Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22107 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. I, 11/09/2018, (ud. 15/02/2018, dep. 11/09/2018), n.22107

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14481/2013 proposto da:

F.M., S.L., elettivamente domiciliati in Roma, Via

Pietro della Valle n.2, presso lo studio dell’avvocato Morabito

Giuseppe, rappresentati e difesi dall’avvocato Perelli Ferdinando,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Palmi;

– intimato –

e contro

Comune di Palmi, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Adda n.87, presso lo studio dell’avvocato

Albano Mario, rappresentato e difeso dall’avvocato Dattola Silvio,

giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale

subordinato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

F.M., S.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 340/2012 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 10/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/02/2018 dal cons. TRICOMI LAURA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 340/2012, depositata il 10/07/2012, in accoglimento del gravame del Comune di Palmi, ha dichiarato, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., n. 4, vigente anteriormente alla riforma del 2006, la nullità del lodo arbitrale pronunciato in Catanzaro il 26/07/2006, dichiarato esecutivo dal Tribunale di Catanzaro il 18/09/2006, ed ha rigettato tutte le domande proposte da F.M. e S.L. nei confronti del Comune di Palmi già di fronte agli arbitri in ragione della clausola compromissoria di cui all’art.13 della convenzione allegata alla Delib. di conferimento dell’incarico 6 agosto 1981, domande concernenti l’accertamento e la condanna alla corresponsione di somme a titolo di compensi professionali per l’attività di progettazione e direzione lavori.

2. La Corte di appello di Reggio Calabria ha escluso che potesse ravvisarsi nullità del lodo in ragione dell’incompetenza del Tribunale di Catanzaro a rilasciare l’exequatur; ha quindi ritenuto oramai radicata la propria competenza, in luogo di quella della Corte di appello di Catanzaro, sulla considerazione che, pur trattandosi di una competenza funzionale ed inderogabile, l’incompetenza non era stata rilevata entro il limite della prima udienza ex art. 38 c.p.c., di talchè non poteva più essere messa in discussione.

3. Nel merito la Corte territoriale ha, quindi, affermato che gli arbitri non avevano rispettato i limiti fissati dall’art. 13 della convenzione – che affidava alla competenza arbitrale le controversie sorte in ordine alla convenzione che aveva affidato ai professionisti l’incarico di progettazione e direzione dei lavori per la realizzazione della strada di collegamento della località FF.SS. (OMISSIS) fino alla strada provinciale Palmi/Taureana, in forza di Delib. giunta municipale 6 agosto 1981, n. 713 – ed ha escluso che l’incarico arbitrale dovesse ritenersi esteso anche al progetto di restauro della (OMISSIS). In particolare ha affermato che la nota assessoriale del 03/05/1993 non era idonea a consentire questa interpretazione (propugnata invece dagli arbitri), perchè il generico richiamo alla variante del progetto, in mancanza di una precisa documentazione relativa ai termini dell’intesa raggiunta con i professionisti impediva di dare un contenuto preciso all’incarico conferito con la citata nota (fol. 16 della sent.), mentre andava rimarcata la assenza di un nuovo atto deliberativo e di un nuovo accordo scritto.

Da ciò la Corte di appello ha dedotto che il collegio arbitrale non avrebbe potuto ritenere validamente esteso l’incarico conferito nel 1981 anche alla progettazione e direzione dei lavori degli interventi di restauro di (OMISSIS) e che, opinando in tal senso, aveva violato le regole di diritto, esponendo il lodo alla nullità ex art. 829 c.p.c., comma 2; ha quindi affermato che il collegio arbitrale aveva esorbitato dai limiti della convenzione, di guisa che l’eccezione di incompetenza sollevata dal Comune di Palmi già in sede di proceduta arbitrale, rilevante ex art. 817 c.p.c., era fondata.

Sulla scorta di tali considerazioni la Corte di appello ha dichiarato la nullità del lodo.

