio di diritto: ciò avrebbe comportato automaticamente la condanna del C. al pagamento della penale per il ritardo nell’ultimazione degli appartamenti, a prescindere dall’essenzialità o meno del termine.

1.2. Per altro verso, prosegue il ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe potuto ritenere inammissibile per difetto di specificità l’appello incidentale del Comune, in quanto sulla ammissibilità di tale gravame era sceso il giudicato implicito per effetto della sentenza di legittimità, che aveva evidentemente ritenuto ammissibile e fondata tale impugnazione.

In ogni caso, l’appello era sorretto da motivo specifico volto a criticare l’interpretazione offerta dal Tribunale all’espressione “ultimare la costruzione dei suddetti immobili entro il 31/12/1994 (rectius: 1985)”.

1.3. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, e n. 4, il ricorrente denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 324,384,394,156 e 161 c.p.c. e art. 2909 c.c..

1.4. Secondo il ricorrente la sentenza impugnata aveva violato il giudicato, implicito, contenuto nella precedente sentenza della Corte di appello n. 414/2005 che, andando di contrario avviso rispetto al Tribunale (che aveva invece ritenuto che i lavori appaltati fossero stati completati dall’impresa alla data prevista del 31/12/1985), aveva accertato che i lavori erano stati ultimati dall’impresa C. oltre il termine stabilito nel contratto preliminare e aveva ritenuto che il ritardo non costituisse inadempimento sol perchè il termine pattuito non era essenziale; la sentenza di secondo grado che non era stata impugnata sul punto del predetto implicito accertamento da parte del C..

1.5. I due motivi sono strettamente connessi e possono essere esaminati congiuntamente.

1.6. Il Giudice di primo grado (sentenza del Tribunale di Bari del 15/1/2001) aveva ritenuto che la frase “ultimare la costruzione dei suddetti immobili entro il 31.12.1985” dovesse considerarsi riferita alle attività di pertinenza del costruttore, con riguardo agli appartamenti veri e propri, attività sicuramente completata alla predetta data, perchè, diversamente ragionando, l’impegno di ultimazione dei lavori entro un solo giorno, corroborato da gravosa penale, sarebbe stato del tutto incomprensibile e insensato (pag.9); il Tribunale aveva anche aggiunto una argomentazione ad abundantiam (pag. 10) sostenendo la nullità della pattuizione, peraltro non suscettibile di ripercuotersi sull’intero contratto, se interpretata come proposto dal Comune, perchè impositiva di un termine materialmente e tecnicamente impossibile; nelle pagine successive (pagg. 10-12) il Tribunale aveva infine argomentato sulla natura non essenziale del predetto termine, ritenuta pienamente compatibile con la previsione contrattuale di una penale per la sua violazione.

La Corte di appello di Bari con la sentenza del 27/4/2005, cassata da questa Corte, non si è espressa sulle critiche rivolte dal Comune di Bari alla principale ratio decidendi della sentenza del Tribunale, in ordine alla corretta interpretazione del contenuto della clausola contrattuale (e in particolare circa il riferimento dell’impegno assunto dal C. all’ultimazione delle opere di sua specifica pertinenza ovvero all’idoneità abitativa degli appartamenti), facendo tacita applicazione del principio della “ragion più liquida” per affermare (pag. 16-17) la natura non essenziale del termine e trarne l’errata conseguenza della non spettanza della penale per questa sola ragione.

1.7. Tale evidente errore di diritto – in cui non era incorso il Tribunale – è stato corretto con la sentenza n. 19358/2011 della Corte di Cassazione.

Tale decisione, se obbligava il giudice del rinvio a rispettare il principio dell’ammissibilità della condanna al pagamento della penale anche in caso di violazione di un termine non essenziale, non lo vincolava affatto all’interpretazione della clausola negoziale sostenuta dal Comune di Bari, che non era stata accolta dal Tribunale con decisione non sovvertita dalla Corte barese nella sentenza del 2005, che nell’esame del primo motivo di appello del Comune di Bari, si era soffermata solo sull’aspetto della non essenzialità del termine, ritenuto erroneamente preclusivo.

