Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22099 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. I, 13/10/2020, (ud. 17/09/2020, dep. 13/10/2020), n.22099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 27566-2018 r.g. proposto da:

D.M., (C.F. (OMISSIS)), rappresentato e difeso

dall’avvocato COSIMO CASTRIGNANO’ e domiciliato presso la

cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositata il 27/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/9/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

Ceroni Francesca, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avv. Cosimo Castrignanò, che ha chiesto

accogliersi il proprio ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con decreto del 27.7.2018, notificato il 7.8.2018, il Tribunale di Lecce respingeva il ricorso interposto da D.M., ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Lecce in data 6.10.2017, notificata l’11.12.2017.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto il D. affidandosi a quattro motivi.

Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Con ordinanza datata 24.11.2020 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo affinchè fosse trattata in udienza pubblica, con riferimento alla questione dedotta nel secondo motivo di ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’omessa motivazione su un fatto decisivo, perchè il giudice di merito non avrebbe esaminato le eccezioni sollevate in quella sede in relazione alla violazione del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 14 ed alla nullità del provvedimento per mancanza della sua traduzione integrale.

2.Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la mancata assunzione dei mezzi di prova e la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 35 bis e 10 in relazione all’art. 24 Cost., perchè il Tribunale avrebbe omesso di attivare i propri poteri istruttori ufficiosi in assenza della videoregistrazione dell’audizione del ricorrente svoltasi in fase amministrativa.

3.Con il terzo motivo di censura il D. lamenta la violazione degli artt. 50-bis e 738 c.p.c. perchè l’udienza di comparizione sarebbe stata celebrata di fronte ad un giudice monocratico e non di fronte al collegio.

4.Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 7 e il difetto di motivazione perchè il Tribunale avrebbe fondato la propria valutazione negativa su parametri difformi da quelli previsti dalla legge, senza approfondire la storia narrata dal richiedente la protezione attraverso l’uso dei poteri ufficiosi, senza accogliere le istanze istruttorie formulate dal D. e non tenendo conto della situazione di grave instabilità e violenza diffusa esistente in Senegal, Paese di origine del richiedente.

5. Il ricorso è infondato.

5.1 Il primo motivo di censura è invece inammissibile per evidente violazione dell’art. 366 c.p.c,, comma 1, n. 6, in relazione al rispetto del principio di autosufficienza del ricorso.

5.1.1 Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019; Sez. L, Ordinanza n. 27 del 03/01/2020). Va aggiunto che, sempre secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (cfr. anche Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 29093 del 13/11/2018), i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza.

Ciò posto in termini generali, va osservato come la parte oggi ricorrente non abbia in alcun modo specificato in quale difesa avesse proposto le doglianze avanzate nel primo motivo di censura, così rendendo la censura generica ed anche nuova rispetto ai motivi di opposizione presentati innanzi al giudice del merito.

Del resto, va aggiunto che – anche per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), – il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (cfr. Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 1926 del 03/02/2015).

Le menzionate allegazioni sono del tutto mancanti nel ricorso introduttivo in relazione alle doglianze sollevate nel primo motivo di ricorso che è dunque destinato ad una inevitabile declaratoria di inammissibilità.

5.2 Il secondo motivo è invece infondato.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale si è sottratto totalmente al dovere di cooperazione. Più in particolare, in considerazione del fatto che la videoregistrazione del colloquio non era avvenuta, il giudice di merito avrebbe potuto, nell’udienza fissata ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis ascoltare nuovamente il ricorrente soprattutto per dipanare le presunte lacune del suo racconto.

5.1. L’esame della censura non può prescindere da una sorta di actio finium regundorum dei limiti del presente giudizio: premesso che non è dubitabile che il giudice del merito abbia la facoltà, in virtù dei principi generali (nella specie accentuati dall’obbligo di cooperazione), di disporre l’audizione del richiedente, si tratta di stabilire, come suggerisce l’ordinanza di rimessione alla pubblica udienza, se (ed eventualmente, a quali condizioni) in assenza della videoregistrazione del colloquio, sussista l’obbligo di procedere all’effettuazione di tale incombente.

5.2 Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.

Va osservato che questa Corte ha già statuito che nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, anche ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Cass. n. 5973/2019).

Tale interpretazione è conforme agli artt. 12, 14, 31 e 46 della direttiva 2013/32/UE, secondo l’interpretazione che ne ha dato la Corte di Giustizia UE.

Tale Corte, infatti, nella sentenza 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko, ha statuito che “La direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare i suoi artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’art. 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva”.