4. Passando alla fase rescissoria ed all’esame delle pretese azionate dai due professionisti, accolte interamente dal collegio arbitrale, la Corte territoriale ha esaminato in via preliminare ed accolto l’eccezione di prescrizione, sollevata dall’amministrazione comunale già dinanzi agli arbitri e riproposta nel gravame.

La Corte, in proposito, ha osservato che l’erronea applicazione delle norme di diritto in tema di prescrizione confermava la nullità del lodo con una portata più ampia ed omnicomprensiva rispetto all’accoglimento focalizzato sull’incompetenza degli arbitri. Quindi, con ampia valenza, come si è detto, la Corte territoriale ha ritenuto maturata la prescrizione.

5. Avverso tale sentenza F.M. e S.L. hanno proposto ricorso per cassazione nei confronti del Comune di Palmi, sulla base di tre motivi, articolati in molteplici distinti profili; il resistente ha replicato con controricorso, contenente altresì ricorso incidentale affidato ad un motivo e corroborato da memoria ex art. 378 c.p.c..

6. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Il procedimento arbitrale in questione è iniziato in data anteriore all’entrata in vigore della novella introdotta con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed è soggetto alla disciplina previgente (Cass. n. 25437/2017).

1.2. Il ricorso principale è articolo in tre motivi, che presentano ciascuno una pluralità di profili.

2.1. Il primo motivo (fol. 10) è proposto, in via principale ed assorbente, sotto due profili.

2.2.1. Con il primo profilo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 828 c.p.c., nel testo anteriore alla riforma attuata con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e art. 341 c.p.c. per avere fatto la Corte di appello erronea applicazione delle norme in materia di individuazione del giudice competente (sub 1).

A parere dei ricorrenti il gravame ex art. 828 c.p.c. proposto al giudice ritenuto competente – come da prospettazione del Comune di Palmi, impugnante in merito all’incompetenza del Tribunale di Catanzaro a rilasciare il decreto di esecutività – e non a quello formalmente competente (Corte di appello di Catanzaro) avrebbe dovuto essere dichiarato, preliminarmente ad ogni altro scrutinio, inammissibile e/o improcedibile perchè non proposto al giudice di appello nel cui distretto era stata stabilita la sede dell’arbitrato e dichiarato esecutivo il lodo (Catanzaro).

2.2.2. Con il secondo profilo si denuncia la violazione dell’art. 38 c.p.c. nel testo anteriore alla riforma del 2006 per averne fatto illegittima ed errata applicazione nel giudizio in questione (sub 1.1).

Sostengono i ricorrenti che la Corte reggina, una volta affermato che la sede del collegio arbitrale era effettivamente da individuarsi in Catanzaro, ha violato gli artt. 828,38 e 341 c.p.c. non avendo dichiarato improcedibile e/o inammissibile il gravame.

A loro parere, la disciplina dettata per il primo grado (art. 38 cit.) è stata applicata illegittimamente poichè l’erronea individuazione del giudice di secondo grado non pone una questione di competenza, ma riguarda la valutazione delle condizioni di proponibilità o ammissibilità del gravame che deve dichiararsi precluso se prospettato ad un giudice diverso da quello individuato dagli artt. 341 e 828 c.p.c.; la competenza di secondo grado è inderogabile in quanto determinata dalla funzione del giudice; la violazione di tali norme può essere eccepita in qualunque stato e grado del processo; è rilevabile anche d’ufficio stante l’inapplicabilità delle preclusioni ex art. 38 c.p.c., da riferirsi solo al giudizio di primo grado (fol. 15/18).

2.3.1. Giova premettere che la controversia concerne il giudizio arbitrale introdotto con domanda del 13/07/2005 da F. e S. per ottenere, sia pure ex art. 2041 c.c., il compenso per prestazioni professionali rese al Comune di Palmi, conclusosi con esito favorevole ai professionisti con decisione del 26/07/2006.

