Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22100 del 04/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/09/2019, (ud. 19/03/2019, dep. 04/09/2019), n.22100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2358/2015 proposto da:

B.G., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato RAFFAELE FERRARA;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso

lo studio TOFFOLETTO – RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, rappresentata e

difesa dall’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE;

– controricorrenta –

avverso la sentenza n. 4476/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/07/2014 R.G.N. 8868/2012.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che con sentenza n. 4476/2014, depositata il 3 luglio 2014, la Corte di appello di Napoli ha respinto il gravame di B.G. e confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva rigettato la domanda del lavoratore volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli da Poste Italiane S.p.A., con lettera 6 aprile 2009, per assenza ingiustificata dal servizio;

– che la Corte di appello ha osservato a sostegno della propria decisione come il B. non potesse legittimamente invocare l’inadempimento del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 1460 c.c., posto che la società aveva dimostrato la sussistenza delle ragioni che avevano reso necessario trasferire il dipendente ad altro ufficio, come precisate nella memoria difensiva del primo grado di giudizio (e cioè l’affiancamento al suo responsabile per una successiva sostituzione), senza che potesse rilevare – alla stregua della citata giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 11984/20010) – il fatto che nella comunicazione di trasferimento in data 26 novembre 2008 tali ragioni fossero state diversamente indicate (assegnazione a mansioni di operatore di sportello);

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore con tre motivi, cui ha resistito Poste Italiane S.p.A. con controricorso;

rilevato:

che con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 2, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 2697 e 1460 c.c., il ricorrente censura la sentenza di appello per avere erroneamente interpretato la giurisprudenza richiamata, pervenendo a ritenere infondata l’eccezione di inadempimento, e per non avere valutato la documentazione allegata agli atti, ovvero la corrispondenza fra le parti attestante la richiesta, da parte del lavoratore, dei motivi del trasferimento;

– che con il secondo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione agli artt. 2103 e 2697 c.c., il ricorrente si duole che la Corte del merito abbia ritenuto provato quanto sostenuto nella memoria difensiva della società, vale a dire che il trasferimento sarebbe stato giustificato dall’esigenza di affiancare il responsabile dell’ufficio postale di destinazione in vista del suo prossimo pensionamento, peraltro sulla base di un’erronea valutazione delle risultanze delle prove testimoniali;

– che con il terzo, deducendo il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente si duole della mancata considerazione in sentenza di documenti decisivi per la risoluzione della controversia, costituiti dalla corrispondenza inoltrata a richiesta dei motivi posti alla base del trasferimento;

osservato:

che il primo motivo è, per una parte, infondato;

– che infatti la Corte territoriale si è uniformata, esattamente applicandolo, al principio di diritto, ancora di recente ribadito, per il quale “in tema di mutamento della sede di lavoro del lavoratore, sebbene il provvedimento di trasferimento non sia soggetto ad alcun onere di forma e non debba necessariamente contenere l’indicazione dei motivi, nè il datore di lavoro abbia l’obbligo di rispondere al lavoratore che li richieda, ove sia contestata la legittimità del trasferimento, il datore di lavoro ha l’onere di allegare e provare in giudizio le fondate ragioni che lo hanno determinato e, se può integrare o modificare la motivazione eventualmente enunciata nel provvedimento, non può limitarsi a negare la sussistenza dei motivi di illegittimità oggetto di allegazione e richiesta probatoria della controparte, ma deve comunque dimostrare le reali ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il provvedimento” (Cass. n. 807/2017; conf. Cass. n. 11984/2010, già richiamata in sentenza);

– che il motivo in esame risulta, per altra parte, inammissibile, in forza della preclusione di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c. e a fronte di giudizio di appello introdotto con ricorso depositato in data 26/10/2012, là dove sostanzialmente denuncia – come il secondo (cfr. sentenza impugnata, p. 14) – un vizio di motivazione, dietro lo schermo della violazione e falsa applicazione di norme di diritto;

– che in ogni caso deve essere confermato, quanto al primo e al secondo motivo, il principio, secondo il quale la censura di violazione dell’art. 2697 c.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 13395/2018); ancora quanto al primo e al secondo motivo, il principio, secondo cui il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto ma un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nella nuova formulazione derivante dalle modifiche introdotte nel 2012 (Cass. n. 23940/2017);

– che, per le considerazioni già svolte, è inammissibile altresì il terzo motivo, con il quale anche formalmente viene dedotto il vizio di cui all’art. 360, n. 5; nè il ricorrente, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo, ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2014 e successive conformi);

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2019

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