La Corte di Giustizia, ha, in particolare, evidenziato, nella sentenza sopra citata, ai punti 42,43 e 44, che l’accertamento di una eventuale violazione dei diritti della difesa deve essere sempre condotto alla luce delle circostanze specifiche che caratterizzano la singola fattispecie, avendo riguardo alla natura dell’atto, del contesto in cui è stato adottato e delle norme che regolano la materia interessata. Ne consegue che l’obbligo di esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto – previsto dall’art. 46, paragrafo 3, della direttiva procedure – deve essere interpretato alla luce dell’intero procedimento di esame della domanda di asilo, segnatamente con riguardo alla stretta interconnessione tra il procedimento di impugnazione e quello di primo grado davanti all’autorità amministrativa, nell’ambito del quale l’art. 14 della direttiva attribuisce al richiedente il diritto al colloquio personale. Peraltro, dato che, in caso di eventuale ricorso, il verbale dell’audizione deve essere inserito nel fascicolo e costituisce un elemento fondamentale nell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto condotto dal giudice adito, qualora il giudice ritenga di poter decidere sulla base dei soli elementi del fascicolo come nel caso di una domanda manifestamente infondata – non sussisterà in capo allo stesso alcun obbligo di ascoltare nuovamente il richiedente per espletare correttamente l’esame previsto dall’art. 46, paragrafo 3, della direttiva. In detto caso, un’accelerazione della procedura viene considerata rispondente all’interesse sia degli Stati membri, sia del richiedente stesso. 5.2.1 Nè, peraltro, l’obbligo del giudice investito dell’impugnazione di provvedere necessariamente ad una nuova audizione del richiedente può eventualmente affermarsi in relazione a quanto affermato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza del 19 marzo 2020 C-406/18, che, nel fare riferimento alla sentenza Sacko sopra esaminata, ha così ha osservato al punto 31:

“la Corte ha anche avuto occasione di rammentare che, in linea di principio, è necessario prevedere, nella fase giurisdizionale, un’audizione del richiedente a meno che non ricorrano determinate condizioni cumulative”.

In proposito, va osservato che tale affermazione è stata argomentata con il mero richiamo specifico ai punti nn. 37 e da 44 a 48 della precedente sentenza del 26 luglio 2017 C-348/16 dall’esame dei quali, tuttavia, non emerge affatto il riconoscimento del diritto del richiedente di essere sempre e comunque sentito in sede giurisdizionale.

Esaminando nel dettaglio tali punti, è pur vero che nel punto 37 della sentenza Sacko viene osservato che l’assenza di audizione del richiedente nel corso di una procedura di ricorso integra una restrizione del diritti della difesa, tuttavia, al punto 38, la Corte UE aveva precisato che “secondo la giurisprudenza costante della Corte, i diritti fondamentali, quale il rispetto dei diritti della difesa, ivi compreso il diritto di essere ascoltato, non si configurano come prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione che questa rispondano effettivamente agli obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato ed inaccettabile, tale da ledere la sostanza dei diritti garantiti..”

Al punto 39, la Corte Ue aveva, altresì, evidenziato che “un’interpretazione del diritto di essere ascoltato – che è garantito dall’art. 47 della Carta – nel senso che quest’ultimo diritto non riveste un carattere assoluto è avvalorata dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, alla luce della quale deve essere interpretato il citato art. 47 posto che i suoi commi 1 e 2 corrispondono all’art. 6, paragrafo 1, e all’art. 13 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (sentenza del 30 giugno 2016, Toma e Biroul Executorului.ludecatoresc Horatiu- Vasile Cruduleci, C205/15, Eu:C2016:499, punti 40 e 41 giurisprudenza citata)…”.

Nell’ulteriore sviluppo argomentativo, la Corte UE era poi giunta alle conclusioni già sopra illustrate (punti 42, 43 e 44), ovvero che la necessità che il giudice investito del ricorso ex art. 46 della direttiva 2013/32 proceda all’audizione del richiedente deve essere valutata alla luce del suo obbligo di procedere all’esame completo ed ex nunc contemplato dall’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva, che va, a sua volta, interpretato nel contesto dell’intera procedura d’esame delle domande di protezione internazionale disciplinata da tale direttiva, che è caratterizzata da una stretta connessione tra la procedura di impugnazione dinanzi al giudice e la procedura di primo grado che la precede.