Il collegio arbitrale, in occasione della prima seduta del 17/03/2006 tenutasi in Reggio Calabria, aveva individuato appunto Reggio Calabria, quale sede dello stesso collegio, e Catanzaro, quale sede della segreteria del collegio. Tuttavia nella parte espositiva del lodo la sede del collegio arbitrale era stata indicata in Catanzaro ed in tale città risultava avvenuta la delibera.

E’ incontestato tra le parti, che il lodo venne munito di esecutività con decreto del Tribunale di Catanzaro del 18/09/2006 e venne quindi impugnato dal Comune di Palmi dinanzi alla Corte di appello di Reggio Calabria.

2.3.2. La Corte territoriale, adita con atto di citazione del 20/11/2006, si è pronunciata dichiarando la nullità del lodo e rigettando le originarie domande attoree.

2.3.3. Per quanto interessa il presente motivo, la Corte di appello si è pronunciata in prima battuta su due questioni concernenti la “competenza per territorio” (così in sentenza, fol.7): la prima relativa alla competenza del Tribunale che aveva dichiarato l’esecutività del lodo; la seconda relativa alla competenza propria della Corte di appello di Reggio Calabria quale giudice adito ex art. 828 c.p.c. dal Comune di Palmi, questioni entrambe sollevate dall’impugnante Comune di Palmi.

2.3.4. Sulla comune premessa che sia il Tribunale, chiamato a dichiarare esecutivo il lodo, che la Corte di appello, alla quale andava presentata l’impugnazione per nullità, andavano individuati negli organi giudiziari “nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato” le questioni sono state affrontate partitamente.

2.3.5. Quanto alla prima la Corte di appello, ritenuto legittimamente esercitato il diritto a variare la sede del collegio arbitrale in Catanzaro, ha ravvisato la competenza del Tribunale di Catanzaro ad emettere il decreto esecutività ed ha escluso la nullità del lodo sotto questo profilo.

2.3.6. Da tale statuizione tuttavia, non ha dedotto la competenza per l’impugnazione ex art. 825 c.p.c. della Corte di appello di Catanzaro sulla considerazione che detta competenza, di natura funzionale ed inderogabile “soggiace alle regole di carattere generale di cui all’art. 38 c.p.c. in base alle quali l’incompetenza di questa natura è rilevabile anche d’ufficio ma entro il limite costituito dalla prima udienza di trattazione, poichè diversamente la competenza non può essere ulteriormente messa in discussione. E’ quanto è accaduto nel caso di specie in cui la competenza di questa Corte, affermata dall’impugnante ed accettata dai convenuti, non è stata esclusa entro la prima udienza e si è conseguentemente radicata” (fol. 12).

2.4.1. Il primo motivo quanto al primo profilo va dichiarato inammissibile per carenza di interesse alla luce dei fatti come riepilogati.

Invero, la Corte di appello, avendo respinto l’eccezione di incompetenza del Tribunale di Catanzaro sollevata al Comune di Palmi, ha riconosciuto la legittimità del decreto di esecutività (v. sub 2.3.3. /2.3.5.) e, quindi, la pronuncia sotto questo aspetto non risulta pregiudizievole ai ricorrenti.

2.5.1. Il secondo profilo del primo motivo è infondato.

2.5.2. La questione va affrontata partendo dalla premessa che, come questa Corte ha già affermato, “L’arbitrato rituale ha natura giurisdizionale per cui l’impugnazione del lodo è soggetta alla disciplina e ai principi che regolano il giudizio di appello, in quanto compatibili.” (Cass. Sez. Prima, n. 13898 del 18/06/2014, cfr. Cass. Sez. U., del 25/10/2013, n. 24153).

