Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22100 del 25/10/2011

Cassazione civile sez. II, 25/10/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 25/10/2011), n.22100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3143-2006 proposto da:

A.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERLUIGI DA

PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato CONTALDI MARIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RENZO COLOMBARO;

– ricorrente –

contro

C.P., titolare dell’omonima ditta elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 57, presso lo studio

dell’avvocato AZZARITA MANFREDI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato COPPA PIERO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1245/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/08/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2011 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 4 febbraio 1998 A.R. conveniva in giudizio, davanti al Pretore di Asti, C.P.. Parte attrice esponeva di aver i acquistato nel dicembre 1991 dal C. 600 barbatelle di Pinot Chardonnay al prezzo di L. 1800 ciascuna. Aggiungeva che le stesse erano messe a dimora e che, nel corso del 1997 a seguito di una verifica eseguita dall’Istituto Sperimentale per la viticultura, risultava che le vite fornite erano prevalentemente, della qualità Sauvignon Bianco e di Favorita in luogo di Chardonnay. Parte attrice chiedeva, pertanto, la condanna del convenuto al risarcimento dei danni. L’attrice fondava la sua domanda, essenzialmente, su una lettera del 22 agosto 1997, nella quale il C. avrebbe riconosciuto di aver fornito barbatelle di qualità diversa da quella convenuta.

Si costituiva in giudizio C.P., il quale contestava la domanda attorea e la valenza confessoria alla lettera del 1997 ed eccepiva prescrizione e decadenza.

Il Tribunale di Asti, con sentenza n. 56 del 2001 accoglieva la domanda attorea e condannava il convenuto a risarcire il danno quantificato in L. 1.123.200, oltre rivalutazione e interessi.

Avverso questa sentenza proponeva appello, davanti alla Corte di Appello di Torino, C.P. lamentando la mancanza di prova circa l’avvenuta mescolanza varietale, la mancanza di prova della tempestività della denuncia dei vizi e l’ingiustificata liquidazione dei danni.

Si costituiva in giudizio A. resistendo al gravame e, a sua volta, proponeva appello incidentale con il quale lamentava l’omessa quantificazione, previa consulenza tecnica dei danni da essa subiti, La Corte di Appello di Torino con sentenza n. 1245 del 2004, accoglieva il gravame proposto da C. e rigettava la domanda dell’ A. sostegno di questa decisione la Corte torinese osservava: a) che la lettera del 22 agosto 1997 non ammetteva alcuna fornitura di viti diverse da quelle acquistate; b) le viti acquistate erano della categoria standard e quindi non certificate; c) che la lettera del dott. Co. dell’Istituto sperimentale per la viticultura affermava che il vigneto risultava composto prevalentemente da vitigno Sauvignon bianco e che era stata rilevata la presenza di Chardonnay e Favorita. Pertanto, osservava la Corte torinese, non vi era prova rigorosa sulla collocazione delle barbatelle nè la prova che proprio le barbatelle acquistate, fossero state collocate in loco. Insomma, la parte appellata secondo la Corte torinese non aveva assolto all’onere della prova su di lei gravante ex art. 1497 cod. civ. dell’inadempimento del contratto con la fornitura di merce diversa dalla pattuita.

La cassazione della sentenza n. 1245 del 2004 della Corte di appello di Torino è stata chiesta da A.R. con ricorso articolato in due motivi.

C.P. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Secondo la rincorrente la sentenza impugnata è in se contraddittoria per più di una ragione. Intanto, ritiene la ricorrente – la Corte di merito da un lato afferma che era possibile riscontrare un vigneto della stessa varietà con una variabilità di caratteri dovuta al fatto che le barbatelle appartenevano alla categoria standard per altro da espressione all’ipotesi che di fatto il dott. Co. abbia riscontrato una mescolanza di varietà, cioè, l’esistenza di più varietà di vite. Ora se vi fosse stata una variabilità di caratteri si sarebbe dovuto rinvenire un vigneto Chardonnay che, invece, non si è riscontrato esistente, mentre comprovata risultava dalla documentazione in atti una mescolanza di varietà; se riscontrata una mescolanza di varietà non si può però pensare che il fornitore abbia, consegnato barbatelle Chardonnay. Illogica e contraddittoria sarebbe altresì sempre secondo la ricorrente – l’assunto della Corte di Appello secondo cui non vi sia prova rigorosa sulla collocazione delle barbatelle e come la dichiarazione del dott. Co., non confermata in sede testimoniale, non sia sufficiente a provare che proprie le barbatelle acquistate siano state collocate in loco.