All’esito del suo articolato percorso motivazionale, la Corte ha, infine, affermato (sempre al punto 44) che “tale giudice può decidere di non procedere all’audizione del richiedente nell’ambito del ricorso dinanzi ad esso solo nel caso in cui ritenga di poter effettuare un esame siffatto in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso, se del caso, il verbale o la trascrizione del colloquio personale con il richiedente in occasione del procedimento di primo grado”.

Infine, la Corte di Giustizia, nella predetta sentenza del 26 luglio 2017 C348/16, Moussa Sacko, nell’intento di lasciare al giudice ampia discrezionalità nell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e diritto di cui all’art. 46 direttiva, ha concluso al punto 48, che, “sebbene l’art. 46 della direttiva 2013/32 non obblighi il giudice adito con ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale ad ascoltare il richiedente in tutti i casi”, il legislatore nazionale non può impedire al giudice investito del ricorso di organizzare l’audizione del richiedente se lo ritiene necessario ai fini dell’esame.

Nessuno spunto può quindi trarsi dalla sentenza Sacko, richiamata dalla più recente 19 marzo 2020 C-406/18, per configurare in capo al giudice l’obbligo di sentire sempre e comunque il richiedente in sede di ricorso di impugnazione.

5.2.2 Neppure la sentenza della Corte Gius. Ue del 6 luglio 2020 C-517/17, Mikiyos Addis, fornisce elementi utili per sostenere la tesi della necessaria audizione del richiedente da parte del giudice.

La sentenza in esame è intervenuta in una fattispecie in cui l’autorità Amministrativa tedesca aveva rigettato l’istanza di protezione del richiedente senza il previo colloquio personale ed ha ritenuto, al punto 68, che sarebbe incompatibile con l’effetto utile della direttive procedure, in particolare con gli artt. 14, 15 e 34 che il giudice investito del ricorso possa confermare una decisione adottata dall’autorità accertante in violazione dell’obbligo di dare al ricorrente la facoltà di sostenere il colloquio personale senza procedere esso stesso all’audizione del richiedente.

Al punto 69 viene quindi affermato che, in mancanza di una siffatta audizione, il diritto del richiedente ad un colloquio personale ” non sarebbe garantito in nessuna fase della procedura d’asilo”, il che vanificherebbe una garanzia che il legislatore dell’Unione ha ritenuto fondamentale nell’ambito di tale procedura”.

In conclusione, anche in quest’ultima sentenza, la Corte di Giustizia, non confutando il principio in precedenza affermato della stretta connessione tra la procedura di impugnazione dinanzi al giudice e la procedura di primo grado che la precede, ha ritenuto essenziale garantire al richiedente non il diritto al colloquio in ogni fase della procedura, ma almeno in una fase, che sarà quella di natura giurisdizionale, ove il diritto al colloquio non sia stato garantito in quella amministrativa o giurisdizionale (come appunto avvenuto nel caso esaminato dalla sentenza Mikiyos Addis).

5.2.3 Di tutt’altro tenore sono, invece, le ulteriori pronunce della Corte di Giustizia UE (sentenza del 25 luglio 2018, C- 585/16, Alheto, e del 4 ottobre 2018, Nigyar Rauf Kaza Ahmedbekiva, C – 652/16), che hanno precisato che la locuzione “ex nunc” e l’aggettivo “completo” mettono in evidenza l’obbligo del giudice di procedere ad una valutazione che tenga conto, se del caso, dei nuovi elementi intervenuti dopo l’adozione della decisione da parte dell’Autorità amministrativa, purchè i nuovi elementi non siano stati dedotti in una fase tardiva del procedimento di ricorso e siano stati presentati in maniera sufficientemente concreta per essere esaminati e siano sufficientemente distinti dagli elementi che l’autorità accertante aveva già considerato.

5.2.3.1 Anche alla luce di tali autorevoli decisioni comunitarie, questa Corte ha già statuito che, in considerazione della necessità di leggere il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis in conformità al disposto dell’art. 46, par. 3, della direttiva 2013/32/UE, nell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia UE, ove il ricorso contro il provvedimento di diniego di protezione contenga motivi o elementi di fatto nuovi (sempre che risultino sufficientemente circostanziati e rilevanti), il giudice, se richiesto, non può sottrarsi all’audizione del richiedente, trattandosi di strumento essenziale per verificare, anche in relazione a tali nuove allegazioni, la coerenza e la plausibilità del racconto, quali presupposti per attivare il dovere di cooperazione istruttoria (Cass. n. 27073 del 23/10/2019).