Ben poteva – e doveva – quindi la Corte del rinvio, nello scrutinare l’appello incidentale del Comune, esaminare la censura rivolta contro l’interpretazione della clausola negoziale accolta un principalità dal Tribunale, prima di passare alla valutazione circa le conseguenze della violazione del termine non essenziale e arrestarsi sull’affermazione che il C. con la clausola de qua si era limitato a impegnarsi a completare entro il 31/12/1985 solo le opere di sua esclusiva pertinenza.

1.8. Cade quindi nel vuoto la censura mossa dal ricorrente all’ulteriore e superflua motivazione addotta dalla Corte di appello circa l’inammissibilità del motivo di appello del Comune di Bari per vizio di non specificità, che era effettivamente preclusa dalla cassazione della sentenza di appello del 2005 per aver erroneamente risposto al motivo, considerato implicitamente ammissibile.

2. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 324,115,116,156 e 161 c.p.c. e art. 2909 c.c..

3.1. Il Tribunale aveva condannato il Comune per il ritardo nella stipula dell’atto definitivo perchè il Comune aveva adottato, senza colpa, solo il 6/2/1987 la delibera di autorizzazione alla stipula, divenuta esecutiva il 5/3/1987, dilatando i tempi per l’adozione in violazione dei doveri di correttezza e buona fede.

La Corte di appello aveva escluso tale profilo di responsabilità non ravvisando ritardo nella stipulazione rispetto alla data di esecutività dell’autorizzazione alla stipulazione e osservando che sino al rogito non risultava l’avvenuto rilascio del certificato di abitabilità.

Dopo la cassazione della sentenza per difetto di motivazione in relazione alla documentazione prodotta dal C., la Corte di appello, investita del rinvio, ha affermato apoditticamente che il Comune aveva colpevolmente ritardato l’emissione della delibera di autorizzazione alla stipula a far data dal 10/7/1986 (data di notifica della diffida ad adempiere del 27/6/1986), con statuizione priva di alcuna idonea motivazione, considerando sterili le critiche rivolte dal Comune appellante alla sentenza di primo grado.

3.2. Il Tribunale nella sentenza di primo grado ha ricordato che il contratto preliminare obbligava il Comune promissario acquirente a corrispondere immediatamente dopo il preliminare e avuta la disponibilità della somma, il 30% del prezzo e posticipava il saldo prezzo alla stipula del contratto definitivo, che doveva essere stipulato entro il termine di giorni trenta dalla data di esecutività del provvedimento di autorizzazione all’acquisto definitivo; poichè l’acconto del 30% non era stato versato in anticipazione e l’intero prezzo era stato corrisposto in occasione della stipulazione del contratto definitivo in data 19/3/1987 e poichè il Comune di Bari alla data della stipula del preliminare disponeva già della somma necessaria, essendo stato messo a sua disposizione con decreto del Ministro dei Lavori pubblici sin dal 26/7/1985 presso la Cassa Depositi e Prestiti il finanziamento di Lire 18.970.000.000, vi era stato ingiustificato ritardo nella corresponsione dell’anticipo del 30%.

Del pari, secondo il Tribunale, vi era stato ritardo nel pagamento del saldo perchè solo in data 6/2/1987 era stata adottata la Delib. n. 371/87 di autorizzazione alla stipulazione, divenuta esecutiva il 5/3/1987, pur essendo già stata rimessa dal C. sin dal 27/6/1986 tutta la documentazione occorrente.

Secondo il Tribunale sussisteva quindi la responsabilità del Comune per aver dilatato i tempi per l’adempimento degli obblighi assunti contrattualmente, così offrendo “mal data” cooperazione ex artt. 1175 e 1375 c.c.; il Tribunale non ha affatto parlato di inadempimento incolpevole del Comune, essendosi limitato ad affermare (pag.17) che la responsabilità risarcitoria del debitore non trovava il presupposto nel dolo o nella colpa, essendo sufficiente qualsiasi fatto anomalo rispetto ai principi di correttezza e buona fede fonte di pregiudizio per il creditore.

Quindi, a pagina 18, il Tribunale ha ritenuto che il ritardo del Comune dell’adozione della delibera di autorizzazione all’acquisto 8 definitivo pur in presenza di tutte le necessarie condizioni prodromiche integrasse violazione dell’obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede cagione di pregiudizio per la controparte.