Ciò impone di considerare la rilevanza del recente arresto delle Sezioni Unite che, sciogliendo un risalente contrasto interpretativo, hanno affermato che l’appello proposto davanti ad un giudice diverso, per territorio o grado, da quello indicato dall’art. 341 c.p.c. non determina l’inammissibilità dell’impugnazione, ma è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della c.d. traslatio iudicii, sia nell’ipotesi di appello proposto dinanzi ad un giudice territorialmente non corrispondente a quello indicato dalla legge, sia nell’ipotesi di appello proposto dinanzi a un giudice di grado diverso rispetto a quello dinanzi al quale avrebbe dovuto essere proposto il gravame (v. Cass., Sez. Un., 14/9/2016, n. 18121).

Il principio fonda sul rilievo dell’impossibilità di negare, sul piano concettuale, che nel dettare i criteri per l’individuazione del giudice legittimato a ricevere l’appello, la norma di cui all’art.341 cod. proc. civ. prevede in realtà un’ipotesi pur sempre di competenza (intesa come frazione dell’intero esercizio della funzione giurisdizionale), anche se da qualificarsi sui generis, in ragione della contemporanea previsione di criteri d’individuazione sia in senso verticale (giudice superiore) che orizzontale (giudice che ha sede nella circoscrizione di quello che ha pronunciato la sentenza), cui, proprio in considerazione dei suoi tratti peculiari, appare confacente la qualifica di “competenza funzionale” recepita dalle Sezioni Unite di questa Corte (v.. Cass., Sez. Un., 22/11/2010, n. 23594).

2.5.3. Sulla scorta di tale rilievo le Sezioni Unite hanno anche disatteso l’assunto, posto a base delle decisioni escludenti l’applicabilità al giudizio di appello dell’art. 50 c.p.c., secondo cui l’erronea individuazione del giudice legittimato a decidere sull’impugnazione non dà luogo a una questione di competenza, ma comporta l’inammissibilità del gravame.

2.5.4. Hanno quindi posto in rilievo come il vizio derivante dall’individuazione di un giudice di appello diverso rispetto a quello determinato ai sensi dell’art. 341 c.p.c. non rientra nè tra i casi per i quali è espressamente prevista dalla legge la sanzione dell’inammissibilità del gravame, nè tra i casi in cui non è configurabile il potere di impugnare, osservando che esso non incide sull’esistenza del potere di impugnazione ma solo sul suo legittimo esercizio, in quanto avvenuto avanti a giudice diverso da quello avanti al quale il gravame andava proposto (v. Cass., Sez. Un., 14/9/2016, n. 18121), ove si è precisato che l’inammissibilità del gravame resta limitata alle ipotesi in cui manchi lo strumento processuale prescritto dalla legge per il passaggio del rapporto processuale dal primo al secondo grado del giudizio, come quando la parte soccombente in primo grado adisca, con l’appello, un giudice di grado pari a quello che ha emesso la sentenza impugnata ovvero lo stesso giudice che tale sentenza abbia pronunciato; Cass., 7/12/2016, n. 25078).

Hanno al riguardo posto in rilievo come anche in tale ipotesi, come in quella di erronea individuazione del giudice territorialmente competente, si è in presenza di un errore che cade esclusivamente sulla individuazione del giudice avanti al quale deve essere proposto l’appello avverso la decisione di primo grado, non incidendo esso sull’esistenza del potere di impugnazione ma solo sul modo di relativo esercizio.