Piuttosto specifica la ricorrente – documentalmente provato deve ritenersi il fatto che C. consegnò barbatelle Sauvignon e non Chardonnay e in ragione proprio della documentazione esaminata dalla stessa Corte di Appello. Per altro, la sentenza impugnata, secondo la ricorrente, non conterrebbe alcun riferimento alle produzioni effettuate dalla A. in sede di gravame.

1.1. La censura non ha ragion d’essere e non può essere accolta perchè la decisione della Corte di Appello di Torino non presenta il vizio denunciato, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, dato che è fondata su una motivazione adeguata sufficiente, logica e idonea a rappresentare le ragioni di fatto e di diritto dell’iter logico seguito. Piuttosto, la censura formulata dalla ricorrente è, sostanzialmente, dovuta ad una lettura non approfondita della sentenza. A ben vedere la Corte torinese enuclea il suo ragionamento su tre coordinate essenziali: 1) prende atto che il fornitore (con lettera del 22 agosto 1997) aveva chiarito che le barbatelle vendute erano della categoria standard e quindi non certificate; 2) che le barbatelle vendute, una volta impiantate, avrebbero potuto dare origine a vitigni con caratteri variabili 3) che il dott. Co.

aveva affermato che il vitigno preso in esame risultava composto.

I prevalentemente, da vitigno Sauvignon bianco e che era stata rilevata la presenza di Chardonnay e Favorita. Sicchè la Corte torinese considerava – sia pure non ritenendo opportuno esprimerlo in modo esplicito – che la seconda e la terza coordinata non erano tra loro compatibili perchè se il fornitore avesse venduto barbatelle di Chardonnay non potevano trovarsi vigniti di Sauvignon ma tutt’al più Chardonnay, con caratteri variabili e, viceversa se si fossero trovate vigniti di Sauvignon era possibile che in quel loco non erano state impiantate le barbatelle Chardonnay acquistate. Era necessario, dunque, a sciogliere il dubbio che la parte fornisse la prova che proprio le barbatelle acquistate erano state collocate nel luogo analizzato dal dott. Co.. Tale prova è mancata. Al riguardo la Corte torinese rilevava che non vi era stata prova rigorosa sulla collocazione delle barbatelle e che la dichiarazione del dott. Co. non era sufficiente a provare che proprio le barbatelle acquistate erano state collocate in loco. Insomma, concludeva la Corte torinese la parte, originaria attrice del presente processo, non aveva assolto all’onere della prova su di lei gravante ex art. 1497 cod. civ. dell’inadempimento del contratto, con la fornitura di merce diversa dalla pattuita. D’altra parte, contrariamente a quanto sostiene la parte ricorrente, ritenere che il fornitore abbia fornito barbatelle di Sauvignon e non barbatelle Chardonnay solo perchè il dott. Co. aveva riscontato in terreno di proprietà dell’ A. vitigni di Sauvignon, significa dare per dimostrato ciò che, invece, avrebbe dovuto essere dimostrato e, cioè, che in quel terreno erano state trapiantate proprio le barbatelle vendute dal C..

1.2. La stessa Corte torinese, altresì, nell’aver affermato che l’ A. non aveva dato prova certa e rigorosa dell’inadempimento contrattuale del C., mostra di aver esaminato l’intera documentazione presente in giudizio, e, in particolare, quella depositata dalla A., escludendo con un suo insindacabile giudizio di merito privo di vizi logici, che la stessa abbia offerto la prova necessaria e “rigorosa” dell’inadempimento del contratto.

1.3. La decisione, pertanto, della Corte di Appello di Torino non solo da conto delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento dell’iter logico seguito, ma non contiene contraddizioni, nè appare insufficiente. E’ giusto il caso di ribadire che l’omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile un’obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della “ratio decidendi”, e, cioè, l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata. Questi i vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove date dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente i previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova.

