Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22084 del 22/09/2017


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Cassazione civile, sez. un., 22/09/2017, (ud. 18/07/2017, dep.22/09/2017),  n. 22084

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente di sez. –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11361-2015 proposto da:

M.T.L. DI M.L. E T. S.N.C., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTON GIULIO BARRILI 49, presso il dott. DANIEL DE VITO,

rappresentata e difesa dall’avvocato VALERIO FREDA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 3905/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 2/10/2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/07/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito l’incidentale;

uditi gli avvocati Valerio Freda per la parte ricorrente e Fabio

Tortora per l’Avvocatura Generale dello Stato.

Fatto

FATTI RILEVANTI

La M.T.L. di M.L. e T. s.n.c. proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 74985, notificata il 9.2.2010, con la quale il Ministero dell’Economia e delle Finanze le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 22.115,00 per avere effettuato con la Cassa Arianese di Mutualità transazioni finanziarie in contanti, senza il tramite di intermediari abilitati, in violazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 1 convertito in L. n. 197 del 1991. Tra i motivi d’opposizione, in particolare, l’eccezione di estinzione del diritto al pagamento della sanzione, per essersi verificata nei confronti dell’autore materiale, M.L., legale rappresentante della MTL, la decadenza prevista dalla L. n. 689 del 2001, art. 14, u.c..

Resistendo il Ministero, il Tribunale di Ariano Irpino con sentenza n. 558/10 accoglieva l’opposizione, ritenendo estinta la sanzione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14 per l’omessa notifica del verbale d’accertamento e di contestazione dell’illecito e la conseguente prescrizione ex art. 28 stessa legge.

L’appello principale del Ministero dell’Economia e delle Finanze era accolto dalla Corte distrettuale di Napoli, con sentenza n. 3905/14.

I giudici del gravame escludevano, tra l’altro, la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14 ritenendo provato documentalmente che il verbale di contestazione del 25 gennaio 2005 – che identificava come responsabili della violazione la società ed il suo rappresentante M.L. fosse stato notificato l’8 febbraio 2005 nei confronti della società MTL e, per essa, del suo legale rappresentante M.. La Corte distrettuale riteneva pure infondata l’eccezione di prescrizione dell’azione e la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 6 (essendosi proceduto nei confronti della società, coobbligata in solido con l’autore materiale dell’infrazione, pur non essendosi, in realtà, irrogata sanzione a quest’ultimo per intervenuta decadenza).

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso M.T.L. di M.L. e T. s.n.c., sulla base di otto motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale articolato in due motivi.

La causa, rimessa con ordinanza della seconda sezione civile al primo Presidente per il contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Corte in ordine all’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 6 e art. 14, u.c., è stata assegnata a queste S.U.

Il ministero ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo di ricorso principale denuncia l’omesso esame d’un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostiene parte ricorrente che la Corte d’appello, nell’escludere la decadenza del Ministero ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14 per essere stata notificata la contestazione dell’illecito l’8 febbraio 2005 nei confronti della società MTL e, per essa, del suo legale rappresentante M.L., non avrebbe tenuto conto di tre fatti decisivi. E cioè che la notifica è avvenuta presso l’abitazione di M.L., e non presso la sede legale; che la relata indicava essere avvenuta la notificazione a quest’ultimo previa sua identificazione; e che la nullità di tale notificazione alla MTL sarebbe stata ammessa dallo stesso Ministero nel proprio atto d’appello. Fatti da cui, sostiene parte ricorrente, deriverebbe che la notificazione sarebbe avvenuta non alla società ma al suo legale rappresentante in proprio, quale autore materiale della violazione amministrativa.

2. – Il motivo è manifestamente infondato.

Premessa l’applicabilità alla fattispecie, ratione temporis, del testo dell’art. 145 c.p.c., comma 2, anteriore alla modifica apportatavi dalla L. n. 263 del 2005, è sufficiente osservare che in tema di notifiche a società prive di personalità giuridica, qualora non sia stata tentata la notificazione nella sede indicata nell’art. 19 c.p.c., secondo il disposto dell’art. 145, comma 2 la notificazione stessa non può essere eseguita secondo la forma sussidiaria di cui all’u.c. del citato art. 145 (cioè secondo le disposizioni degli artt. 138,139 e 141 c.p.c.), ancorchè risulti indicata nell’atto la persona fisica del rappresentante della società, ma può ritualmente avvenire soltanto mediante consegna nelle mani dello stesso rappresentante, ovunque reperito, e non anche nelle mani di persona di famiglia dello stesso (Cass. nn. 1856/84, 8402/00 e 20104/06). E nella specie la notificazione è avvenuta, appunto, a mani proprio del legale rappresentante della MTL.

Esclusa la nullità di tale notificazione è esclusa in partenza anche l’astratta proponibilità del ragionamento sillogistico avanzato da parte ricorrente, che da tale – insussistente invalidità intenderebbe dedurre che la contestazione sarebbe riferibile non alla società ma al suo legale rappresentante, quale autore del fatto illecito, il tutto attraverso la commistione concettuale tra l’atto, espressamente indirizzato alla società, e la relativa sua notifica.

3. – Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 2943 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte territoriale erroneamente attribuito efficacia interruttiva del decorso della prescrizione quinquennale alla lettera di convocazione del 22 settembre 2009 indirizzata a tale M.A. e non alla MTL.

4. – Il motivo è infondato sotto due profili.

Quanto al primo, va osservato che l’accertamento della decorrenza, interruzione, sospensione della prescrizione costituisce indagine di fatto demandata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata e congrua motivazione e non inficiata da errori logici o di diritto (Cass. nn. 23821/10, 17157/02, 9016/02, 1710/68 e 2839/66).