5.2.3.2 In particolare, è stato evidenziato dalla pronuncia sopra citata che “..in tal caso, non appare sufficiente a garantire la tutela del contraddittorio la mera fissazione dell’udienza di comparizione, atteso che l’esame completo ed ex nunc della pretesa del richiedente, affermato dal citato art. 46 par. 3 della direttiva 2013/31, non può prescindere dall’audizione, sui nuovi fatti, del richiedente medesimo, se da costui sollecitata, quale necessario strumento per la realizzazione dell’effettività della tutela, affermata dall’art. 46 par. 1 della direttiva citata…”.

4.2.3.3 Ad un tale fondamentale approdo questa Corte, nella citata sentenza n. 27073/2019, è pervenuta dopo aver condivisibilmente rilevato come l’audizione del ricorrente sui nuovi temi introdotti nel ricorso (se sufficientemente distinti e significativi) costituisca il momento centrale in cui si esprime il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, ove su quei temi il richiedente non sia stato sentito dalla Commissione, tenuto conto che “..l’audizione costituisce uno strumento essenziale per valutare la coerenza e credibilità del racconto, non solo sulla base del suo contenuto, ma anche delle modalità attraverso cui esso viene riferito dal richiedente (e ciò giustifica la previsione della obbligatoria videoregistrazione del colloquio D.Lgs. n. 35 del 2008, ex art. 35 bis) a fronte di situazioni solitamente assai difficili da documentare o da provare compiutamente…”.

4.2.4 Giova, a questo punto, evidenziare che le riflessioni scaturenti dall’esame della normativa e dalla giurisprudenza comunitaria possono rivelarsi inappaganti alla luce dell’obbligo di procedere alla videoregistrazione del colloquio e della sua conseguente acquisizione agli atti della fase giudiziaria successiva a quella svoltasi davanti alla commissione, previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, richiamato art. 35 bis.

Tale quid pluris del nostro ordinamento induce ad indagare in maniera approfondita sul rapporto fra il colloquio e la sua videoregistrazione: quest’ultima costituisce, all’evidenza, un indispensabile strumento per consentire al giudice di procedere a un esame completo degli aspetti narrati dal richiedente la protezione internazionale (si sono espresse in termini di videoregistrazione quale elemento centrale del procedimento, per consentire al giudice di valutare il colloquio con il richiedente in tutti i suoi risvolti, inclusi quelli non verbali, Cass. 17717/2018 e 2817/2019, richiamate da Cass. n. 27073/2019).

Peraltro, anche la presenza di una videoregistrazione non toglie che l’audizione dell’interessato rappresenti comunque un momento centrale per valutare la credibilità e la coerenza del racconto del richiedente, come può desumersi, invero, anche dal D.Lgs. n. 35 del 2008, art. 35 bis, comma 10, lett. a) (che pur rimette la doverosità dell’audizione alla valutazione del giudice) secondo cui:” E’ fissata udienza per la comparizione delle parti esclusivamente quando il giudice: a) visionata la registrazione di cui al comma 8, ritiene necessario disporre l’audizione dell’interessato…”.

Tuttavia, ove il giudice non ritenga doverosa l’audizione del richiedente e manchi la videoregistrazione del colloquio del richiedente innanzi alla Commissione, ad avviso di questo Collegio, se, da un lato – come è stato più volte sopra ribadito – la necessità di dar corso a tale audizione non costituisce una conseguenza automatica della fissazione dell’udienza di comparizione, in ogni caso, lo stesso giudice non può sottrarsi comunque a tale incombente (oltre che nell’ipotesi già evidenziata di nuove allegazioni), in primo luogo, quando ritenga indispensabile richiedere chiarimenti alle parti.

In una tale eventualità, anche se l’art. 35 bis, comma 10, lett. b) si limita a prevedere come doverosa la sola fissazione dell’udienza di comparizione, un’interpretazione della norma predetta, che contempli anche la necessità dell’audizione del richiedente, si impone, per garantire al richiedente il diritto ad una tutela effettiva a norma dell’art. 46 par. 1 della direttiva 2013/32, quantomeno nei casi in cui il giudice ritenga indispensabile richiedere chiarimenti alle parti in ordine ad eventuali incongruenze e/o contraddizioni riguardanti il racconto reso dal richiedente innanzi alla Commissione Territoriale.

