Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22087 del 22/09/2017


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Cassazione civile, sez. un., 22/09/2017, (ud. 18/07/2017, dep.22/09/2017),  n. 22087

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente di Sez. –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4271/2015 proposto da:

COOPERATIVA ARIANESE DI MUTUALITA’ SOC COOP. (già CASSA ARIANESE DI

MUTUALITA’ SOC. COOP. ARL.), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTON GIULIO

BARRILI 49, presso il Dott. DANIEL DE VITO, rappresentata e difesa

dall’avvocato VALERIO FREDA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2723/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/06/2014.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/07/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito l’incidentale;

uditi gli avvocati Valerio Freda per la parte ricorrente e Fabio

Tortora per l’Avvocatura Generale dello Stato.

Fatto

FATTI RILEVANTI

Con ricorso depositato in data 18.1.2010 la Cassa Arianese di Mutualità Soc. Coop a r.l. (d’ora in avanti designata anche con l’acronimo CAM) proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 47904, notificata il 21.12.2009, con la quale il Ministero dell’Economia e delle Finanze, le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 1.423.018,00 per avere effettuato transazioni finanziarie in contanti, senza il tramite di intermediari abilitati, in violazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 1, convertito in L. n. 197 del 1991.

Resistendo il Ministero, il Tribunale di Ariano Irpino con sentenza n. 99 del 17.2.2011 accoglieva l’opposizione ritenendo fondata l’eccezione di prescrizione per il decorso del termine quinquennale di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 28.

Con sentenza n. 2723 del 13.6.2014 la Corte d’appello di Napoli accoglieva l’appello principale dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, rigettava quello incidentale della CAM e, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva l’opposizione.

Riteneva la Corte territoriale, in punto di prescrizione del diritto alla riscossione della somma ingiunta, che il principio secondo cui la notifica si perfeziona per il richiedente al momento dell’affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario, non si estende all’ipotesi di estinzione del diritto per prescrizione, essendo a tal fine necessario sempre avere riguardo alla data di notifica per il destinatario. Tuttavia, dagli atti emergeva che il 5.7.2005 era stato notificato alla CAM un verbale di contestazione integrativo, redatto in data 26.6.2005, unitamente al verbale originario, notifica che aveva determinato l’interruzione del termine prescrizionale.

Quanto alla violazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 1, la sentenza impugnata osservava che la CAM non rientrava tra i soggetti abilitati ex lege ad esercitare attività di trasferimento di contante sopra la soglia legale, e che in ogni caso non aveva richiesto la specifica abilitazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Nel caso in esame la CAM aveva comunicato all’UIC il proprio intento di esercitare l’attività di raccolta del risparmio e di concessione di prestiti esclusivamente tra i soci, precisando che si trattava di una richiesta avanzata con riserva, in quanto non reputava di poter essere ricompresa tra gli intermediari di cui all’art. 6 del citato D.L.. Ancorchè la CAM fosse stata poi iscritta nell’elenco di cui all’art. 6, ciò non determinava automaticamente l’abilitazione al compimento delle operazioni in denaro contante, riservate, invece, in via esclusiva agli intermediari abilitati ex lege ovvero a quelli che avessero richiesto l’apposita abilitazione al Ministero. Ne discendeva, quindi, che sussistevano gli elementi oggettivi dell’illecito contestato.

Quanto al profilo soggettivo, ribadito che la L. n. 689 del 1981, art. 3, pone una presunzione di colpa, la sentenza riteneva che nella fattispecie non vi fossero elementi tali da poter far ravvisare la presenza di elementi idonei ad ingenerare un’errata convinzione sul significato della norma e sulla liceità del comportamento, nè poteva reputarsi che la condotta dell’appellata fosse del tutto irreprensibile. La finalità della normativa violata, che ha avuto ampia conoscenza anche presso i semplici cittadini, non giustificava la pretesa ignoranza della violazione contestata, non potendo avere efficacia esimente nè gli esiti dei controlli effettuati in sede ispettiva dalla Banca d’Italia nel 1997 (trattandosi di ispezione effettuata ad altri fini) nè l’archiviazione in sede penale disposta dal G1P del Tribunale di Ariano Irpino in data 18/3/2009, posto che il reato contestato concerneva una fattispecie diversa da quella di cui all’ordinanza opposta. L’opponente in quanto operatrice qualificata del settore, avrebbe dovuto essere a conoscenza delle limitazioni operative connesse alla propria natura istituzionale, o quanto meno avrebbe dovuto informarsi circa l’esistenza di siffatte limitazioni, potendosi quindi ravvisare la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa.