Nella specie, la Corte territoriale ha fornito ampia – e dunque non sindacabile – giustificazione delle ragioni in virtù delle quali la lettera di convocazione del 22.9.2009 doveva ritenersi riferita anche alla posizione della MTL, società che insieme con altre era assistita dall’avv. Freda, estensore, a sua volta, di deduzioni difensive anche nell’interesse di M.A.. Sebbene non indirizzata alla MTL, tale missiva, ha osservato la Corte, faceva esplicito riferimento alla convocazione dei titolari di altre posizioni, tutte rappresentate dal medesimo legale, tra cui anche quella il cui identificativo numerico era riferibile alla MTL.

Ne deriva che le repliche proposte al riguardo dalla parte ricorrente introducono e pretendono un accertamento di natura puramente fattuale, del tutto incompatibile con i limiti che l’ordinamento assegna al giudizio di legittimità.

Quanto al secondo profilo, si rileva che in base alla costante giurisprudenza di questa Corte il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132/05, 26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06, 14752/07, 3010/12 e 16038/13).

E nella specie il ricorso non contiene alcuna dimostrazione della presenza, nella sentenza impugnata, di affermazioni che espressamente o implicitamente contrastino con la corretta interpretazione dell’art. 2943 c.c. quale si desume dalla giurisprudenza di questa S.C.

5. – Il terzo mezzo d’impugnazione allega la violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 6,7 e 14 per avere la Corte d’appello escluso che la società odierna ricorrente, coobbligata in via solidale, potesse beneficiare dell’estinzione per l’intervenuta decadenza ex art. 14, u.c. legge cit., riconosciuta, in favore dell’autrice materiale dell’illecito amministrativo, nel medesimo provvedimento ingiuntivo opposto. Richiama a sostegno Cass. nn. 23871/11 e 3879/12, in base alle quali la responsabilità solidale della società per gli illeciti amministrativi posti in essere dai suoi legali rappresentanti o dipendenti è prevista esclusivamente in funzione di garanzia del pagamento della somma dovuta dall’autore dell’infrazione.

6. – Tale motivo solleva la questione rimessa a queste S.U., che sono chiamate a dirimere il contrasto di giurisprudenza formatosi sull’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c..

6.1. – L’interpretazione di tale norma, la quale dispone che l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti è stata omessa la notificazione nel termine prescritto, ha dato luogo alla formazione di due distinti indirizzi sulla sorte dell’obbligazione gravante sull’obbligato solidale, allorchè si sia estinta quella a carico del trasgressore (è pacifico, invece, che l’estinzione dell’obbligazione di un responsabile in solido non produca pari effetti estintivi dell’obbligazione gravante sugli altri responsabili solidali: cfr. sentenze nn. 9830/00 e 9557/92).

Secondo un primo orientamento, espresso dalle sentenze nn. 23871/11 e 26387/08, dall’estinzione dell’obbligazione di colui che ha, in concreto, commesso la violazione amministrativa, deriva anche l’estinzione dell’obbligazione a carico del condebitore solidale, dovendosi riconoscere carattere principale all’obbligo incombente sul primo dei due soggetti. Ciò in virtù del rapporto di accessorietà e dipendenza della posizione dell’obbligato solidale rispetto a quella dell’autore materiale e principale della violazione, nei cui confronti il primo non avrebbe potuto esercitare il diritto di regresso previsto dallo stesso art. 6, al comma 4, una volta estintasi nei confronti di lui l’obbligazione sanzionatoria per mancata notificazione.

Ad esito opposto è pervenuta, invece, la sentenza n. 4342/13 (non massimata), secondo cui l’effetto estintivo della pretesa sanzionatoria è limitato, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., al soggetto nei cui confronti non sia stata eseguita la notifica. “In altre parole”, soggiunge tale pronuncia, “l’obbligato solidale per la sanzione amministrativa non equivale a un obbligato solidale nell’ipotesi d’insolvibilità del condannato. Deve dunque riconoscersi l’autonomia della posizione dei due obbligati, in relazione alla quale non esiste un legame necessario tra le due obbligazioni per cui l’una può sussistere anche se l’altra fosse estinta (Cass. S.U. 29.1.1994 n. 890)”.

A sua volta, la questione in esame incrocia il costante orientamento di questa Corte in base al quale il disposto della L. n. 689 del 1981, art. 7 (“l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi”) e quello dell’art. 6, u.c. (per cui l’obbligato solidale che ha pagato “ha diritto di regresso per l’intero nei confronti dell’autore della violazione”) sono espressione del principio di personalità che governa la responsabilità nell’illecito amministrativo, per cui la morte dell’autore della violazione determina non solo l’intrasmissibilità agli eredi di lui dell’obbligo di pagare la somma dovuta per la sanzione, ma anche l’estinzione dell’obbligazione a carico dell’obbligato solidale. A tale ultimo riguardo, infatti, si afferma che ai sensi dell’art. 6 cit. questi non è un obbligato sussidiario per le ipotesi di insolvibilità del condannato o di pratica difficoltà di identificare l’autore della violazione – in quanto si tratta di obbligazione solidale nell’interesse esclusivo di uno solo degli obbligati, senza alcun riparto nei rapporti interni, a norma dell’art. 1298 c.c. – e neppure si può configurare, a suo carico, una responsabilità diretta per culpa in eligendo o in vigilando. Nell’affrontare l’obiezione che fa leva sulla L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., detta giurisprudenza rileva la profonda distinzione tra la causa estintiva prevista dall’art. 7 e quella indicata nell’art. 14. Mentre, nella prima, la morte incide sull’illecito, facendolo venir meno a causa del carattere personale della responsabilità amministrativa disciplinata dalla L. n. 689 del 1981, nella seconda l’illecito permane, venendo meno soltanto la possibilità per la P.A. di applicare la sanzione, a causa di un ostacolo procedimentale di essenziale rilievo (perchè attinente all’esercizio del diritto di difesa) (così, in particolare, la sentenza n. 2064/94, la quale tuttavia non coglie la contraddizione tra la propria precedente affermazione, per cui l’obbligazione solidale sarebbe di tipo dipendente ex art. 1298 c.c., e la successiva conclusione raggiunta interpretando l’art. 14, u.c., nel senso della permanenza della responsabilità del coobbligato solidale nonostante si sia estinta l’obbligazione del trasgressore; in senso conforme, v. le sentenze nn. 5717/11, 1193/08, 2501/00 e 3245/97).