In tali casi, ove il giudice si limitasse a richiedere ed ottenere i chiarimenti soltanto mediante allegazioni di natura cartolare, a prescindere dal rilievo che senza l’audizione dell’interessato verrebbe meno uno strumento essenziale per valutare la coerenza e credibilità del racconto, in ogni caso, si impedirebbe l’acquisizione di materiale probatorio utile per la decisione, soprattutto se favorevole al richiedente, tenuto conto che, a norma dell’art. 3, comma 5, in virtù del c.d. principio dell’onere della prova attenuato, anche le stesse dichiarazioni del richiedente possono essere poste a fondamento del diritto vantato dal ricorrente con la domanda di protezione internazionale se….” a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) il richiedente ha presentato la domanda

di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile…”.

5.2.5 Ritiene, inoltre, questo Collegio, che, in mancanza della videoregistrazione del colloquio innanzi alla Commissione Territoriale, sia doverosa comunque una nuova audizione del richiedente in sede giurisdizionale non solo quando il giudice ritenga indispensabile richiedere chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente (verosimilmente evidenziate nel decreto di rigetto della Commissione Territoriale e poste a fondamento del giudizio di inattendibilità del racconto), ma anche quando quest’ultimo ne faccia apposita istanza nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti.

5.2.5.1 Una tale interpretazione si impone in quanto se, da un lato, si ammette, ai fini dell’esame completo ed ex nunc della pretesa del richiedente, che il giudice sia tenuto all’audizione del richiedente che abbia svolto nuove allegazioni, ove sufficientemente circostanziate e rilevanti, dall’altro, non vi è motivo per cui il giudice debba sottrarsi al dovere di approfondimento istruttorio – soprattutto in assenza della videoregistrazione del colloquio – in relazione ai chiarimenti sollecitati dallo stesso ricorrente in ordine alle eventuali contraddizioni e/o incongruenze rilevate nel suo racconto dalla Commissione Territoriale, purchè la sua istanza sia, analogamente, circostanziata e specifica.

5.2.5.2 Ritiene, infatti, questo Collegio che, non avendo il giudizio D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis natura di impugnazione in senso stretto del provvedimento amministrativo della Commissione territoriale, il richiedente, nel determinare il thema decidendum in sede giurisdizionale, così come può allegare nuovi elementi di fatto a fondamento della sua pretesa (vedi Cass. n. 27073, che ha richiamato Cass. S.U. n. 19393/2009 e Cass. n. 7385/2017), altrettanto, può precisare gli elementi già dedotti in sede amministrativa – con un’eventuale diversa chiave di lettura – offrendosi di fornire quei chiarimenti resisi necessari in relazione alle valutazioni svolte dalla Commissione territoriale nel decreto di rigetto.

5.2.5.3. L’obbligo del giudice di provvedere all’audizione del richiedente che abbia formulato nel ricorso un’istanza circostanziata, nei termini sopra illustrati, trova – come in caso di nuove allegazioni – parimenti una giustificazione in base al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, sancito dall’art. 46 par. 1 direttiva 2013/32, alla luce del quale va letto anche l’art. 16 (contenuto del colloquio personale) della direttiva procedure (2013/32/UE), secondo cui “Nel condurre il colloquio personale sul merito di una domanda di protezione internazionale, l’autorità accertante assicura che al richiedente sia data una congrua possibilità di presentare gli elementi necessari a motivare la domanda ai sensi dell’art. 4 della direttiva 2011/95/UE nel modo più completo possibile. In particolare, il richiedente deve avere l’opportunità di spiegare l’eventuale assenza di elementi e/o le eventuali incoerenze o contraddizioni delle sue dichiarazioni”.

5.2.5.4 Esaminando il testo del predetto articolo della direttiva, va osservato che è innegabile, in primo luogo, che l’art. 16 disciplini le modalità di conduzione del colloquio personale innanzi alla sola Autorità accertante (la Commissione Territoriale in Italia), non occupandosi specificamente del tema in oggetto. Tuttavia, non vi è dubbio che la stessa norma esprima un’esigenza di tutela del diritto di difesa – inequivocabile è l’espressione “il richiedente deve avere l’opportunità di spiegare….” che deve essere garantita all’interessato non solo nella fase amministrativa, ma anche nell’ambito della procedimento di natura giurisdizionale.