Infine, quanto alla misura della sanzione irrogata, riteneva che a fronte di un massimo edittale pari al 40% della somma oggetto di transazione illecita, la sanzione applicata nella percentuale del 3 appariva proporzionale ed equa.

La cassazione di tale sentenza è chiesta dalla Cooperativa Arianese di Mutualità a r.l. (nuova denominazione della CAM) sulla base di sette motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che propone altresì ricorso incidentale condizionato, affidato a un motivo.

Con ordinanza n. 5757/17 la seconda sezione civile ha rimesso la causa al primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle S.U., in quanto anche in altri procedimenti discussi nel corso della medesima udienza la stessa sezione aveva ritenuto di dover investire le S.U. della corretta interpretazione, fra l’altro, della L. n. 689 del 1981, art. 7 e che tale necessità si poneva anche nel caso di specie, in cui nella memoria ex art. 378 c.p.c., essendo stato dedotto l’avvenuto decesso degli autori della violazione, era stata sostenuta la consequenziale estinzione anche della responsabilità del coobbligato solidale ai sensi dell’art. 6 stessa legge.

Assegnata la causa a queste S.U., il Ministero ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente si rileva che con la memoria ex art. 378 c.p.c., depositata innanzi alla seconda sezione civile di questa Corte, prima della rimessione della causa a queste S.U., la CAM ha dedotto che nelle more del giudizio sono deceduti G.D., in data (OMISSIS), e D.G., in data (OMISSIS). Questi ultimi nel verbale di contestazione della GDF sono stati individuati quali responsabili degli illeciti oggetto di causa, il primo per il periodo dall’1.1.2000 al 19.4.2001, e il secondo dal 19.4.2001 al 23.9.2004. Su tale presupposto parte ricorrente deduce che l’obbligazione di pagamento della somma dovuta, non essendo trasmissibile agli eredi ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 7, sarebbe estinta anche relativamente al coobbligato solidale.

1.1. – Tale conclusione non è condivisibile, per ragioni diverse quanto alla posizione di ciascuno dei due soggetti deceduti.

1.1.1. – E’ vero che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato più volte che la morte dell’autore della violazione comporta l’estinzione dell’obbligazione di pagare la sanzione pecuniaria irrogata dall’Amministrazione, la quale, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 7, non si trasmette agli eredi, con conseguente cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione all’ordinanza-ingiunzione, la cui declaratoria può essere effettuata anche in sede di legittimità ove il decesso sia documentato ex art. 372 c.p.c. (v. nn. 6737/16, 22199/10, 5880/07, 10244/99 e 6048/93).

Tuttavia, in tanto la morte può produrre gli effetti estintivi invocati, innescando di riflesso la declaratoria di cessazione della materia del contendere, in quanto nei confronti del trasgressore l’obbligazione non si sia già altrimenti e precedentemente estinta ai sensi dell’art. 14, u.c., detta legge, atteso che l’estinzione non può operare più di una volta.

Nello specifico, come deduce la stessa parte ricorrente nella propria memoria, la Corte d’appello di Napoli, con altra sentenza – la n. 4542/15 del 24.11.2015 – passata in giudicato, aveva respinto il gravame contro la decisione di primo grado del Tribunale di Ariano Irpino, che a sua volta aveva accolto l’opposizione L. n. 689 del 1981, ex art. 22, di D.G., in quanto nei confronti di quest’ultimo la notifica era avvenuta tardivamente rispetto al termine previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14. E poichè, come detto, il decesso di D.G. ((OMISSIS)) è successivo al passaggio in giudicato di tale sentenza (rispetto alla quale opera il termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, come modificato dalla L. n. 69 del 2009, essendo stato introdotto quel giudizio il 19.12.2009: v. memoria parte ricorrente), detto evento non produce gli invocati effetti dell’art. 7 legge cit.