2 Con il secondo motivo la ricorrente, A.R., lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e artt. 1988, 1324, 1362 e ss., e 2735 cod. civ.. Avrebbe errato la Corte di Appello di Torino secondo la ricorrente per aver escluso che la lettera, dell’appellante ( C.P.) non aveva alcuna valenza confessoria, non ammettendo nulla circa una propria responsabilità. Piuttosto ritiene la ricorrente come bene aveva evidenziato il Giudice di primo grado la lettera del C.P. aveva una portata confessoria dal momento che in tale documento il C. affermava di rendersi disponibile a risarcire il danno causato dalla non rispondenza varietà delle 600 viti vendute nel 1991 lamentata dalla A..

La lettera de qua – sempre secondo la ricorrente pertanto, non potrebbe non avere una natura confessoria, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale laddove afferma che tale lettera non conterrebbe alcuna forma di riconoscimento della cessione di barbatelle diverse da quelli; pattuite. Tale assunto, invece, costituirebbe – secondo ancora la ricorrente – un’interpretazione del testo letterale di tale missiva alquanto singolare, che sfuggirebbe alla letteralità che alle ben più larghe maglie di un’interpretazione analogica, ma, soprattutto si porrebbe in contrasto con il disposto di cui agli artt. 1988, 1324 e 1362 cod. civ..

2.1. La censura non è fondata e non può essere accolta non solo perchè sostanzialmente la ricorrente richiederebbe una nuova e diversa valutazione:

del documento valutato dalla Corte di Appello di Torino, inibita in questa sede, ma, e, soprattutto perchè, la valutazione di quel documento non è contraddittoria e rispetta i canoni ermeneutici richiamati dallo stesso ricorrente.

2.2. E’ utile ricordare che ai sensi dell’art. 1363 cod. civ. le clausole del contratto, e in ragione dell’art. 1324 cod. le espressioni dell’atto unilaterale, si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto. Ciò significa, per il caso di specie che l’espressione evocata dalla ricorrente, non può essere intesa isolatamente ma, al contrario, in collegamento con le altre espressioni contenute nello stesso documento ed inserita nel contesto globale del documento stesso.

2.3. Ora, a ben vedere, la Corte torinese nell’affermare che l’espressione richiamata dalla ricorrente (cioè, quella secondo cui il C. avrebbe affermato di rendersi disponibile a risarcire il danno causato dalla non rispondenza varietale delle 600 viti vendute nel 1991), non aveva il senso di un’assunzione di responsabilità, ha tenuto conto, e valutato, sia le espressioni che la precedevano e sia quella che la seguiva, entrambe richiamate dallo stesso ricorrente, confermate dal contro ricorrente e riportate dalla stessa sentenza impugnata. Come ha evidenziato la stessa ricorrente, l’espressione di, cui si dice è preceduta da altra espressione con la quale il fornitore specificava che fino ad allora nessuna azienda a cui aveva effettuato forniture si era ritenuta insoddisfatta, quanto dire che nessuna altra azienda che aveva ricevuto forniture di barbatelle, aveva lamentato l’inconveniente evidenziato dalla A. e da altra (espressione) con la quale si specificava che le barbatelle standard erano potenzialmente soggette ad una certa variabilità di caratteri che, tuttavia, non giustificavano la mescolanza varietale, il che voleva significare che per il fornitore era impossibile che la fornitura consegnata di barbatelle di Chardonnay avesse determinato una creazione di vitigni Sauvignon: A sua volta, quella stessa espressione era seguita dall’espressione secondo cui appariva necessario dare incarico ad un professionista di comune fiducia perchè accertasse l’effettivo danno lamentato.

Sicchè l’espressione di cui si dice, nel contesto globale del documento esaminato – secondo la Corte torinese – con giudizio privo di vizi logici – e coerente con la normativa richiamata, non poteva essere quello di un’assunzione di responsabilità, nè un riconoscimento da parte del C., di aver consegnato barbatelle diverse da quelle che sono state richieste, ma, semplicemente, una dichiarazione di disponibilità che avrebbe potuto diventare operativa solo nell’ipotesi in cui la lamentela dell’ A. avesse trovato un riscontro in una perizia “estimativa, scritta e asseverata poi in Tribunale”.

In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione così come verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, il 28 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2011

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