3.3. La censura mossa è infondata perchè la Corte di appello in sede di rinvio, dopo la cassazione della sentenza di appello del 2005, si è limitata a confermare la valutazione del Tribunale, fondandosi sul fatto della disponibilità della somma in capo all’Amministrazione comunale sin dal 26/7/1985 – la qual cosa risultava documentalmente dalla stessa delibera consiliare del 6/2/1987 – poichè era del tutto irrilevante il materiale versamento ed era sufficiente l’avvenuto stanziamento delle risorse finanziarie in questione.

Nè appare possibile censurare la sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, poichè appare chiarissima la ragione dell’addebito mosso al Comune di Bari per aver ritardato la stipulazione del contratto definitivo, ritardando previamente la deliberazione dell’autorizzazione all’acquisto, pur sussistendo tutte le condizioni per porre in essere in successione entrambe le attività, avendo già conseguito la disponibilità delle risorse finanziarie.

Non è ravvisabile neppure l’ipotizzato contrasto fra la decisione di primo grado e quella di appello in sede di rinvio (peraltro ovviamente da risolversi in favore della seconda), che il ricorrente vorrebbe ravvisare per effetto del carattere incolpevole della condotta degli organi comunali, secondo il Tribunale, in rapporto alla natura colpevole del ritardo opinata dalla Corte di appello nella sentenza impugnata.

Come si è detto in precedenza, il Tribunale si era limitato ad affermare che la responsabilità del debitore prescindeva dal dolo o dalla colpa, senza per questo predicare nel caso concreto l’incolpevolezza del comportamento del Comune, salvo poi sostanzialmente ravvisare anche l’elemento soggettivo, in modo del tutto inequivocabile, con l’addebitare al Comune una condotta posta in essere in violazione dei doveri contrattuali di correttezza e buona fede.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 2697 e 2699 c.c., artt. 112,115,116 e 161 c.p.c..

4.1. Il Tribunale aveva ritenuto in re ipsa la prova dell’attività di guardania espletata dal C., alla luce dell’ottimo stato di conservazione degli immobili e la Corte di appello aveva riformato tale statuizione, ritenendo che il C. fosse venuto meno all’onere probatorio che lo gravava.

Secondo il ricorrente, le considerazioni esposte dalla Corte del rinvio in ordine alla ravvisata prova dell’espletamento della guardania da parte del C. (desunta dal telegramma 8/4/1987 dell’Assessore ERP e dal riconoscimento da parte del consulente tecnico di parte del Comune) non tenevano conto delle risultanze documentali dell’atto definitivo di compravendita del 19/3/1987 a rogito del Notaio D.M., da cui emergeva sia che il termine non era ancora scaduto al momento della stipula, sia che il possesso era stato trasferito contestualmente al rogito.

4.2. La sentenza sarebbe inoltre nulla per vizio motivazionale grave ex art. 132 c.p.c., n. 4, perchè la Corte territoriale aveva ignorato le articolate critiche svolte dal Comune di Bari con l’atto di appello alla sentenza di primo grado.

4.3. Quanto al primo profilo critico prospettato dal ricorrente, la Corte di appello in sede di rinvio ha ripreso le argomentazioni svolte dal Giudice di prime cure (e ribaltate dalla sentenza di appello cassata), basate sul fatto che il contratto preliminare del 30/12/1985 poneva a carico del Comune promissario acquirente l’onere di prender possesso degli immobili ultimati dal promittente venditore e che con telegramma dell’8/4/1987 l’assessore ERP del Comune di Bari aveva chiesto al C. di protrarre la guardania per il tempo necessario al Comune per predisporre le graduatorie di selezione degli assegnatari; inoltre lo stesso consulente di parte del Comune aveva riconosciuto il danno in favore del C..

4.4. Le doglianze del ricorrente sono chiaramente inammissibili perchè rivolte al merito della valutazione formulata dalla Corte territoriale, tra l’altro conforme a quella espressa dal giudice di prima cura.

E’ d’uopo ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi, riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.

Analogamente, la violazione dell’art. 116 c.p.c. è idonea a integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, denunciabile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova; detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcun piuttosto che a altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato “della valutazione delle prove” (Sez.3, 28/02/2017, n. 5009; Sez.2, 14/03/2018, n. 6231).