2.5.5. Una volta ricondotta nella nozione di “competenza” la regola che individua il giudice legittimato a conoscere dell’appello, le Sezioni unite hanno riconosciuto l’applicabilità al relativo giudizio del principio della translatio iudicii previsto dall’ art. 50 c.p.c., sulla considerazione che tale norma è collocata tra le disposizioni generali contenute nel titolo 1 del libro 1, e non opera alcuna distinzione tra competenza di primo e secondo grado. Hanno altresì rimarcato che la giurisprudenza che propende per la tesi della non estensibilità della disposizione in esame al giudizio di appello, si basa su un giudizio di incompatibilità che, a ben vedere, non è richiesto dall’art. 359 c.p.c.. Tale norma, infatti, nello stabilire che per il giudizio di appello davanti al tribunale o alla corte di appello si osservano le norme che regolano il procedimento di primo grado davanti al tribunale, purchè non siano “incompatibili” con le disposizioni proprie del giudizio di impugnazione, si riferisce alle norme contemplate nel titolo 1 del libro 2 del codice di rito (artt. 163 ss.), e non anche a quelle contenute nel titolo 1 del libro 1, aventi di per sè una portata generale ed applicabili, quindi, in via di principio anche al giudizio di appello, salvo specifiche limitazioni.

2.5.6. A tale stregua, riconosciuto l’effetto conservativo all’atto di appello proposto avanti a giudice territorialmente incompetente, atteso che il vizio derivante dall’individuazione di un giudice di appello diverso rispetto a quello determinato ai sensi dell’art. 341 c.p.c. non rientra nè tra i casi per i quali è espressamente prevista dalla legge la sanzione dell’inammissibilità del gravame, nè tra i casi in cui non è configurabile il potere di impugnare, – contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti – non vi è ragione per escludere l’applicabilità dell’art. 38 c.p.c. – che come l’art. 50 c.p.c.si colloca nelle disposizioni generali che regolano il processo civile – e per non ritenere che la rilevabilità del difetto di competenza territoriale, qualora non sia stata eccepita tempestivamente della parte, sia preclusa anche all’ufficio oltre la prima udienza di trattazione.

La decisione sul punto risulta, pertanto, immune da vizi.

3.1.1. Il secondo motivo, afferente alla fase rescindente, è proposto in via subordinata:

– sub 2) come violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4 e comma 2, nel testo ante riforma del 2006, per non avere la Corte adita, da un lato, dichiarato inammissibile e/o improcedibile il motivo di impugnazione con il quale il Comune di Palmi aveva contestato ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dei limiti del compromesso e per avere, dall’altro, illegittimamente sostituito, tout court, all’interpretazione della clausola compromissoria formulata dal collegio arbitrale una propria interpretazione e dichiarato la nullità del lodo (fol.18 e ss.).

Secondo i ricorrenti, gli arbitri avevano ricompreso nell’ambito di applicazione della clausola compromissoria – correttamente – anche l’attività di progettazione afferente al recupero della (OMISSIS) attraverso l’interpretazione di detta clausola in combinato disposto con la clausola 5 della convenzione, di guisa che la relativa pronuncia costituiva questione di merito strettamente inerente all’interpretazione della clausola compromissoria e non una questione di “competenza”; sostengono, quindi, che il motivo di appello del Comune di Palmi avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile;

– sub 2.1.A) come violazione e/o falsa applicazione dell’art. 830, comma 1, seconda parte – nel testo previgente – per non essersi limitata la Corte a pronunciare una nullità parziale del lodo riferita solo al capo di domanda inerente il riconoscimento del diritto al compenso per l’attività progettuale per il recupero di (OMISSIS) (fol. 26 e ss.);

– sub 2.1.B) come omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo del giudizio rappresentato dalla pronuncia di nullità totale del lodo, disposta ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4 (fol. 28 e ss.), ravvisando una contraddittorietà della motivazione laddove il giudice di appello ha riconosciuto che l’accoglimento del motivo di nullità ex art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4 non avrebbe potuto condurre ad un annullamento totale del lodo;

– sub 2.2) come violazione e/o falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., comma 2, – nel testo previgente – per avere ritenuto la Corte violate dal collegio arbitrale le regole di diritto in materia di interruzione e corso della prescrizione del diritto fatto valere. Secondo i ricorrenti l’esame delle censure di nullità del lodo per violazione delle regole di diritto è limitato, nella fase rescindente del giudizio, all’accertamento della disapplicazione, da parte degli arbitri, delle regole di diritto che si assumono di volta in volta violate, senza possibilità per la Corte di appello investita del gravame, di procedere ad un’interpretazione della volontà delle parti diversa da quella accertata (fol. 30 e ss.). Si dolgono, quindi, che la Corte territoriale abbia utilizzato le considerazioni sviluppate nella fase rescissoria per accertare e dichiarare l’intervenuta prescrizione del credito, anche quale motivazione del giudizio in sede rescindente, tesa a giustificare la legittimità del passaggio alla fase rescissoria e, così, al rigetto della originaria domanda.