La conseguenza (sempre secondo Cass. n. 2064/94) è che, a differenza del caso di morte del trasgressore, nell’ipotesi contemplata dall’art. 14, u.c. cit. l’obbligato solidale che ha pagato la sanzione ha diritto di regresso per l’intero contro l’autore della violazione, il quale, ovviamente, potrà, nel relativo giudizio, sostenere la propria assenza di responsabilità in ordine alla violazione, determinando un accertamento giudiziale incidenter tamtum sul punto e con effetti solo nei rapporti interni (e non anche rispetto all’Amministrazione).

6.2. – Queste Sezioni Unite si sono occupate della solidarietà passiva nell’ambito dell’illecito amministrativo con la sentenza n. 890/94 (preceduta dalla n. 4405/91 della prima sezione civile), allorchè hanno affermato che l’identificazione del trasgressore non è un requisito di legittimità dell’ordinanza ingiunzione emessa nei confronti dell’obbligato solidale, ancorchè necessaria per esperire l’azione di regresso L. n. 689 del 1981, ex art. 6 ovvero ai fini della prova della violazione nel giudizio di opposizione o della valutazione della motivazione del provvedimento sanzionatorio o, infine, della contestazione dei presupposti della solidarietà, in relazione ai rapporti fra il trasgressore ed il coobbligato.

In tale occasione le S.U., riprendendo le motivazioni del parere del Consiglio di Stato n. 1523 del 1987, hanno precisato: a) che l’assoggettamento a sanzione dell’obbligato solidale (sia esso una persona fisica come l’imprenditore individuale o un soggetto collettivo) non presuppone necessariamente l’identificazione dell’autore della violazione alla quale la sanzione stessa si riferisce; b) che l’autonomia delle posizioni dei due obbligati si desume chiaramente dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c.; c) che dunque non vi è un legame necessario tra le due obbligazioni, l’una potendo sussistere anche se l’altra si è estinta; d) che, pertanto, l’identificazione dell’autore del fatto può assumere eventualmente carattere di necessità solo per finalità di ordine probatorio; e) che la previsione dell’azione di regresso di cui alla L. n. 689 del 1991, art. 6. u.c. è autonoma rispetto alla responsabilità per la sanzione amministrativa e l’eventualità che ne sia impossibile l’esercizio non può far venire meno l’obbligazione del debitore solidale.

Granitica, ne è scaturita la giurisprudenza successiva, la quale ha riaffermato che l’identificazione e l’indicazione dell’autore materiale della violazione non costituiscono requisito di legittimità dell’ordinanza ingiunzione emessa nei confronti dell’obbligato solidale, in quanto la ratio della responsabilità di quest’ultimo non è quella di far fronte a situazioni d’insolvenza del trasgressore, bensì quella di evitare che l’illecito resti impunito quando sia impossibile identificare tale ultimo soggetto e sia, invece, facilmente identificabile l’obbligato solidale a norma della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 1, (v. sentenze nn. 145/15, 11643/10, 24573/06, 2780/04, 4725/04, 18389/03, 7909/02, 357/00, 19861988/97, 1979-1982/97, 1969-1977/97, 1960/97, 1402/97, 1114/97, 590-606/97, 558-573/97 e 172/97).

6.3. – Ne risulta – occasionato dalle diverse e interagenti questioni sul tappeto – un quadro giurisprudenziale composito nelle premesse d’ordine sistematico e nelle soluzioni fornite, che trova riscontro nelle discordanti opinioni di dottrina sulla L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c..

Secondo alcuni autori, infatti, detta norma si riferirebbe soltanto all’ipotesi di responsabilità correale o di mancata notificazione nei confronti del responsabile in solido; con la conseguenza che l’omessa contestazione o notificazione nei confronti dell’obbligato in via principale precluderebbe l’accertamento dell’illecito amministrativo anche nei confronti dell’obbligato solidale.

Altri motiva la soluzione opposta in considerazione del fatto che, diversamente, resterebbero non sanzionabili le violazioni commesse da un autore rimasto ignoto; e che l’obbligazione del responsabile solidale dipende non dalle sorti dell’obbligazione principale, ma dalla stessa commissione del fatto illecito.

In ogni caso, entrambe le posizioni avvertono come imprescindibile il coordinamento dell’art. 14, u.c., con la L. n. 689 del 1981, art. 6, u.c.. Ipotizzata la sopravvivenza dell’obbligazione del responsabile in solido, nonostante l’estinzione di quella gravante sull’autore dell’illecito per mancata contestazione e tardiva od omessa notificazione, l’azione di regresso è ritenuta autonoma, fondata su di un normale rapporto di diritto privato e, dunque, esperibile nonostante il trasgressore resti liberato verso la P.A. Viceversa, nell’ambito della tesi che considera di natura dipendente l’obbligazione del responsabile solidale, assunta l’impossibilità del regresso per effetto dell’estinzione dell’obbligazione principale, se ne trae argomento per concludere che anche il responsabile in solido debba restare esentato dal pagamento della somma dovuta a titolo di sanzione.

