Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22092 del 04/09/2019

Cassazione civile sez. II, 04/09/2019, (ud. 08/05/2019, dep. 04/09/2019), n.22092

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16378-2015 proposto da:

P.G.E., B.L.M.,

I.M.E., M.M.N., elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE

LIEGI 28, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO TAMBURRINI,

rappresentati e difesi dall’avvocato ROBERTO RALLO;

– ricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio

dell’avvocato GAETANO DE RUVO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati SAMUELA PISCHEDDA, DANIELA ANZIANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2320/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/05/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’improcedibilità o rigetto

del ricorso;

udito l’Avvocato LEMBO Alessandro, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato RALLO Roberto, l’Avvocato LEMBO Alessandro è altresì

presente con delega dell’Avvocato MAMMOLITI Angelo, nuovo difensore

costituito con procura speciale non notarile, per tre delle parti

ricorrenti, sulla questione della procura la Corte si riserva;

l’Avvocato LEMBO A. chiede di depositare delega e ricorso con

procura in calce notificate all’INPS il 17/6/2015, la Corte si

riserva sulla produzione odierna;

udito l’Avvocato ANZIANO Daniela, difensore del resistente che si

oppone alla produzione e chiede il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – I.M.E., B.L.M., M.M.N. e P.G.E. convennero in giudizio l’I.N.P.S. (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale), la S.C.I.P. (Società di cartolarizzazione di immobili pubblici s.r.l.). Premettendo di essere conduttori di unità immobiliari site in (OMISSIS), originariamente di proprietà dell’I.N.P.S. e poi trasferite alla S.C.I.P. ai fini della loro dismissione, assumendo l’avvenuta stipula di rispettivi contratti preliminari di compravendita in ragione dell’avvenuta accettazione della proposta ad essi indirizzata dall’I.N.P.S. nel settembre del 2006, chiesero, a seguito del rifiuto dell’I.N.P.S. di stipulare gli atti definitivi di compravendita, la pronuncia di sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c., che tenesse luogo dei contratti non conclusi.

Il Tribunale di Milano rigettò le domande. Secondo il giudice di primo grado, pur dovendo ritenersi che le parti avevano concluso contratti preliminari di compravendita degli immobili (in quanto la lettera inviata agli attori dall’I.N.P.S. doveva ritenersi una proposta irrevocabile di vendita, tempestivamente accettata dai destinatari), non poteva tuttavia riconoscersi la tutela ex art. 2932 c.c. in quanto i preliminari non avrebbero contenuto i dati catastali necessari per individuare gli immobili nè sarebbero stato indicato con certezza il prezzo degli stessi.

2. – Sul gravame proposto dagli attori, la Corte di Appello di Milano confermò la pronuncia di primo grado. La Corte territoriale, pur ritenendo chiaramente evincibili dagli atti prodotti sia i dati catastali degli immobili sia il prezzo degli stessi, ritenne tuttavia che la proposta indirizzata dall’I.N.P.S. ai conduttori aveva dato luogo non già ad un diritto di opzione, ma ad una mera prelazione e, perciò, ad un diritto condizionato al mancato mutamento della proposta. E poichè, nella specie, dopo l’accettazione dei conduttori era intervenuto il D.M. 13 aprile 2007 che aveva riclassificato gli immobili qualificandoli “di pregio”, con conseguente determinazione di maggior prezzo, era venuto meno il valore della proposta e non poteva addivenirsi al trasferimento coattivo della proprietà degli immobili.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello hanno proposto ricorso I.M.E., B.L.M., M.M.N. e P.G.E. sulla base di quattro motivi.

Ha resistito con controricorso l’I.N.P.S., in proprio e nella qualità di successore ex lege di S.C.I.P. s.r.l..

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Osserva la Corte come sia preliminare, rispetto all’esame di ogni altra questione, il rilievo dell’improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 1, per la mancata osservanza – da parte dei ricorrenti – dell’onere di depositare, nella cancelleria della Corte, l’originale del ricorso entro il termine di giorni venti dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è stato proposto.

Va in proposito osservato che l’onere di depositare l’originale del ricorso con la relata di notifica – posto dall’art. 369 c.p.c., comma 1, – trova la sua ratio nella necessità di consentire alla Corte di verificare immediatamente l’ammissibilità del ricorso, sia sotto il profilo della sua tempestività che sotto il profilo dell’esistenza di una valida procura speciale.

Tale finalità, di carattere pubblicistico, non è disponibile dalle parti; cosicchè la improcedibilità non può essere superata in ragione della condotta della parte intimata che si sia costituita con controricorso senza nulla eccepire, essendo al contrario la detta improcedibilità rilevabile d’ufficio.

La giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, ha costantemente statuito che il ricorso per cassazione è improcedibile quando di esso sia stata depositata, nel termine di venti giorni dalla notificazione, soltanto una copia non autenticata, e non l’originale (Cass. Sez. Un., n. 9861 del 10/10/1997; conf. Cass., Sez. 6 – L, n. 15544 del 17/09/2012); ed ha precisato che l’omesso o tardivo deposito dell’originale del ricorso per cassazione dopo la scadenza del ventesimo giorno dalla sua notifica comporta l’improcedibilità dello stesso, rilevabile anche d’ufficio e non esclusa dalla costituzione del resistente, posto che il principio – sancito dall’art. 156 c.p.c. – di non rilevabilità della nullità di un atto per mancato raggiungimento dello scopo si riferisce esclusivamente all’inosservanza di forme in senso stretto e non di termini perentori, per i quali vigono apposite e separate disposizioni (Cass. Sez. 6 -2, n. 25453 del 26/10/2017; Cass., Sez. 6 – L, n. 24178 del 29/11/2016; Cass., Sez. 6 – 3, n. 10784 del 26/05/2015; Cass., Sez. 6 – 3, n. 12894 del 24/05/2013; Cass., Sez. 2, n. 15624 del 18/09/2012).

E’ stato anche precisato che il deposito in cancelleria della sola copia fotostatica del ricorso per cassazione, privo della relata di notifica, in luogo dell’originale notificato, non ne comporta l’improcedibilità solo ove quest’ultimo sia depositato separatamente, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., nel termine perentorio di venti giorni dall’ultima notifica ex art. 369 c.p.c., non essendo ammissibile il recupero di una condizione di procedibilità mancante al momento della scadenza del termine per il deposito del ricorso (Cass., Sez. 2, n. 870 del 20/01/2015).

Nella specie, dall’esame della nota di deposito redatta dalla cancelleria il 6/7/2015, risulta che i ricorrenti hanno depositato, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, solo una velina (copia fotostatica) del ricorso. Tale copia è priva sia della procura speciale che della relata di notifica.

Ciò rende evidentemente quanto depositato inidoneo ad assicurare la finalità cui si ispira la norma, come sopra ricordata.

Va peraltro osservato che il difensore dei ricorrenti ha attestato, in calce alla copia depositata, l’impossibilità di depositare l’originale del ricorso, in quanto lo stesso – alla data del 6/7/2015 – non era stato ancora restituito dall’Ufficio U.N.E.P. di Milano; e che lo stesso difensore ha depositato l’originale del ricorso nella pubblica udienza, prima dell’inizio della relazione della causa.

Orbene, va considerato che l’affermata impossibilità di tempestiva produzione dell’originale del ricorso con le relate di notifica ben avrebbe potuto (purchè adeguatamente provata) essere posta a fondamento di una istanza di rimessione in termini, ai sensi dell’art. 153 c.p.c., comma 2.

E infatti, la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto l’applicabilità dell’istituto della rimessione in termini di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2, (come novellato dalla L. n. 69 del 2009) al giudizio di cassazione, ove sussista in concreto una causa non imputabile, riferibile ad un evento che presenti il carattere dell’assolutezza (Cass., Sez. Un., n. 32725 del 18/12/2018; Cass., Sez. 1, n. 30512 del 23/11/2018).

Nella specie, tuttavia, la parte ricorrente non ha dimostrato di non aver potuto produrre l’originale del ricorso nel termine di legge per causa ad essa non imputabile (non è sufficiente, al tal fine, una mera asserzione della parte); non ha indicato e dimostrato la data in cui l’Ufficio U.N.E.P. ha restituito l’atto; non ha fornito alcuna spiegazione circa le ragioni del deposito di esso solo alla pubblica udienza, dopo ben tre anni e mezzo dall’iscrizione del procedimento.

Ove la parte avesse allegato e provato l’impossibilità di depositare l’originale del ricorso prima del momento in cui l’ha depositato, essa avrebbe potuto chiedere la rimessione in termini, che invece non ha chiesto.

Non avendo la parte chiesto ed ottenuto la rimessione in termini, il deposito tardivo del ricorso non vale a sanare la improcedibilità già maturata, che è divenuta definitiva.

Sul punto, va enunciato, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, il seguente principio di diritto:

“Il tardivo deposito dell’originale del ricorso per cassazione (dopo la scadenza del ventesimo giorno dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto) comporta l’improcedibilità dello stesso, che è rilevabile d’ufficio e non è esclusa dalla circostanza che il controricorrente non abbia formulato apposita eccezione; il ricorrente, tuttavia, ove il mancato tempestivo deposito del ricorso sia dovuto a causa ad esso non imputabile, può evitare la declaratoria di improcedibilità, chiedendo, non appena l’impedimento sia cessato, la rimessione in termini, ai sensi dell’art. 153 c.p.c., comma 2, e provvedendo a depositare contestualmente l’atto non potuto depositare nei termini”.

2. – Il ricorso va, pertanto, dichiarato improcedibile, con conseguente assorbimento dei motivi.

Alla declaratoria di improcedibilità segue la condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

3. – Parte ricorrente è tenuta a versare – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013) – un ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per la proposizione dell’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara improcedibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 (cinquemila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2019

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