3.2.1. Il motivo sub 2) è infondato.

3.2.2. L’art. 829 c.p.c. (ante riforma 2006), prevede, al comma 1, n. 4, ed al comma 2: “1. L’impugnazione per nullità è ammessa, nonostante qualunque rinuncia, nei casi seguenti:

(…);

4) se il lodo ha pronunciato fuori dei limiti del compromesso o non ha pronunciato su alcuno degli oggetti del compromesso o contiene disposizioni contraddittorie, salva la disposizione dell’art. 817.

2. L’impugnazione per nullità è altresì ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservate le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità, o avessero dichiarato il lodo non impugnabile.”

3.2.3. La questione esaminata dalla Corte di appello attiene alla competenza arbitrale e non all’interpretazione della clausola compromissoria, atteso che la clausola di cui si discute (art.13 della convenzione facente parte integrante della Delib. G.M. 6 agosto 1981, n. 713), a contenuto normativo prevedeva chiaramente “Tutte le controversie che potrebbero sorgere in ordine alle clausole previste dalla presente convenzione e che non si fossero potute definire…. saranno definite da un collegio arbitrale…” (fol. 2 del ricorso) risultandone così indubitabilmente delimitata la sfera di operatività alle controversie sorte in relazione alla specifica convenzione, in assenza della previsione di possibili future applicazioni estensive a successivi incarichi.

3.2.4. Come questa Corte ha già affermato, in materia di arbitrato, l’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, che sanziona con la nullità il lodo arbitrale che “ha pronunciato fuori dei limiti del compromesso o non ha pronunciato su alcuno degli oggetti del compromesso”, si interpreta nel senso che gli arbitri hanno l’obbligo di decidere su tutto il thema decidendum ad essi sottoposto e non oltre i limiti di esso; tale concetto, letteralmente espresso con riferimento al compromesso, vale, anche con riguardo al caso in cui la potestas iudicandi sia agli arbitri conferita in base a clausola compromissoria (Cass. 7282 del 22/03/2013; Cass. n. 12694 del 29/08/2003).

Ne consegue che l’ambito applicativo della clausola compromissoria deve essere desunto esclusivamente dalla clausola stessa: pertanto correttamente la Corte di appello ha ritenuto che gli arbitri avessero esorbitato dai limiti della clausola compromissoria, circoscritti, quanto all’oggetto, a “Tutte le controversie che potrebbero sorgere in ordine alle clausole previste dalla presente convenzione”, con conseguente nullità del lodo.

3.2.5. Nè può trovare applicazione, nel caso in esame, il principio secondo il quale la cognizione degli arbitri si estende (salvo eventuali ben precisi limiti legali) a qualsiasi aspetto della vicenda, che risulti rilevante ai fini di stabilire se e in qual misura la pretesa fatta valere da una parte sia fondata (Cass. n. 7282 del 22/03/2013), posto che la vicenda del restauro di (OMISSIS) – che non risulta nemmeno essere stato oggetto di formali atti amministrativi di incarico – è del tutto estranea al contenuto della convenzione e non è certo indispensabile per l’individuazione degli elementi conoscitivi mediante i quali gli arbitri avrebbero potuto ricostruire i presupposti occorrenti per l’espressione del loro giudizio.

3.3.1. I motivi sub 2.1.A) e sub 2.1.B) possono essere trattati congiuntamente perchè intimamente connessi e vanno respinti perchè inammissibili.