6.4. – Regresso per l’intero ed estinzione dell’obbligazione del responsabile non destinatario di tempestiva notificazione – scilicet, la L. n. 689 del 1981, art. 6, u.c., e art. 14, u.c., – costituiscono, pertanto, le due polarità (come tali dotate di cariche opposte) entro cui operano le alternative ricostruzioni sistematiche.

La prima muove dall’inquadramento del regresso, in quanto previsto per l’intero, nell’ambito della previsione dell’inciso finale dell’art. 1298 c.c., comma 1 che istituisce il nesso tra le due obbligazioni, principaliter e in via solidale, in chiave di accessorietà – dipendenza. Così allineata, la solidarietà di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 16 al di là della ratio sottesa all’individuazione normativa delle categorie dei responsabili solidali, esprime soltanto il rafforzamento del credito dell’amministrazione sanzionante in un’ottica di pura garanzia. Benchè innestata in un ambito pubblicistico mirato alla sanzione, e dunque a finalità di tipo afflittivo, la solidarietà nell’illecito amministrativo opera, secondo tale impostazione, in senso dichiaratamente e interamente privatistico attraverso il diritto di regresso. Ne deriva di necessità la perdita di tale garanzia ove l’obbligazione del responsabile dell’illecito si sia estinta ai sensi dell’art. 14, u.c., detta legge, essendo quella del responsabile solidale ex art. 6 un’obbligazione dipendente, benchè non assistita nè da clausola di sussidiarietà nè da beneficio di escussione. Ulteriore corollario, la possibilità per l’obbligato principa/iter evocato in regresso di far valere contro il solvens responsabile in solido l’eccezione di estinzione della propria obbligazione, in base alla piana applicazione dell’art. 1203 c.c., n. 3 (sul regresso ex art. 1299 c.c. quale fattispecie di surrogazione legale, con la conseguenza che al condebitore che ha pagato il debito comune sono opponibili non solo le eccezioni relative al rapporto interno di solidarietà, ma anche quelle opponibili al creditore, relativamente a limitazioni, decadenze e prescrizioni inerenti al diritto che ha formato oggetto di surrogazione, cfr. Cass. nn. 7217/09, 4507/01, 1818/81, 1744/72 e 1952/71).

La seconda opzione procede in senso inverso. L’espressa limitazione dell’effetto estintivo dell’obbligazione al solo soggetto nei cui confronti sia mancata la notifica tempestiva, è indice di una duplicità e dunque di un’autonomia di livelli: pubblicistico nel rapporto tra obbligato principaliter, obbligato in via solidale e P.A.; privatistico in quello intercedente tra i primi due nel caso di avvenuto pagamento da parte dell’obbligato solidale. Nel quale ultimo rapporto interno permane, intatto, il diritto di regresso per l’intero del solvens, a nulla rilevando, proprio in virtù di detta autonomia, la circostanza che l’obbligato in via principale sia esente da responsabilità verso l’Amministrazione. L’estinzione dell’obbligazione di quest’ultimo resta così vanificata quoad effectum, ma solo dal punto di vista economico e in linea eventuale, sempre che il regresso stesso non sia obbligatorio per legge.

6.4.1. – Meno sostenibile (e in effetti non riscontrata nè in dottrina nè nella giurisprudenza di questa Corte) l’ipotesi terza e mediana, in base alla quale pur restando in vita l’obbligazione verso la P.A. del responsabile solidale nonostante l’estinzione dell’obbligazione gravante sull’autore dell’illecito amministrativo, il primo perderebbe l’azione di regresso verso il secondo.

Vi si oppongono diverse considerazioni. In linea generale, rispetto alla solidarietà passiva il regresso costituisce (secondo la migliore e più recente dottrina) un profilo fondante e non già un accessorio della disciplina, e dunque non pare possibile prescinderne.

Intuitive ragioni di equità interpretativa, poi, escludono che il diritto di agire in regresso possa venir meno per un mero accidente – la mancata o intempestiva notificazione al trasgressore – per di più ascrivibile alla condotta della stessa P.A. creditrice. Nè ipotizzare un regime di eccezione per il caso di colpa di quest’ultima o almeno una più limitata exceptio doli generalis varrebbe a ricomporre il sistema. Dipendendo da tali (pur ragionevoli) correttivi pretori, questo ne risulterebbe eccessivamente in debito per potersi imporre quale soluzione auto-verificabile. Non senza osservare che il meccanismo di accertamento della responsabilità del coobbligato solidale ne risulterebbe appesantito, aprendosi alla possibilità di defatiganti questioni preliminari sull’adeguatezza del comportamento degli uffici pubblici.

Ancora, una cosa è la concreta efficacia del regresso, omogenea alla solidarietà quale tecnica di deviazione del rischio d’insolvenza, altra ne è l’esclusione de iure per fatto non imputabile all’obbligato solidale. Allocategli le conseguenze dell’illecito amministrativo senza possibilità di rivalsa interna, questi verrebbe ad essere parificato all’obbligato in via principale; ma a differenza di lui non avrebbe la possibilità di provare l’assenza di (una propria) colpa, restando tenuto alle più gravose condizioni di cui ai primi tre commi della L. n. 689 del 1981, art. 6. Il che esporrebbe una siffatta ricostruzione a fondati dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo dell’art. 3 Cost.

Nè varrebbe replicare che anche l’obbligato in solido può confutare l’esistenza dell’illecito sotto ogni profilo, oggettivo e soggettivo. Non altrimenti bilanciata sul piano sostanziale mediante l’attribuzione del regresso per l’intero, la minore vicinanza alla prova del responsabile in solido rispetto all’autore dell’illecito segnalerebbe una recessione di difesa, anch’essa di dubbia legittimità in base all’art. 24 Cost.