Infine, la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Sez. 6 – 3, n. 26769 del 23/10/2018, Rv. 650892 – 01; Sez. 2, n. 17474 del 04/07/2018, Rv. 649450 01; Sez. 3, n. 13395 del 29/05/2018, Rv. 649038 – 01).

Le argomentazioni del ricorrente attengono alla ricostruzione del fatto e non sono affatto concludenti; ben può infatti essere stato convenuto nel rogito notarile il trasferimento del possesso, sino a quel momento esercitato dal promittente venditore, e subito dopo il promissario acquirente, divenuto proprietario, ben può aver chiesto al venditore di esercitare ancora per un certo periodo la custodia dei beni venduti, come è stato in concreto ritenuto dalla Corte di appello fondandosi sul contenuto del telegramma in data 8/4/1987.

4.5. La pretesa nullità per difetto assoluto di motivazione non sussiste, poichè la Corte di appello ha chiaramente indicato le ragioni sulla base delle quali ha ritenuto che il Comune avesse richiesto e il C. espletato il servizio di guardania degli immobili poggetto del contratto, anche dopo il trasferimento di proprietà.

5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione fra le parti, sia con riferimento alla prova documentale contenuta nell’atto pubblico che il C. possedette gli immobili sino alla data del rogito (19/3/1987), sia con riferimento alle puntuali e precise contestazioni sollevate dal Comune di Bari circa l’espletamento protratto della guardania, mentre il consulente di parte si era limitato precauzionalmente a elaborare i conteggi del quantum dopo aver in principalità contestato l’an debeatur, a prescindere dall’irrilevanza di una sua eventuale ammissione, non vincolante per la parte.

Il motivo, dedicato allo stesso tema di quello precedente, è inammissibile.

La prima circostanza non è affatto decisiva, essendo pacifico che il C. possedette gli immobili fino alla data del rogito e ininfluente la prova documentale del trasferimento del possesso con il rogito, visto che la Corte di appello ha dato rilievo a un fatto successivo come prova della richiesta di continuazione della guardania da parte del C. (telegramma 8/4/1987).

Il secondo profilo di doglianza è del tutto generico; inoltre l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Sez. 6 – 1, n. 22397 del 06/09/2019, Rv. 655413 – 01; Sez. 1, n. 26305 del 18/10/2018, Rv. 651305 – 01; Sez. 1, n. 7983 del 04/04/2014, Rv. 630720 – 01).

Il terzo profilo di doglianza attiene a un fatto che la Corte di appello non ha affatto omesso di considerare e che comunque non è affatto decisivo, poichè la sentenza impugnata ha dato prioritario e di per sè sufficiente rilievo alla prova costituita dal telegramma dell’8/4/1987.

6. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza ex art. 161 c.p.c., in ragione dell’omessa pronuncia della Corte di appello circa l’entità dei danni addebitati al Comune dalla sentenza di primo grado per tardiva corresponsione del saldo del prezzo, oggetto di specifico motivo di appello del Comune.

6.1. Secondo il Comune ricorrente, con il motivo di appello sub 3.3. (pag.31 e seguenti atto di appello), riprodotto a pagina 28 del ricorso, il Comune aveva censurato la decisione del Tribunale per aver accolto la domanda risarcitoria del C. sotto un duplice profilo: ovvero sia per vizio di ultra o extra petizione, poichè il C. con l’atto introduttivo del 2/5/1989 non aveva richiesto alcun danno per tardiva corresponsione del saldo prezzo; sia per aver accolto una pretesa infondata a termini di contratto perchè il pagamento della quota del 70% del prezzo era subordinata alla stipulazione dell’atto pubblico, a sua volta agganciata al decorso di trenta giorni dall’autorizzazione all’acquisto e comunque sotto condizione che le somme fossero disponibili.

6.2. Il vizio così denunciato – nullità per omessa pronuncia su di un motivo di appello – non sussiste.

6.2.1. Quanto al primo profilo del motivo di appello, ossia alla pretesa denuncia di ultra/extrapetizione, la censura alla quale fa riferimento il Comune di Bari (della quale nella cassata sentenza di appello del 2005 non v’è traccia di presa d’atto) sarebbe affidata alle implicazioni sottese alla frase d’esordio, invero piuttosto generica e criptica: “Il Tribunale, tirando in ballo una questione che non era stata neppur sfiorata dalla pur fervida fantasia del C. (ma che fu benevolmente suggerita dal C.t.U.”.