3.3.2. Questi motivi dimostrano che i ricorrenti non hanno colto la complessità della ratio decidendi espressa.

3.3.3. La Corte territoriale ha dichiarato la nullità del lodo, sia per avere ravvisato la pronuncia parzialmente incompetente degli arbitri (con riferimento alle progettazioni relative a (OMISSIS)), sia per avere rilevato l’inosservanza delle regole di diritto concernenti la prescrizione, come chiarito in modo inequivoco al punto 4 ove è puntualizzato “l’affermazione della fondatezza dell’eccezione di prescrizione, implicando l’erroneità della soluzione che alla stessa questione ha dato il collegio arbitrale e quindi l’inosservanza da parte di esso delle regole di diritto, valgono a confermare e rafforzare la conclusione della nullità del lodo, conferendole una portata omnicomprensiva che il vizio di incompetenza non avrebbe, riguardando la parte della decisione relativa alle pretese estranee alla convenzione del 1981 e alla clausola di arbitrato” (fol.20 della sent.).

Ne consegue che non si ravvisa alcuna contraddittorietà nella pronuncia, ma l’esplicazione di una valutazione complessa, compiuta rilevando progressivamente una pluralità di casi di inosservanza di regole di diritto, come chiaramente evincibile dal testo della sentenza impugnata, tali da travolgere l’intero lodo.

3.4.1. Il motivo sub 2.2. è infondato.

3.4.2. I ricorrenti sostengono che l’impugnazione per nullità del lodo proposta dal Comune di Palmi (fase rescindente) non concerneva anche la violazione delle norme sulla prescrizione – questione posta solo con riferimento alla fase rescissoria – e che, quindi, la Corte di appello avrebbe violato la norma che limita l’esame della nullità del lodo alle questioni di nullità proposte dalle parti.

3.4.3. In disparte dai profili di inammissibilità, posto che il ricorso appare sul punto generico ed assertivo giacchè i ricorrenti non riproducono i motivi di impugnazione del lodo, si osserva che dallo “Svolgimento del processo” della sentenza (fol. 3-4) si ricava che la questione della erronea applicazione delle norme sulla prescrizione era stata dedotta innanzi tutto come motivo di nullità del lodo. Ne consegue l’infondatezza del motivo di ricorso.

4.1. Il terzo motivo, afferente alla fase rescissoria, è proposto in via ulteriormente gradata:

– sub 3) come violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2944 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) (fol. 32);

– sub 3.1) come omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo del giudizio rappresentato, rispettivamente a) dal valore di implicita ammissione e/o consapevolezza della perdurante esistenza del debito per la progettazione redatta dai ricorrenti desumibile dalle richieste di finanziamento dei progetti per cui è causa trasmesse dal Comune di Palmi alla Regione a più riprese dal 1995; b) dal valore di implicita ammissione e/o consapevolezza della perdurante esistenza del debito per la progettazione redatta dai ricorrenti, desumibile dalla disposizione contenuta nella Delib. G.M. n. 713 del 1981 secondo cui si sarebbe dovuto far fronte alla spesa per il progetto con contrazione di mutuo.

Si dolgono i ricorrenti che la Corte non abbia applicato il principio secondo il quale ciò che rileva, al fine dell’efficacia interruttiva della prescrizione ex art. 2944 c.c., è l’idoneità dell’atto – che non ha natura negoziale e non richiede una specifica intenzione ricognitiva a manifestare a terzi o al titolare del diritto, pur in modo implicito ed indiretto, la consapevolezza dell’esistenza del debito (fol. 32 e ss).

4.2. I motivi possono essere trattati congiuntamente per connessione e vanno respinti, il primo perchè infondato ed il secondo perchè inammissibile.

