Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22084 del 25/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 25/10/2011, (ud. 17/06/2011, dep. 25/10/2011), n.22084

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 19415/2010 proposto da:

M.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FEDERICO CESI 30, presso lo studio dell’avvocato EGIDIO

MARULLO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA ADRIANA 15, presso lo studio dell’avvocato ROMANO

NICOLA, che lo rappresenta e difende giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

FADA IMMOBILIARE SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 371/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

1/10/2009, depositata il 28/01/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato Romano Nicola, difensore del controricorrente che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

RILEVATO CHE:

Avverso la decisione indicata in epigrafe ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi M.A.M..

Ha resistito l’intimato C.G., cessionario del credito della Fada Immobiliare s.r.l..

Nominato, ai sensi dell’art. 377 c.p.c., il consigliere relatore ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c., ritenendo che il ricorso fosse da rigettare per manifesta infondatezza.

Le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Il Procuratore Generale ha concluso ha chiesto il rigetto del ricorso.

OSSERVA:

Nella relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., si legge quanto segue: “1. M.A.M. proponeva opposizione avverso il decreto con cui il tribunale di Roma le aveva ingiunto di pagare a favore della Fada Immobiliare s.r.l. in liquidazione la somma di lire 48.000.000 dovuta a titolo di IVA sul prezzo di una compravendita immobiliare fra le parti intercorsa, deducendo che la venditrice aveva rilasciato quietanza attestante il pagamento del’intero prezzo.

L’opposta chiedeva il rigetto dell’opposizione.

Il tribunale accoglieva l’opposizione che era riformata in sede di gravame dai Giudici di appello, i quali escludevano che la clausola contrattuale invocata dall’opponente potesse essere interpretata come dichiarazione di quietanza liberatoria dell’avvenuto pagamento del prezzo.

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi M.A. M..

Ha resistito l’intimata, la quale ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità del ricorso, perchè tardivamente proposto.

2. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., essendo manifestamente infondato.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla resistente, dovendo qui ricordarsi che la distinzione dei momenti di perfezionamento della notifica per il notificante e il destinatario può essere invocata quando si tratti di fare discendere conseguenze negative per il notificante, non dipendenti dalla sua volontà ma non quando la norma preveda che un termine debba decorrere o un altro adempimento debba essere compiuto dal tempo dell’avvenuta notifica, essendo in tali casi necessario avere riguardo alla effettiva ricezione dell’atto (Cass. 10837/2007) : nella specie, ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, andava tenuto conto non della spedizione dell’atto di notificazione della sentenza impugnata – come preteso dalla resìstente – ma dell’effettivo perfezionamento che, nel caso della notifica a mezzo posta avviene, al momento della ricezione risultante dall’avviso di ricevimento sottoscritto dal destinatario che costituisce elemento necessario per il suo perfezionamento.

Il primo motivo censura la sentenza impugnata laddove aveva escluso che con la clausola n 4) del contratto la venditrice non avesse rilasciato quietanza liberatoria dell’avvenuto pagamento dell’IVA relativa al prezzo, senza spiegare perchè avesse ritenuto che fra la dichiarazione di quietanza e effettivo pagamento doveva intercorrere il versamento della somma mutuata a mani dell’acquirente e l’iscrizione a favore del mutuante, quando dalla lettura della predetta clausola era risultato che la venditrice aveva rilasciato quietanza liberatrice del prezzo, di cui è componente ex lege anche l’IVA, rinunciando all’ipoteca legale che, ex art. 2834 c.c., fa ritenere presunto l’adempimento degli obblighi contrattuali; del tutto immotivatamente la sentenza aveva ritenuto che le parti avessero espunto l’imposta dal prezzo, facendo riferimento alla richiesta dell’acquirente dell’agevolazione del pagamento in misura ridotta. Secondo la giurisprudenza di legittimità la quietanza, costituendo attestazione del ricevimento del pagamento, ha efficacia probatoria di tali circostanze, integrando confessione giudiziale; il notaio, quale responsabile dell’imposta, è tenuto a richiederla, per cui l’espressione “intero prezzo” contenuta nell’atto faceva riferimento anche al pagamento dell’imposta.

Il motivo va disatteso.

La ricorrente in sostanza censura l’interpretazione che, nell’escludere l’esistenza di una quietanza liberatoria rilasciata dalla venditrice, la sentenza impugnata aveva dato della clausola n. 4) del contratto.