1.1.2. – Quanto, invece, al decesso di D.G., deve rilevarsi che detto evento è intervenuto il 22.10.2013, ragion per cui la dedotta causa estintiva L. n. 689 del 1981, ex art. 7, non essendo sopravvenuta alla proposizione del ricorso per cassazione, ma essendosi verificata pendente il processo d’appello, avrebbe dovuto formare oggetto d’un apposito motivo di ricorso. Il quale non è proponibile per la prima volta con la memoria ex art. 378 c.p.c., essendo tale atto difensivo deputato, com’è noto, esclusivamente ad illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte con l’atto di costituzione ed a confutare le tesi avversarie (giurisprudenza costante di questo S.C.: cfr. per tutte S.U. n. 11097/06).

2. – Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 87,74 e 76 disp. att. c.p.c. e degli artt. 165,166,167e 345 c.p.c., in ordine al rilievo dell’interruzione della prescrizione fondato sul processo verbale integrativo del 26.6.2005.

Osserva la ricorrente che il Tribunale aveva accolto l’eccezione preliminare di prescrizione, ritenendo che tra la data della notifica del processo verbale della Guardia di Finanza, con il quale erano state ravvisate le violazioni oggetto dell’ordinanza, e la successiva notifica di quest’ultima era decorso un periodo di tempo superiore ai cinque anni.

La Corte distrettuale, nel disattendere il motivo d’appello formulato dal Ministero (il quale riteneva, invece, che in ragione del principio della scissione degli effetti della notifica occorresse avere riguardo alla data della consegna dell’atto all’ufficiale incaricato), e dopo avere escluso che potessero avere efficacia interruttiva della prescrizione la convocazione della CAM nel procedimento amministrativo in vista della sua audizione (mancando la prova della convocazione ovvero della presenza del suo difensore), ha tuttavia individuato l’esistenza d’un atto interruttivo nella notifica del processo verbale integrativo del 26 giugno 2005, effettuata in data 5.7.2005 alla ricorrente. Tuttavia, deduce parte ricorrente, tale documento non sarebbe stato mai ritualmente prodotto dal Ministero sia in primo grado che in grado di appello. In particolare il documento in questione non si rinviene nel fascicolo di primo grado della parte resistente, e la mancata produzione è confermata dal tenore delle difese svolte, nelle quali non si fa menzione alcuna circa l’efficacia interruttiva di tale atto. Inoltre esso non sarebbe stato ritualmente prodotto nemmeno in grado di appello, in quanto, come si evince dal foliario della produzione del controricorrente, non vi è alcuna specifica indicazione di tale processo verbale integrativo, nè nelle deduzioni contenute nell’atto d’appello vi è un riferimento ad esso.

Assume poi la ricorrente che vi sarebbe stata una condotta gravemente scorretta della parte avversa, in quanto, mentre nel foliario della produzione di parte del giudizio d’appello, si faceva riferimento al verbale originario del 16.12.2004, il documento prodotto reca solo il frontespizio del verbale indicato, in quanto le pagine seguenti sono quelle relative alla copia del verbale integrativo.

Si sostiene che in tal modo il Ministero avrebbe inteso sviare l’attenzione della controparte, impedendole, attraverso l’omesso deposito del fascicolo di primo grado, di avvedersi dell’inammissibile produzione di un documento nuovo, onde consentire il raffronto tra quanto versato agli atti in appello e quanto invece già depositato nel giudizio di primo grado. Inoltre, il Ministero avrebbe omesso di depositare la comparsa conclusionale in appello, allo scopo di impedire alla difesa della CAM di potersi accorgere della violazione delle regole processuali perpetrata con la tardiva produzione del documento in esame.

Per tali fatti è stata altresì proposta istanza di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 1, innanzi alla Corte d’appello di Napoli, ma a prescindere dall’esito di tale iniziativa si sostiene che la decisione sarebbe viziata per essere stata adottata sulla base di un documento mai formalmente e ritualmente prodotto nel corso del giudizio.

3. – Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 87,74 e 76 disp. att. c.p.c. e degli arti. 165, 166, 167 e 345 c.p.c.. Infatti, ove anche volesse reputarsi che il documento in oggetto fosse stato prodotto validamente, si tratterebbe in ogni caso di una produzione documentale avvenuta solo in sede di appello, il che avrebbe imposto al Ministero di formulare una specifica richiesta di acquisizione del documento, dimostrando, altresì, la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, nella formulazione all’epoca vigente, e cioè adducendo l’indispensabilità della prova. Tale attività risulta del tutto omessa, essendo anche mancato, nella complessiva difesa della controparte, un espresso richiamo alla valenza probatoria del verbale integrativo, di modo che il giudice d’appello non ne avrebbe potuto tenere conto ai fini della formazione del proprio convincimento.

4. – Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto munita di una motivazione apparente. Infatti, anche a voler ritenere che il documento sia stato reputato come indispensabile dalla Corte partenopea, e come tale posto a fondamento della decisione, occorreva che tale valutazione fosse espressa in maniera motivata. Nella fattispecie, invece, la sentenza impugnata si è limitata a rilevare la valenza interruttiva del detto verbale, senza spendere alcuna parola circa la ricorrenza del requisito dell’indispensabilità.

5. – I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte la notifica del verbale di accertamento della violazione amministrativa, essendo idonea a costituire in mora il debitore ai sensi dell’art. 2943 c.c., interrompe la prescrizione (v. sentenze nn. 14886/16, 28238/08 e 9520/01).

Nello specifico, l’esistenza di una notificazione di constatazione dell’illecito, successiva al 16.12.2004, avvenuta il 5.7.2005 appartiene alla cornice di riferimento comune alle parti, poichè dedotta dalla stessa CAM nel suo originario atto d’opposizione, lì dove si chiede espressamente l’annullamento (tra l’altro) del “processo verbale redatto dalla Guardia di Finanza (…) in data 16.12.2004 e notificato il successivo 5.7.2005”. Il fatto che quest’ultima notificazione avesse o non ad oggetto anche l’integrazione del 26.6.2005, non muta i termini della questione e non rende controversa l’avvenuta notificazione del 5.7.2005.

Invero, a parte la circostanza che la CAM contesta non già l’esistenza del verbale integrativo del 26.6.2005 o la relativa notificazione nella data anzidetta, ma solo che la produzione in giudizio del documento 26.6.2005 sia stata effettuata e, ad ogni modo, entro il termine delle preclusioni istruttorie, va da sè che permane elemento pacifico sin dall’introduzione della causa, e dunque sottratto all’onere probatorio a carico dell’Amministrazione, il fatto che la notifica del 5.7.2005 avesse ad oggetto almeno il verbale del 16.12.2004. E poichè anche la notifica di un verbale d’accertamento già precedentemente contestato è idonea a costituire in mora il soggetto obbligato, l’accertamento compiuto in tal senso dalla Corte territoriale resta esente da tutte le censure mosse.

6. – Con il quarto motivo si denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si sostiene che con uno specifico motivo di appello incidentale la CAM ha dedotto che il giudice di primo grado non si era pronunciato sul motivo di opposizione concernente la prova delle violazioni, posto che la GDF aveva fondato il proprio accertamento esclusivamente sulle risultanze della “prima nota cassa”, documento che non costituisce scrittura contabile obbligatoria e che non contiene la prova che le somme ivi registrate siano state trasferite in contanti. Tale doglianza, la cui attualità si è riproposta in grado d’appello, una volta respinta l’eccezione di prescrizione, è stata però disattesa dalla sentenza gravata con una motivazione che, a detta della ricorrente, deve di fatto reputarsi omessa.

Infatti, si afferma che l’opponente non aveva mai messo in discussione la circostanza che le operazioni oggetto di contestazione siano effettivamente avvenute. Invece, sarebbe stato trascurato il fatto storico che nel ricorso introduttivo si era stato contestato che le operazioni potessero integrare un trasferimento di denaro in contante. Inoltre, pur affermandosi che le operazioni in contanti eseguite dalla CAM erano state accertate dalla polizia tributaria sulla base della documentazione rinvenuta presso la stessa società (libri sociali, registri cartacei ed archivio informatico), sarebbe stato omesso di considerare il fatto storico per cui agli atti non risultava acquisita la documentazione de qua.

7. – Il motivo è infondato.

Ai sensi del nuovo testo del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, costituisce motivo di ricorso per cassazione l’omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Tale riformulazione della norma, com’è noto, è stata interpretata da queste S.U. nel senso: a) che l’omesso esame deve avere ad oggetto un “fatto storico”, non un punto o una questione; e b) che il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale”, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (v. sentenza n. 8053/14).

Sempre queste S.U. hanno poi ulteriormente precisato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così, in motivazione, la sentenza n. 19881/14).