Inoltre, il D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 12, comma 1, (codice delle assicurazioni private), vietando le assicurazioni che abbiano ad oggetto il trasferimento del rischio di pagamento delle sanzioni amministrative, suggerisce che neppure all’Amministrazione sia dato dirottarne irretrattabilmente e in maniera potestativa il peso economico.

Infine, nessuna delle (pur diverse) premesse sistemiche delle tesi sopra richiamate sarebbe compatibile con soluzioni terze, che ammettessero come possibile la responsabilità in solido deprivata della valvola del regresso. Infatti, l’obbligazione solidale dipendente presuppone, inalienabile, il regresso per l’intero; e per contro, l’autonomia dei due livelli di rapporto sterilizza la propagazione effettuale dell’uno (P.A./responsabile in via principale) all’altro (responsabile solidale/autore dell’illecito), e dunque l’estinzione del primo rapporto, operante a livello pubblicistico, non sarebbe argomento spendibile per dimostrare l’estinzione (anche) del secondo, rilevante a livello privatistico.

7. – Questi essendo i termini essenziali del contrasto, la conferma dell’indirizzo seguito dalle S.U. del 1994 procede attraverso alcune puntualizzazioni in chiave sistematica.

In quell’occasione le S.U., chiamate a risolvere la questione della permanenza o non della responsabilità solidale nel caso in cui l’autore dell’illecito amministrativo fosse rimasto ignoto, istituirono un nesso tra l’autonomia delle due obbligazioni (in via principale e in via solidale) e la conclusione affermativa. Nesso che, però, a ben vedere è tutt’altro che coessenziale alla soluzione raggiunta, ove si consideri che anche nell’illecito di diritto civile la solidarietà non richiede affatto che tutti gli obbligati siano noti (cfr. in motivazione Cass. n. 3630/04). Conclusione, questa, del tutto pacifica che a sua volta non richiede di aderire alla tesi per cui l’obbligazione solidale consta di una pluralità di rapporti obbligatori individuali. Il che suggerisce di non postulare, ma di verificare ed eventualmente fondare altrimenti la ridetta autonomia.

L’affermazione più durevole di S.U. n. 890/94, da allora in poi riprodotta costantemente nella giurisprudenza delle sezioni semplici, è che la ratio della responsabilità solidale ex art. 6 legge n. 689/81 non è quella di far fronte a situazioni d’insolvenza dell’autore della trasgressione, bensì di evitare che l’illecito resti impunito. Detta asserzione, la quale attrae la responsabilità in solido L. n. 689 del 1981, art. 6 verso un orizzonte di tipo punitivo-repressivo che fa premio sulla pura esigenza di garanzia, è in sè esatta perchè segna la distanza con le omologhe previsioni degli artt. 196 e 197 c.p. (o della L. n. 4 del 1929, artt. 9 e 10), che contemplano un’obbligazione sostitutiva solo “in caso di insolvibilità del condannato”; ma la sua enunciazione, o meglio quanto ordinariamente se ne è dedotto, si presta ad un possibile equivoco.

Dall’art. 1293 c.c., in base al quale la solidarietà passiva non è esclusa dal fatto che i singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità diverse, si desume anche l’ovvia proposizione reciproca per cui l’assenza di modalità distinte, a sua volta, non esclude la solidarietà. E allora affermare che la previsione dell’art. 6 cit. non mira a rimediare all’insolvenza del responsabile principale, non vuol dire ancora nulla sulla possibilità di declinare al singolare o al plurale il rapporto obbligatorio dei vari soggetti responsabili, e di trarre conclusioni sul tema in oggetto.

Piuttosto, è vero che la solidarietà ex art. 6 cit. opera per facilitare la riscossione a prescindere dall’effettiva insolvenza dell’obbligato principale, e che la P.A. ha il potere di rivolgersi direttamente ed esclusivamente al terzo obbligato in solido, ove lo ritenga maggiormente e più facilmente solvibile, e di sanzionare lui soltanto a sua insindacabile scelta. Ragion per cui deve escludersi che la L. n. 689 del 1981, art. 18, comma 2, imponga di irrogare la sanzione congiuntamente al trasgressore e ai coobbligati solidali.

Detto principio è ben espresso da Cass. nn. 4342/13, 4688/09, 23783/04 e 1144/98, in base alle quali il vincolo intercorrente tra l’autore materiale della violazione e la persona giuridica di cui è prevista la responsabilità solidale consente all’autorità amministrativa competente di agire contro ambedue gli obbligati oppure contro uno o l’altro, ferma restando la necessità che il soggetto in concreto chiamato a rispondere si sia visto contestare o notificare la violazione, così da essere in grado di far pervenire alla P.A. ogni possibile deduzione difensiva.

Coerente a ciò è quanto chiarito da Cass. nn. 7884/11, 16661/07 e 10798/98, secondo cui il vincolo che intercede, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 3, tra l’autore materiale della violazione e la persona giuridica di cui è prevista la responsabilità solidale, assume rilevanza nel solo caso in cui l’Amministrazione se ne avvalga in concreto (irrogando la sanzione anche al corresponsabile in solido), e non quando la contestazione risulti mossa nei confronti del solo autore materiale. A quest’ultimo, pertanto, non è riconosciuto alcun interesse a rappresentare, in sede di opposizione all’ordinanza ingiunzione, la mancata contestazione (anche) al coobbligato solidale. Infatti, l’effetto estintivo della pretesa sanzionatoria è limitato al soggetto nei cui confronti non è stata eseguita la notifica (L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c.).