5.2.5.5 Ne consegue che, ove eventuali incongruenze e/o contraddizioni delle dichiarazioni del richiedente – che sono poi state poste dalla Commissione territoriale a fondamento del giudizio di inattendibilità del suo racconto – non siano state contestate al medesimo nell’immediatezza durante il colloquio personale in sede amministrativa, ma sono state evidenziate solo nel provvedimento di rigetto della stessa Commissione, allo stesso richiedente deve essere fornita l’opportunità di rendere i dovuti chiarimenti, a quel punto, in sede giurisdizionale, previa richiesta circostanziata di nuova audizione, che deve essere avanzata nel ricorso.

Quest’ultima precisazione si impone, da un lato, in virtù dell’esigenza, costantemente affermata da questa Corte, di coniugare il dovere di cooperazione istruttoria con il principio dispositivo (Cass. 27336/2018; Cass. n. 3016/2019; Cass. n. 19197/2015), e, dall’altro, con la necessità di tener conto della doverosa celerità del procedimento, resa palese dal complesso delle disposizioni emanate a tal fine, dall’abolizione di un grado di giudizio alla riduzione dei termini per proporre impugnazione.

5.2.5.6 E’, in ogni caso, escluso che il giudice debba disporre una nuova audizione del richiedente (salvo che lo stesso giudice non lo ritenga necessario) in difetto di un’istanza di quest’ultimo contenuta nel ricorso, o comunque allorquando tale eventuale richiesta sia stata formulata in termini generici.

La valutazione in ordine alla natura circostanziata o solo generica dell’istanza di audizione del richiedente, eventualmente contenuta nel ricorso, è demandata in via esclusiva al giudice di merito, la cui motivazione deve essere strettamente correlata alla specificità dell’istanza ed è sindacabile in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato alla luce dei parametri della sentenza delle SS.UU n. 8053/2014. Peraltro, ove il giudice di merito ometta di pronunciarsi sull’istanza di audizione formulata dal richiedente, tale omissione è parimenti censurabile sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 13716 del 05/07/2016; conf. Cass. 24830/2017; Cass. 6715/2013).

5.2.5.7. Va, infine, osservato, a completezza del percorso argomentativo sinora sviluppato, che il giudice non deve provvedere all’audizione del richiedente nei casi in cui la domanda venga ritenuta dallo stesso manifestamente infondata o inammissibile per ragioni diverse dal giudizio formulato sulla base di incongruenze che, alla luce di quanto sopra evidenziato, possano o debbano essere chiarite attraverso l’audizione del richiedente.

Sul punto, è indubitabile che le ragioni in base alle quali il giudice (così come la Commissione Territoriale) può non accogliere la domanda di protezione non sono necessariamente legate alla ritenuta inattendibilità del racconto del richiedente, il quale può aver riferito circostanze che, seppur ritenute credibili dal giudice, sono valutate come estranee, come non rientranti nelle fattispecie contemplate dalla legge come fondanti le richieste di protezione internazionale o umanitaria.

Oltre alle ipotesi di ritenuta manifesta infondatezza della domanda, il giudice non è in alcun modo tenuto a disporre l’audizione del richiedente anche ove il ricorso sia ritenuto inammissibile per questioni di natura processuale.

5.2.5.8. Deve quindi formularsi il seguente principio di diritto:

“Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che:

a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda;

b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente;

c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile”.

Nel caso in esame il Tribunale di Lecce ha escluso la sussistenza delle condizioni che, in base ai principi sopra indicati, impongono di procedere a una nuova audizione, avendo ritenuto che le circostanze dichiarate dal ricorrente, come trasfuse nel verbale di audizione, devono ritenersi esaustive ai fini della decisione e che inoltre la difesa del ricorrente non aveva allegato circostanze nuove rispetto a quelle già dedotte innanzi alla commissione territoriale, tali da necessitare un ulteriore approfondimento istruttorio tramite l’audizione del richiedente stesso. Di tali ragioni, espressamente enunciate dal Tribunale, il ricorrente non si fa carico, omettendone qualsiasi critica, di talchè la censura si appalesa del tutto generica e come tale inammissibile (vedi sul punto anche Cass. n. 8931/2020).

5.3 Il terzo motivo è invece infondato, non rintracciandosi alcun profilo di nullità nel provvedimento impugnato in relazione alla denunciata mancanza di collegialità nella conduzione dell’istruttoria, che anzi può essere delegata ad un componente del collegio, prevedendosi la riserva di collegialità solo in riferimento alla fase decisoria.

5.4 Il quarto motivo è, invece, inammissibile.

Il motivo – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, – è inammissibile perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna del Senegal, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che nel Senegal non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata.

Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese dell’odierno giudizio di legittimità, in assenza di difese da parte dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 96602019.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

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