Ne consegue che in sede di legittimità non è data ora (come del resto non era altrimenti data allora, vigente il testo precedente dell’art. 360 c.p.c., n. 5) la possibilità di censurare che la prova di un dato fatto sia stata tratta o negata dall’apprezzamento o dalla obliterazione di un determinato elemento istruttorio, atteso che una tale critica ha ad oggetto non già un “fatto storico”, ma la stessa attività di valutazione del corredo probatorio, che solo al giudice di merito compete.

7.1. – Nello specifico, costituisce una mera torsione verbale qualificare come “fatto storico”, il cui esame sarebbe stato omesso, la specifica contestazione che le operazioni in oggetto integrassero un trasferimento di denaro contante, queste ultime essendo state desunte non da scritture contabili obbligatorie ma dalle “prime note cassa”. Si tratta, ad evidenza, di una critica mossa proprio e solo alla valutazione della prova del fatto storico, decisivo e discusso, dell’avvenuto trasferimento di denaro contante tramite la Cassa Arianese di Mutualità; sicchè non è stato omesso alcun esame del fatto, ma quest’ultimo è stato semplicemente apprezzato in maniera opposta alle aspettative della parte odierna ricorrente.

8. – Il quinto motivo denunzia la violazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 1, comma 1, art. 4, commi 1 e 2, art. 6, comma 1 e art. 4 bis, in relazione al disposto di cui all’art. 106 TUB. Il terzo mezzo espone la violazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 1, comma 1, art. 4, commi 1 e 2 e art. 6, commi 1 e 4-bis, in relazione al disposto di cui all’art. 106 Testo Unico Bancario. Si sostiene che la Cassa Arianese di Mutualità rientrava tra i soggetti potenzialmente abilitati ad effettuare le operazioni oggetto di contestazione, in quanto (1) svolgente in prevalenza attività di concessione di finanziamenti e (2) iscritta nell’apposito elenco tenuto dal(l’allora) Ministero del Tesoro ai sensi dell’art. 6, comma 1, di detta legge.

9. – Anche tale motivo non ha pregio.

Ai sensi del D.L. n. 143 del 1991, convertito in L. n. 197 del 1991, applicabile alla fattispecie ratione temporis, le operazioni di trasferimento di denaro contante possono essere effettuate unicamente dai soggetti abilitati ex lege ai sensi dell’art. 4 , comma 1 stesso D.L., ovvero per effetto di un apposito provvedimento amministrativo dell'(allora) Ministro del Tesoro, ricorrendo, in quest’ultimo caso i requisiti indicati nel comma 2 di detto articolo.

Il fatto che l’art. 6, comma 1, detto D.L. preveda che l’esercizio in via prevalente di una o più delle attività di cui all’art. 4, comma 2, sia riservato agli intermediari iscritti in apposito elenco tenuto dal Ministro del tesoro, che si avvale dell’Ufficio italiano dei cambi, il quale dà comunicazione dell’iscrizione alla Banca d’Italia e alla CONSOB; e che il comma 4-bis dello stesso art. 6 consenta agli intermediari di cui ai commi 2 e 2-bis esercenti l’attività alla data di entrata in vigore del decreto di continuare ad esercitarla a condizione che ne diano comunicazione all’Ufficio italiano dei cambi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, non elide, contrariamente a quanto opina parte ricorrente, la necessità del provvedimento di abilitazione. Al contrario, l’inserzione del soggetto nell’elenco degli intermediari finanziari tenuto dall’Ufficio italiano dei cambi è condizione necessaria per l’abilitazione alle operazione di trasferimento di denaro contante, come del resto dimostra la lettera del primo comma dell’art. 6, che tale attività riserva, e non già attribuisce, agli intermediari iscritti nel ridetto elenco.

10. – Il sesto motivo allega l’omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, in relazione al mancato riconoscimento della carenza dell’elemento soggettivo ovvero della sussistenza di un errore scusabile, per l’oggettiva difficoltà d’interpretazione delle disposizioni anzidette. Parte ricorrente lamenta, in particolare, che la Corte distrettuale abbia inquadrato la corrispondente censura d’appello nell’ambito dell’esimente della L. n. 689 del 1981, art. 3, cpv., mentre la società ricorrente aveva evidenziato che l’errore incolpevole investiva non già il divieto, ma il fatto storico che la Cassa Arianese di Mutualità possedesse la qualifica di soggetto intermediario abilitato.

