Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22094 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/10/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 13/10/2020), n.22094

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35267-2018 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE n. 114, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PARENTI, che lo

rappresenta e difende

– ricorrente –

contro

P.A. e Z.G.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE TITO LIVIO n. 179, presso lo studio

dell’avvocato GIACOMO FRANCESCO SACCOMANNO, che li rappresenta e

difende

– controricorrenti –

e contro

B.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1276/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 01/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 20.1.2009 P.A. e Z.G.M. evocavano in giudizio innanzi il Tribunale di Siracusa, sezione distaccata di (OMISSIS), B.E. e G.G. per l’accertamento del loro diritto ad edificare sul lotto di loro proprietà sito in territorio del (OMISSIS) senza obbligo di rispetto di alcuna distanza dal confine con la particella distinta nel locale catasto al n. (OMISSIS) ((OMISSIS)), nonchè per la condanna dei convenuti al risarcimento del danno. Gli attori deducevano in particolare di aver venduto con atto del 26.5.1998 al B. la nuda proprietà di alcuni immobili, tra cui la particella n. (OMISSIS) ed 1/3 indiviso della particella n. (OMISSIS); di essersi con detto atto impegnati alla chiusura di alcune finestre esistenti sul loro fabbricato, onde consentire a parte acquirente di edificare sul terreno compravenduto senza il rispetto della distanza minima di mt.10 dalle pareti finestrate; di essersi del pari impegnati, in caso di nuova costruzione sul terreno limitrofo a quello venduto e rimasto di loro proprietà, a rispettare una distanza minima dal confine per consentire la realizzazione di un cavedio idoneo a dare luce ai servizi del fabbricato che il B. intendeva realizzare sul terreno acquistato. Deducevano inoltre che il B. aveva edificato sulla particella n. (OMISSIS) e successivamente retroceduto, con atto del 19.10.2004, agli stessi attori il terzo indiviso della particella n. (OMISSIS). Deducevano ancora di aver intrapreso una nuova costruzione su detta particella n. (OMISSIS) subendo una denuncia di nuova opera da parte dei coniugi B. e G., per asserita violazione degli obblighi di distanza previsti dal rogito del 1998, che era stata inizialmente accolta dal Tribunale, il quale aveva poi, all’esito del reclamo proposto dagli attori, autorizzato comunque la prosecuzione dell’edificazione con alcune cautele.

Si costituivano i convenuti resistendo alla domanda ed invocando, in via riconvenzionale, la condanna degli attori a rispettare le distanze minime previste dal contratto del 26.5.1998.

Con sentenza n. 744 del 2016 il Tribunale rigettava la domanda attrice e, in accoglimento della riconvenzionale, condannava gli attori al rispetto delle distanze di cui all’atto del 1998 ed alla costituzione del cavedio ivi previsto.

Interponevano appello avverso detta decisione P.A. e Z.G.M. e si costituivano in seconde cure, per resistere al gravame, B.E. e G.G..

Con la sentenza n. 1276/2018, oggi impugnata, la Corte di Appello di Catania accoglieva in parte l’impugnazione, condannando gli appellati alla restituzione delle somme loro versate da parte appellante in esecuzione della sentenza di prime cure ed alle spese del doppio grado di giudizio.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione G.G. affidandosi a due motivi.

Resistono con controricorso P.A. e Z.G.M..

B.E., intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè la Corte siciliana non avrebbe sufficientemente e adeguatamente motivato la propria decisione. In particolare, il giudice di secondo grado non avrebbe considerate che il rogito del 2004 non aveva in alcun modo novato gli originari accordi del 1998, onde non poteva essere attribuito rilievo al fatto che esso non contenesse un richiamo specifico alle pattuizioni contenute nel precedente atto del 1998, le quali comunque avrebbero dovuto essere ritenute valide tra le parti. La finalità di detti accordi, rappresentata dall’assicurazione di aria e luce per l’immobile di proprietà della ricorrente, persisteva infatti anche a seguito della retrocessione della particella n. (OMISSIS) realizzata nel 2004.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1360,1362,1362 e 1366 c.c. e ss., in relazione al principio di interpretazione secondo buona fede e all’art. 115 c.p.c., perchè la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che con il rogito del 2004 le parti non intendevano affatto porre nel nulla gli accordi raggiunti nel 1998, ma anzi riaffermarne la validità. La circostanza che il cavedio fosse stato effettivamente realizzato dagli odierni controricorrenti avrebbe dovuto, ad avviso della ricorrente, essere valorizzata dal giudice di merito al fine di ritenere incontroversa la sussistenza, in capo ai predetti controricorrenti, del relativo obbligo.

Le due censure, che si prestano ad un esame congiunto, sono inammissibili. Va innanzitutto ribadito che, essendo il ricorso soggetto, ratione temporis, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo in vigore a seguito della novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, il vizio di motivazione dev’essere interpretato “… alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Restano quindi esclusi tutti i profili di insufficienza o inadeguatezza del percorso motivazionale fatto proprio dal giudice di merito.

Va del pari ribadito che il motivo di ricorso non può mai risolversi “in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento…” del giudice di merito “… tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Nè può essere sindacato in Cassazione il procedimento interpretativo seguito dal giudice di merito, posto che “In tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e ss., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 29111 del 05/12/2017, Rv.646340; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 420 del 12/01/2006, Rv. 586972). Nel caso di specie, la Corte catanese ha ritenuto che le parti avessero inteso, in occasione del rogito del 2004, confermare le pattuizioni del 1998 mediante un generico rinvio alle servitù attive e passive derivanti dall’atto di provenienza, limitandone tuttavia l’efficacia al solo terreno rimasto in proprietà di venditori, e quindi non certamente in relazione alla particella n. (OMISSIS), che dell’atto del 2004 (come già di quello del 1998) costituiva l’oggetto diretto. Tale operazione di ermeneutica contrattuale si risolve in un accertamento di fatto relativo alla volontà delle parti e non è, in quanto tale, utilmente censurabile in Cassazione.

Le censure, con le quali la parte ricorrente invoca in ultima analisi una complessiva rivalutazione e rilettura dei dati fattuali apprezzati dal giudice di merito, vanno dunque dichiarate inammissibili.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza in relazione alla parte controricorrente. Nulla, invece, per la parte rimasta intimata, che non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

 

 

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