V’è anche da rilevare che il processo di primo grado, introdotto nel 1989 era governato dal rito civile anteriore alla Novella di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353 e successive modifiche e integrazioni e quindi da un ampio potere processuale delle parti di introdurre in corso di causa nuove domande e dalla regola dell’accettazione tacita del contraddittorio, sicchè l’assenza di una domanda nella sola citazione introduttiva non sarebbe di per sè decisiva.

Di conseguenza il preteso motivo di gravame era del tutto generico ed evanescente e pertanto inammissibile.

6.2.2. In ogni caso, il Comune di Bari non risulta aver impugnato, in via incidentale condizionata, la sentenza 27/4/2005 della Corte di appello di Bari che, riformando la sentenza di primo grado, gli aveva dato ragione nel merito, rigettando la domanda risarcitoria del C., sia perchè aveva ritenuto che il contratto definitivo di vendita assorbisse e superasse il contratto preliminare, sia perchè non aveva comunque ravvisato alcun inadempimento del Comune, senza rilevare preliminarmente l’inesistenza o l’inammissibilità di tale domanda.

6.2.3. In terzo luogo e in via dirimente, la questione dell’esistenza o dell’ammissibilità della predetta domanda risarcitoria del C. non poteva più essere revocata in dubbio nel giudizio di rinvio susseguente alla pronuncia rescindente di questa Corte n. 19358/2011, che, accogliendo le censure mosse dal C. al rigetto della sua domanda, ne ha necessariamente presupposto l’esistenza e l’ammissibilità.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di rinvio è inibito alle parti proporre conclusioni diverse dalle precedenti, o che non siano conseguenti alla cassazione, così come non sono modificabili i termini oggettivi della controversia espressi o impliciti nella sentenza di annullamento; tale preclusione investe non solo le questioni espressamente dedotte o che avrebbero potuto essere dedotte dalle parti, ma anche le questioni di diritto rilevabili d’ufficio, ove esse tendano a porre nel nulla o a limitare gli effetti intangibili della sentenza di cassazione e l’operatività del principio diritto, che in essa viene enunciato non già in via astratta, ma agli effetti della decisione finale della causa (Sez. 3, n. 20887 del 22/08/2018, Rv. 650434 – 01; Sez. 3, n. 22885 del 10/11/2015, Rv. 637823 – 01; Sez. 5, n. 20981 del 16/10/2015, Rv. 636959 – 01; Sez. 5, n. 26200 del 12/12/2014, Rv. 633434 – 01).

6.3. Quanto al secondo profilo, la lamentata omessa pronuncia non sussiste, poichè la Corte territoriale ha indicato con sufficiente chiarezza le ragioni per cui dissentiva dall’interpretazione del contratto preliminare inter partes, con particolare riferimento alle obbligazioni a carico del promissario acquirente e dei relativi termini, ritenendo, come del resto il Tribunale di primo grado, da un lato che le somme finanziate fossero effettivamente disponibili per il Comune di Bari sin dal 26/7/1985, sia che il Comune si fosse comportato in violazione dei doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto e delle sue obbligazioni, ritardando senza ragione e in pregiudizio della controparte l’approvazione della delibera di autorizzazione alla stipulazione del contratto definitivo e quindi della data di stipulazione e del connesso termine di pagamento.

Non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (Sez. 2, n. 20718 del 13/08/2018, Rv. 650016 – 01); ciò si verifica quando la motivazione accolga una tesi incompatibile con quella prospettata, implicandone il rigetto, dovendosi considerare adeguata la motivazione che fornisce una spiegazione logica ed adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la particolare disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi (Sez. 5, n. 2153 del 30/01/2020, Rv. 656681 – 01; Sez. 1, n. 17956 del 11/09/2015, Rv. 636771 – 01; Sez. 2, n. 20311 del 04/10/2011, Rv. 619134 – 01).

7. Il ricorso deve conseguentemente essere rigettato e le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 10.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

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