Altrettanto consequenziale e del tutto pacifico è che legittimato ad opporsi all’ordinanza d’ingiunzione sia il solo soggetto contro cui è emesso il provvedimento. Così, è stato affermato che il conducente del veicolo col quale sia stata commessa l’infrazione al codice della strada non è legittimato ad opporsi all’ingiunzione emessa soltanto a carico del proprietario del mezzo, responsabile in solido della violazione, trovando, in questo caso, la legittimazione a ricorrere fondamento nell’esistenza di un interesse giuridico alla rimozione di un atto del quale il ricorrente sia destinatario, mentre il fatto di essere esposto ad una eventuale azione di regresso integra un semplice interesse di fatto (Cass. nn. 18474/05 e 6549/93; in senso analogo, in materia di sanzione irrogata dall’allora Ministero del Tesoro su proposta della Consob, Cass. nn. 5139/07 e 23783/04; v. ancora, in altre materie, Cass. nn. 17617/11, 14098/06, 10681/06, 19284/05, 11763/04, 13283/03, 12240/03, 15830/02, 16154/01, 14635/01, 13588/01, 3543/98, 2816/98, 1910/98, 12515/97, 7718/97, 5833/97, 6573/96 e 1318/92).

Ma – il punto è da precisare – l’autonomia delle posizioni dei soggetti a vario titolo responsabili non vuol dire che la stessa P.A. non debba procedere nei confronti di tutti, come si desume inequivocabilmente dai primi due commi dello stesso art. 14 sulla contestazione immediata o sulla notificazione, che devono avvenire nei confronti dei trasgressori e dei coobbligati solidali; il che conferma il generale principio di obbligatorietà dell’azione contro tutti i responsabili (direttamente desumibile, a sua volta, dai principi costituzionali di uguaglianza, buon andamento della pubblica amministrazione e doverosità della funzione pubblica).

Se dunque la P.A. deve procedere congiuntamente entro il termine di decadenza di cui all’art. 14, comma 2, contro tutti i soggetti obbligati che le siano noti, ma poi può sanzionare isolatamente entro il termine di prescrizione fissato dall’art. 28 solo alcuni di loro a sua libera scelta, vuol dire che il rapporto sanzionatorio non è unitario (nel senso di inscindibile), ma è declinabile al plurale come in ogni caso di solidarietà (e in tal senso depongono, del resto, i precedenti di S.U. n. 20935/09 e nn. 18075/04, 5833/97, 6573/96 e 1318/92, che escludono ogni ipotesi di litisconsorzio necessario; contra la sola n. 415/98).

8. – Sebbene coessenziale al funzionamento di tale responsabilità in solido, il regresso per l’intero previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 6, u.c., non appare elemento sufficiente a inclinare verso una ricostruzione dell’obbligo, gravante sui responsabili solidali, in chiave di accessorietà-dipendenza rispetto all’obbligazione del trasgressore.

La responsabilità solidale in tema di illecito amministrativo è tutt’altro che nuova nell’ordinamento. Quella della persona rivestita di autorità o incaricata della direzione o della vigilanza nonchè delle persone giuridiche private per le violazioni commesse dal rappresentante, dall’amministratore o dal dipendente era già contemplata dalla L. n. 4 del 1929, art. 14 (sulla repressione delle violazioni finanziarie) e della L. n. 706 del 1975, art. 3, comma 2, (sul sistema sanzionatorio delle norme che prevedono contravvenzioni punibili con l’ammenda); così la responsabilità del proprietario del veicolo era prevista dall’art. 3, comma 1, sia della L. n. 317 del 1967 (recante modificazioni al sistema sanzionatorio delle norme in tema di circolazione stradale e delle norme dei regolamenti locali), sia della L. n. 706 del 1975 (riferendosi, quest’ultima, al più generico concetto di cosa che servi o fu destinata a commettere la violazione”). Ed ulteriori ipotesi di solidarietà erano e sono previste, poi, in materia tributaria e dal codice della strada.

Ciò che in passato restava non disciplinato era il regresso per l’intero, su cui tali precedenti, pur senza minimamente escluderlo, nulla disponevano.

La non parziarietà dell’obbligazione nel rapporto interno fra il trasgressore e il corresponsabile solidale, rapporto che sorge se ed in quanto quest’ultimo abbia pagato la somma dovuta a titolo di sanzione, non basta a ricondurre la fattispecie all’inciso finale dell’art. 1298 c.c., comma 1, e ad innescare la relativa deduzione sillogistica sulla natura dipendente di tale solidarietà. Infatti, l’obbligazione ex art. 6 non è contratta nell’interesse dell’autore della violazione o di qualsivoglia altro consorte (come avviene nelle ipotesi di garanzia fideiussoria, generalmente richiamata nel commentare l’art. 1298 c.c., comma 1, ultimo inciso garanzia che sebbene negoziata con il creditore è pur sempre funzionale all’interesse del debitore principale, che diversamente non potrebbe accedere al credito). Tale obbligazione, invece, è prevista ex lege nel solo ed esclusivo interesse della P.A. creditrice, al duplice scopo di agevolare la riscossione della somma dovuta e di evitare che l’illecito resti impunito (interessi, questi ultimi, che evidentemente non sono riferibili al trasgressore).

Il regresso per l’intero, dunque, nell’assolvere la sua funzione di allocare definitivamente il peso economico della sanzione sull’autore del fatto illecito, e di definire così gli effetti delle due responsabilità, quella in via principale e quella in via solidale, nulla predica sulla natura, dipendente o autonoma, dell’obbligazione solidale nel rapporto esterno con l’Amministrazione.

Pressochè nullo, poi, è l’apporto derivante dai casi di obbligatorietà del regresso.

