Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22103 del 04/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/09/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 04/09/2019), n.22103

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11534/2015 proposto da:

D.S.M., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato VINCENZO

RICCARDI;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1790/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/04/2014 R.G.N. 9647/2010.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che con sentenza n. 1790/2014, depositata il 3 aprile 2014, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede aveva respinto la domanda proposta da D.S.M. nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana S.p.A., volta ad ottenere il superiore inquadramento nell’Area Quadri (9 livello; in subordine, 8);

– che a sostegno della propria decisione la Corte ha, in primo luogo, escluso che l’istanza del lavoratore 1/2/2003 potesse avere avuto efficacia interruttiva della prescrizione, con riferimento alle differenze retributive, tale efficacia dovendo riconoscersi alla sola notifica del ricorso introduttivo; ha, quindi, osservato, nel merito, come non fosse stato provato, alla stregua delle risultanze delle prove testimoniali e documentali in atti, il ricorrere nelle mansioni concretamente svolte dal D.S., così come accertate in giudizio – del superiore grado di autonomia proprio dell’area quadri;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore con tre motivi, cui ha resistito la società con controricorso;

– che entrambe le parti hanno depositato memoria;

rilevato:

che con il primo motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione dell’art. 2943 c.c., il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto priva di efficacia interruttiva l’istanza in data 1/2/2003, nonostante che la stessa possedesse tutti i requisiti per costituire una valida messa in mora del debitore;

– che, con il secondo e con il terzo motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione rispettivamente di norme di fonte collettiva (Allegato 4 dell’Accordo sottoscritto in data 26 luglio 1991 tra l’Ente F.S. e le organizzazioni sindacali; art. 21 del c.c.n.l. Attività Ferroviarie del 16 aprile 2003) e dell’art. 2103 c.c. e art. 36 Cost., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello ritenuto, come già il giudice di primo grado, l’infondatezza della domanda, sebbene le risultanze probatorie acquisite al giudizio avessero dimostrato lo svolgimento di mansioni superiori per un periodo superiore ai tre mesi richiesti e in conformità delle declaratorie contrattuali;

osservato:

che il primo motivo non può trovare accoglimento;

– che la Corte di appello si è invero uniformata al consolidato principio di diritto, secondo il quale “affinchè un atto possa acquisire efficacia interruttiva della prescrizione, a norma dell’art. 2943 c.c., comma 4, deve contenere l’esplicitazione di una pretesa, ovvero una intimazione o richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo, con l’effetto di costituirlo in mora; l’accertamento di tale requisito oggettivo costituisce indagine di fatto riservata all’apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici” (Cass. n. 22751/2004, fra le molte conformi);

– che, nella specie, la Corte ha dato ampiamente conto della inidoneità dell’atto invocato dal ricorrente a integrare i suddetti requisiti, in particolare osservando come il D.S. si fosse limitato ad avanzare un’istanza di passaggio al 9 o all’8 livello dell’Area Quadri, peraltro “senza introdurre alcuna richiesta in ordine alle differenze retributive, neppure in termini di condanna generica, nè introdurre alcun elemento da cui desumere la volontà di invocare un diverso trattamento economico” e senza neppure corredare l’istanza di alcun elemento contabile o di alcuna quantificazione del credito (cfr. sentenza, p. 4);

– che non possono egualmente trovare accoglimento i restanti motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi;

– che al riguardo si deve anzitutto rilevare che la Corte di merito, nella propria indagine, ha correttamente seguito le regole del c.d. procedimento trifasico (Cass. n. 7123/2014, fra le molte) e cioè: (a) ha individuato il tratto distintivo della qualifica rivendicata nel “superiore grado di autonomia proprio dell’area quadri”; (b) ha compiutamente verificato, alla stregua delle risultanze istruttorie (tanto di fonte testimoniale, come documentale), quale fosse stata l’attività di fatto espletata dal lavoratore; (c) ha infine posto a confronto gli esiti di tale ricostruzione con le previsioni della disciplina collettiva (cfr. sentenza, pp. 5-6);

– che, pertanto, ove abbiano ad oggetto la mancata osservanza delle suddette regole, le censure proposte risultano infondate;

– che, in realtà, entrambi i motivi ora in esame si volgono, pur dietro lo schermo della comune denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, ad una inammissibile rilettura del materiale probatorio e cioè tendono a sollecitare a questa Corte di legittimità un difforme apprezzamento di fatto, rispetto a quello compiuto dal giudice di merito, in contrasto con le funzioni e con il ruolo che le è assegnato nell’ordinamento;

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2019

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