11. – Il motivo è privo di fondamento.

In primo luogo va rilevato che l’errore sul divieto rientra nella L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 1, ed è di regola irrilevante, mentre l’errore sul fatto è disciplinato dal comma 2 del medesimo articolo, ed ha efficacia scriminante se non dipende da colpa. Pertanto, la censura, lì dove lamenta che la Corte distrettuale avrebbe erroneamente attratto sotto l’art. 3, cpv. legge cit. l’errore riguardante “il fatto storico del possesso da parte della CAM della qualifica di intermediario abilitato” (v. pag. 41 del ricorso), mostra di essere formulata in maniera non giuridicamente consequenziale.

Ciò a parte, è decisivo osservare che la sentenza impugnata, pur richiamando espressamente solo dell’art. 3, comma 1 Legge cit., ha in realtà esaminato diffusamente anche l’asserito errore sul fatto, escludendolo sulla base di molteplici considerazioni (v. pagg. 9-10 della sentenza impugnata), tutt’altro che apparenti (la nota dell’Ufficio italiano cambi non riguardava le operazioni in contanti, ma solo le attività finanziarie già svolte dalla banca fin dalla sua costituzione, sulla cui base, quindi, la CAM non poteva indurre il preteso affidamento sulla legittimità del proprio operato; la precedente ispezione della Banca d’Italia presso la CAM e del suo esito erano del tutto irrilevanti perchè anteriori di circa sette anni rispetto a quella da cui erano scaturite le contestazioni oggetto di causa; neppure avevano rilievo in tal senso le indagini penali e il successivo decreto di archiviazione, poichè avevano riguardato il reato di attività bancaria abusiva, e dunque un’ipotesi diversa da quella in oggetto).

Per il resto, sui generali limiti del controllo di legittimità ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si ripropongono valide e intatte le osservazioni svolte supra al paragrafo 7.

12. – Il settimo motivo allega la violazione della L. n. 689 del 2001, artt. 11 e 23, perchè la Corte territoriale, nel pronunciarsi sulla richiesta di rideternninazione della sanzione, avrebbe fatto riferimento ad un criterio – quello del massimo edittale – del tutto “estraneo alla previsione della norma” dell’art. 11 Legge cit., che contempla la gravità della violazione, l’opera svolta dall’agente per eliminarne o attenuarne le conseguenze, la personalità dello stesso e le sue condizioni economiche.

13. – Il motivo è manifestamente infondato.

In disparte che il massimo della sanzione non è un criterio di determinazione della somma dovuta non già perchè “estraneo alla previsione della norma”, ma in quanto costituisce l’estremo superiore dell’intervallo edittale entro cui soltanto può essere esercitato il potere riduttivo previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 23,comma 11, sulla base dei parametri indicati dall’art. 11 stessa legge (v. Cass. n. 11732/03), e che, pertanto, è doveroso per il giudice di merito farvi riferimento; ciò a parte, va osservato che nel giudizio finale per cui la “sanzione in concreto irrogata appare proporzionale ed equa” è implicito – ma non per questo meno evidente – un giudizio di stima sulla corrispondenza della sanzione stessa alla gravità del fatto.

14. – Il rigetto dei primi tre motivi del ricorso principale assorbe l’esame dell’unico motivo del ricorso incidentale (violazione o falsa applicazione dell’art. 2943 c.c.) espressamente condizionato all’ipotesi di accoglimento delle ridette censure dell’impugnazione principale.

15. – In conclusione, il ricorso principale va respinto, mentre va dichiarato assorbito quello incidentale.

16. – Applicato ratione temporis (il giudizio è iniziato nel 2010) il testo dell’art. 92 c.p.c., comma 2, anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 132 del 2014, convertito in L. n. 162 del 2014, ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, derivanti dal contrasto di giurisprudenza sull’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 14,u.c., a sua volta connesso con quello concernente l’interpretazione dell’art. 7 stessa legge, per compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

17. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato a carico della sola parte ricorrente principale (per quanto concerne il Ministero ricorrente incidentale, il medesimo obbligo non può trovare applicazione, poichè le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo: v. Cass. nn. 1778/16 e 5955/14).

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale, e compensa integralmente le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 18 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2017

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