Già previsto nel settore bancario e in quello dell’intermediazione finanziaria, rispettivamente, dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 145, comma 10, e D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 9, l’obbligatorietà del regresso è stata abrogata dal D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 1, comma 53, lett. n). Essa permane, tuttavia, in base allo stesso D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 196, comma 4, per le violazioni commesse dai consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede; sicchè, in definitiva, si è in presenza di una disciplina troppo discontinua, disorganica e dipendente dall’interferenza di altri fattori (la tutela dei soci o dei risparmiatori) per offrirsi a considerazioni di carattere generale.

Se ne deve concludere che, quantunque stabilito per l’intero e coessenziale alla tenuta stessa del sistema, il regresso operi ad un livello esclusivamente privatistico di riequilibrio interno, che non comunicando con quello di rilevanza pubblicistica concernente il rapporto obbligatorio tra l’Amministrazione e tutti i suoi debitori per effetto della violazione commessa, non autorizza illazioni sulla natura dipendente o autonoma della solidarietà di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 6.

Non senza osservare, benchè l’argomento non possa certo accreditarsi come decisivo, che la L. n. 689 del 1981 (così come le L. n. 317 del 1967 e L. n. 706 del 1975) non qualifica l’obbligazione di pagamento della sanzione come obbligazione di “carattere civile”, al contrario di quanto invece stabilivano la L. n. 4 del 1929, art. 3,cpv., e art. 5, comma 3. E dunque almeno ciò è lecito chiosare – nulla si frappone alla possibilità di valorizzare all’interno del rapporto obbligatorio con l’Amministrazione aspetti propriamente pubblicistici.

8.1 – A differenza di quanto si è appena visto per la L. n. 689 del 1981, art. 6, u.c., l’art. 14, u.c. stessa legge trova perfetta corrispondenza testuale nei precedenti della L. n. 317 del 1967, art. 7, comma 3, e della L. n. 706 del 1975, 6, comma 3. Applicando il criterio interpretativo c.d. del legislatore consapevole (id est, la clausola generale esclusiva), la lettera di tale (iterata) disposizione dovrebbe intendersi nel senso di escludere l’effetto estintivo per tutti i soggetti coobbligati, in via principale o solidale, nei cui confronti la notificazione sia invece avvenuta nel termine di legge.

Vi sarebbe, a ben vedere, un’isolata previsione legislativa di pari significato nel D.Lgs. n. 231 del 2007, in materia di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, di recente modificato dal D.Lgs. n. 90 del 2017. L’art. 65, comma 10, come appena sostituito, stabilisce che, in relazione alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dagli artt. 58 e 63 medesimo decreto, la responsabilità solidale di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 6 sussiste anche quando l’autore della violazione non è univocamente identificabile, ovvero quando lo stesso non è più perseguibile ai sensi della legge medesima. Tuttavia tale disposizione non vale per le sanzioni previste per i restanti illeciti contemplati dallo stesso D.Lgs., per cui appare arduo attribuirvi una portata generale e un’efficacia risolutiva. Salvo osservare che l’ipotesi di un’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., nel senso della permanenza dell’obbligazione di garanzia, trova, se non una conferma, almeno una sponda legislativa.

8.1.1. – Inappagante il solo dato letterale delle norme in materia, è dunque ancor più necessario ricercare l’orizzonte di senso entro cui opera il sistema.

Una prima, pur ovvia considerazione, è che l’individuazione delle categorie di soggetti responsabili in solido non è neutra, ma esprime un giudizio legislativo di disvalore operato nell’area intermedia tra correalità ed estraneità al fatto. Similmente a quanto avviene nell’ambito della responsabilità civile c.d. aggravata, anche in quella in esame è la relazione con la res adoperata o col soggetto danneggiante a fondare l’attribuzione della responsabilità solidale. Assistita dal regresso per l’intero, quest’ultima assicura, ad un tempo, che la repressione sia agevolata e che i relativi effetti economici ricadano in via definitiva sull’autore del fatto.

Eppure è innegabile che lo strumento dell’obbligazione solidale, per quanto di risalente e consolidata applicazione in materia, appaia prima facie spurio all’interno di un sistema sanzionatorio basato sul principio di personalità. Sistema che comunque opera in maniera dissonante rispetto alle regole civilistiche dell’art. 1292 c.c.e ss. e art. 2055 c.c. sulla solidarietà passiva, sol che si consideri che tra più autori del medesimo illecito amministrativo non vi è neppure rapporto interno, sia perchè ciascun concorrente soggiace all’intera sanzione, sia perchè il pagamento da parte di uno non estingue l’obbligazione degli altri (cfr. Cass. nn. 2088/00 e 18365/06).

La previsione di soggetti obbligati in solido ma non in via succedanea costituisce una scelta intermedia tra correalità e mera garanzia. Tant’è che – è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte – conseguenze precipuamente sanzionatorie, come il fermo amministrativo e la confisca, permangono a carico definitivo non del trasgressore, ma dell’obbligato solidale proprietario della res servita o destinata a commettere la violazione (cfr. per un caso di confisca a danno dell’obbligato solidale la sentenza n. 17398/08; v. anche la n. 7666/97, che pure afferma espressamente che destinatari delle sanzioni amministrative accessorie sono anche i soggetti obbligati in solido a norma della L. n. 689 del 1981, art. 6). Segno che anche l’obbligato in solido può soggiacere ad una propria, ancorchè accessoria, sanzione, pur essendo altri l’autore dell’illecito amministrativo. Un’ottica, quest’ultima, che sia pure in larga approssimazione potrebbe definirsi “plurisanzionatoria”.

