Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22098 del 04/09/2019

Cassazione civile sez. II, 04/09/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 04/09/2019), n.22098

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15297/2015 proposto da:

B.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA,

11, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO PROTO, rappresentata e

difesa dall’avvocato FABRIZIO SENATORE giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

09/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con decreto del 9.12.2014 la Corte d’appello di Napoli dichiarava improponibile la domanda proposta dall’odierna ricorrente per ottenere la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento di un equo indennizzo, per l’eccessiva durata di un processo amministrativo svoltosi innanzi al TAR Campania – Salerno tra il 1999 ed il 2010. A base della pronuncia, la mancata presentazione dell’istanza di prelievo.

La cassazione di tale decreto è stata chiesta dalla ricorrente sulla base di un motivo.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto attività difensiva.

Preliminarmente deve darsi atto del tardivo deposito di memorie a cura della ricorrente, avvenuto in data 15/5/2019, oltre il termine di dieci giorni prima dell’udienza camerale di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c., non potendo quindi tenersi conto del loro contenuto ai fini della decisione.

Il motivo denuncia la violazione o falsa applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, conv. nella L. n. 133 del 2008 e successive modifiche, evidenziandosi che il processo presupposto si è concluso in data anteriore all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, non essendo applicabile quindi la formulazione della norma che determina l’improponibilità della domanda di equa riparazione per l’intera durata del giudizio presupposto.

Questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 2097/2018 ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni in L. n. 133 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 3, comma 23, all. 4, in relazione all’art. 117 Cost., comma 1 e ai parametri interposti dell’art. 6, par. 1, art. 13 e art. 46, par. 1 CEDU.

Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato, dovendo prendersi atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 e successive modifiche, qui rilevante, trattandosi nella specie di procedimento per il quale non risulta applicabile la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, come novellato dalla L. n. 208 del 2015 (attesa la specifica norma transitoria di cui alla stessa L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2 bis, atteso che il processo presupposto alla data del 31 ottobre 2016 avrebbe già superato i termini di durata ragionevole).

La Consulta, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se “effettivi” e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (così, in particolare, Corte Europea dei diritti dell’uomo, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010 – che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex lege Pinto (relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008), per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo – avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente. Ha altresì rammentato che di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU aveva affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. Ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, aveva conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della “legge Pinto” con la disposizione stessa, non potesse essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 della CEDU. Ciò soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo.

Per l’effetto ha ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2, codice del processo amministrativo, la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la; non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata.

La sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordinava la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo per contrasto con i parametri convenzionali della CEDU (art. 6, par. 1), la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell’art. 117 Cost., comma 1, impone quindi la cassazione del decreto impugnato con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli, la quale dovrà in ogni caso considerare, come ribadito dalla Consulta nella menzionata sentenza, che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell’interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo quindi assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non potendo viceversa condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda.

Al giudice del rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso e cassa la decisione impugnata con rinvio anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2019

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