4.3. Premesso che non risulta essere stata invocata dai ricorrenti la sussistenza di un atto interruttivo della prescrizione loro ascrivibile, osserva la Corte che la tesi propugnata dai ricorrenti si fonda sulla natura di ricognizione di debito di alcuni documenti, in adesione a quanto affermato dal collegio arbitrale. Questa decisione è stata integralmente riformata dalla Corte di appello sulla considerazione che si trattava di documenti estranei alle parti e privi di rilevanza tra le stesse, oltre che non direttamente coinvolgenti il Comune di Palmi, debitore in tesi, che, quale Amministrazione pubblica era tenuto ad operare con il rispetto di forme (anche per la ricognizione di debito) idonee ad esprimerne la volontà che, nel caso non ricorrevano.

4.4. Orbene, quanto al primo profilo non si ravvisa la violazione di legge in quanto la Corte territoriale non ha escluso la rilevanza di una eventuale ricognizione di debito, ma in concreto non ha ravvisato la idoneità dei documenti allegati, motivando adeguatamente sul punto; i ricorrenti, pur riferendosi a questi documenti non ne riportano nemmeno uno passaggio, idoneo a supportare la loro tesi e dal quale evincere un diretto riferimento all’attività svolta dai progettisti: in realtà l’unico atto riportato per stralcio è proprio la Delib. G.M. del 1981 (fol. 36 del ricorso) che, collocandosi appunto nel 1981 è priva di utili ricadute ai fini interruttivi della prescrizione.

4.5. Per la Corte territoriale la prescrizione ha iniziato a decorrere dalla conclusione della prestazione conferita nel 1981 (l’unica che residua nel giudizio), che fa coincidere con la presentazione in data 01/09/1994 dell’ultimo progetto esecutivo aggiornato da parte dai professionisti. Quindi, rimarcando di avere desunta la “storia” della vicenda dalla lettera inviata dagli stessi professionisti al Sindaco in data 11/10/2004, oltre dieci anni dopo, ha sottolineato che proprio in tale missiva era precisato che “mai alcun compenso era stato richiesto alla P.A…., pur avendo diritto al compenso per il lavoro svolto” ed ha accertato il decorso del termine prescrizionale.

4.6. Tale ricostruzione dei fatti non risulta smentita dai ricorrenti, che sostanzialmente invocano ai fini interruttivi della prescrizione condotte ascrivibili a soggetti terzi o al presunto debitore, prive di diretta ricaduta nei rapporti tra le parti (richieste di finanziamenti, incontri con esponenti politici, etc.).

4.7. In proposito, la Corte di appello convincentemente ha escluso che fosse intervenuto da parte del debitore un riconoscimento del diritto idoneo ad interrompere la prescrizione, sia pure inteso come comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore: in particolare non ha riconosciuto tale natura alle richieste di finanziamento del progetto presentate a più riprese dall’amministrazione e da ultimo nel novembre 1995, ravvisando nelle stesse solo l’esigenza dell’amministrazione – manifestata a soggetti diversi dai creditori – di recepire le risorse necessarie per l’attuazione del progetto, non necessariamente implicante la consapevolezza dell’esistenza del debito, stante l’estraneità del rapporto con i progettisti alla richiesta di finanziamento. Ha, altresì, negato valenza ricognitiva ai contatti dei progettisti con l’amministrazione, al più assimilabili a trattative ed in ogni caso promossi o intrattenuti con singoli esponenti politici, con argomenti immuni da vizi.

5.1. Il Comune di Palmi svolge ricorso incidentale, condizionato all’eventuale accoglimento dei motivi sub 1) e 1.1.), articolato su un motivo, circa la incompetenza del Tribunale di Crotone a pronunciare l’exequatur.

5.2. Il ricorso incidentale è assorbito dal rigetto del ricorso principale.

6.1. In conclusione il ricorso principale va rigettato ed il ricorso incidentale va dichiarato assorbito.

6.2 Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

– Rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale;

– Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.000,00=, oltre Euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori;

– Si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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