Qui è appena il caso di ricordare che l’interpretazione del contratto, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, che deve essere specificamente indicata in modo da dimostrare – in relazione al contenuto del testo contrattuale – l’erroneo risultato interpretativo cui per effetto della predetta violazione è giunta la decisione, che altrimenti sarebbe stata con certezza diversa la decisione: la deduzione deve essere, altresì, accompagnata dalla trascrizione integrale del testo contrattuale in modo da consentire alla Corte di Cassazione, che u non ha diretto accesso agli atti, di verificare la sussistenza della denunciata violazione decisiva.

Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati: occorre ricordare che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra. (Cass. 7500/2007; 24539/2009).

Nella specie, occorre considerare che se, da un canto, il motivo non censura neppure la violazione dei crìterì ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. e ss., dall’altro, la sentenza – attenendosi al tenore letterale del complessivo contenuto della clausola in esame – è senz’altro immune dai vizi di motivazione denunciati, essendosi rivelato logicamente corretto e senz’altro comprensibile il procedimento con il quale ha escluso la natura di quietanza delle dichiarazioni inserite nel contratto: proprio in considerazione del contenuto e degli effetti della quietanza, richiamati dalla ricorrente, i Giudici di appello hanno evidentemente inteso affermare che l’attestazione dell’avvenuto ricevimento del pagamento era incompatibile con la circostanza indicata dalle parti secondo cui la compratrice si obbligava al pagamento con il ricavo dal mutuo che sarebbe stato (andrà) di seguito stipulato e che sarebbe stato versato (verrà versato) alla società venditrice successivamente all’iscrizione della relativa ipoteca a favore dell’ente mutuante, così interpretando l’espressione usata nel senso che l’acquirente avrebbe soltanto successivamente stipulato il mutuo e ricavato quindi l’importo necessario al pagamento del prezzo. E, nel confermare tale convincimento, la sentenza ha evidenziato che le parti non avevano determinato la misura dell’IVA dovuta, spiegandone in modo del tutto logico le ragioni (non era dato sapere se l’acquirente versasse nelle condizioni per il pagamento in misura ridotta).

Infine, il riferimento all’art. 2834 c.c., appare del tutto inconferente, atteso che tale norma prevede i presupposti delle ipotesi in cui non si fa luogo all’iscrizione dell’ipotecale legale, potendo in ogni caso le parti – in virtù del regolamento dei loro rapporti nell’ambito dell’autonomia privata – concordare di non iscrivere l’ipoteca legale, senza che da ciò discenda di per sè una presunzione legale di pagamento.

Ancora correttamente, i Giudici hanno escluso che il notaio partecipi alla fase della riscossione dell’imposta che grava sul cedente dei beni o dei servizi, il quale ha rivalsa nei confronti del cessionario.

Il secondo motivo censura la decisione gravata che, in violazione dell’art. 112 c.p.c., aveva posto a base della decisione eccezioni non rilevabili d’ufficio. Il motivo è infondato.

Il motivo difetta di autosufficienza atteso che la ricorrente non specifica quali sarebbero state le eccezioni non rilevabili d’ufficio esaminate dai Giudici e non avevano formato oggetto di eccezione della parte interessata, dovendo peraltro ricordarsi che eccezioni non rilevabili d’ufficio sono solo quelle in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito (Cass. 12353/2010).

Vanno ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione che il Collegio condivide, non essendo meritevoli di accoglimento i rilievi formulati dalla ricorrente con la memoria illustrativa. Qui occorre soltanto sottolinearsi, in relazione al primo motivo, che: a) viene ancora una volta formulata una interpretazione della clausola contrattuale de qua, in contrapposizione a quella accolta dalla sentenza impugnata, mentre in sede di legittimità è possibile denunciare l’erronea interpretazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche che nella specie non sono state neppure dedotte b) il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia – come appunto nella specie – della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto); c) i precedenti citati ancora una volta dalla ricorrente in materia di quietanza sono fuori luogo, posto che nella specie – secondo gli accertamenti di fatto compiuti dalla sentenza impugnata- non vi era stata alcuna attestazione di avvenuto ricevimento di somme per il semplice fatto che nessuna effettiva dazione era stata effettuata, atteso che ” la compratrice si obbligava al pagamento con il ricavo dal mutuo che sarebbe stato (andrà) di seguito stipulato e che sarebbe stato versato (verrà versato) alla società venditrice successivamente all’iscrizione della relativa ipoteca a favore dell’onte mutuante”;

per quel che concerne il secondo motivo, la doglianza è assolutamente generica, in quanto sarebbe stato onere della ricorrente dimostrare la violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, essendo stata al riguardo correttamente evidenziata dal relatore la distinzione fra eccezioni in senso stretto e quelle invece rilevabili d’ufficio.

Il ricorso deve essere rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 1.800,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.600,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2011

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