Inoltre, in tutte le ipotesi previste dai primi tre commi della L. n. 689 del 1981, art. 6 fra il trasgressore e la persona fisica o giuridica con lui obbligata in solido intercorre un nesso che può essere più o meno stretto, coinvolgere rapporti di lavoro o assetti societari ed essere tale, comunque, da rendere il momento sanzionatorio parimenti (anche se non ugualmente) afflittivo per tutti i coobbligati a prescindere dall’an e dal quo modo del regresso. Che per plurime ed ottime ragioni può anche mancare del tutto (salvo le ipotesi residuali di regresso obbligatorio).

L’effettiva collocazione finale del peso economico della sanzione dipende da variabili che l’ordinamento non può nè ha interesse di regola a controllare nel concreto. Ciò che, invece, esso ha interesse a mantenere ferma è la possibilità del regresso, senza la quale lo strumento della solidarietà risulterebbe insanabilmente alterato nei suoi stessi presupposti.

Oltre e più che rafforzare il credito in funzione recuperatoria della somma dovuta dall’autore del fatto, il meccanismo della solidarietà, dunque, mostra oggettivamente di irrobustire la capacità reattiva e afflittiva del sistema sanzionatorio, sì da amplificarne l’efficacia deterrente (cfr. le sentenze nn. 3879/12 e 12264/07, le quali, pur affermando che la responsabilità solidale per gli illeciti commessi dai legali rappresentanti o dipendenti delle società è prevista esclusivamente in funzione di garanzia del pagamento della somma dovuta dall’autore della violazione, ammettono che essa risponda anche alla finalità di sollecitare la vigilanza delle persone e degli enti chiamati a rispondere del fatto altrui).

Attraverso forme estese di responsabilità aggravata (fino al limite estremo della responsabilità oggettiva prevista dall’art. 6, comma 3), il sistema mira a dissuadere quelle condotte (in vigilando o in eligendo) che possano agevolare la violazione delle norme amministrative. Il principio di personalità non ne risulta nè contraddetto nè attenuato, ma certamente ricondotto alla sua reale e naturale funzione garantistica, che non esclude la visione dell’illecito come fatto di rilevanza sociale piuttosto che quale mero episodio della vita del singolo.

Conclusione, quest’ultima, che appare coerente alle linee evolutive del più generale settore della responsabilità, che ormai ammette forme di incidenza diretta anche sugli enti collettivi (si pensi alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2001).

Se dunque all’interno del sistema dell’illecito amministrativo la solidarietà non si limita ad assolvere una funzione di sola garanzia, ma persegue anche e soprattutto uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione, l’obbligazione del corresponsabile solidale possiede una propria indubbia autonomia; e non dipendendo da quella principale, non si estingue con questa.

Ne deriva un’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., del tutto coerente alla sua lettera, che limita l’effetto estintivo alla sola obbligazione del soggetto nei cui confronti sia stata omessa la notificazione tempestiva. E si conferma la tesi che distingue tra loro, rendendoli non comunicanti, i due livelli di operatività del rapporto, quello pubblicistico necessario tra l’Amministrazione e tutti i soggetti oblati, e quello privatistico eventuale, nel quale attraverso l’azione di regresso si trasferisce l’aggravio economico della sanzione principale sul trasgressore. Con la conseguenza che il regresso a favore del solvens già obbligato solidalmente, non inquadrandosi nello schema della surrogazione legale ex art. 1203 c.c., n. 3, ma derivando da un’espressa norma coessenziale alla tenuta del sistema della responsabilità amministrativa, opera al riparo dall’eccezione di estinzione per mancata notifica nel termine di legge, rilevante solo nel primo dei suddetti rapporti.

9. – Tale soluzione, che esclude l’ipotesi d’una solidarietà di tipo dipendente e lascia in vita il regresso nonostante l’estinzione dell’obbligazione del responsabile in via principale, non costituisce una dissimmetria rispetto all’indirizzo costante seguito da questa Corte per il caso, solo apparentemente simile, della morte del trasgressore avvenuta prima del pagamento della sanzione.

Nel nostro ordinamento l’illecito amministrativo nasce e si struttura nella sua autonomia mediante successive leggi di depenalizzazione di omologhe fattispecie di reato. La norma della L. n. 689 del 1981, art. 7 in base alla quale l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi, era presente tal quale nei rispettivi artt. 4 delle L. n. 317 del 1967 e L. n. 706 del 1975, e si coordina oggi con il principio della natura personale della responsabilità amministrativa (L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 1), al pari e a somiglianza di quella penale (art. 27 Cost., comma 1). Ed è stata poi richiamata nei rispettivi artt. 23, comma 1, dei D.P.R. n. 454 del 1987 e L. n. 148 del 1988, in materia valutaria.

Da ciò la giurisprudenza di questa Corte ha tratto che tale principio si rende applicabile a tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale, e trova la sua ragione giustificativa nel carattere afflittivo di tali sanzioni che le riconduce all’ambito del diritto punitivo, accentuandone quindi – la stretta inerenza alla persona del trasgressore (così la sentenza n. 10823/96; conformi, le nn. 7515/96 e 12853/97).

Dunque, la morte dell’autore della violazione determina, in base ad una libera e risalente scelta di politica legislativa, il venir meno in radice dell’interesse dello Stato ad accertare la responsabilità stessa e ad applicare il relativo trattamento sanzionatorio. Ciò che in tal caso si estingue è lo stesso illecito, al pari dell’estinzione del reato prevista dall’art. 150 c.p. nell’ipotesi di morte del reo prima della condanna. Di riflesso, viene meno l’intero apparato “plurisanzionatorio” di cui si è appena detto, ormai privo della sua primigenia e fondativa giustificazione.

Ma al di là del distinguo appena proposto tra estinzione dell’illecito ed estinzione del relativo trattamento sanzionatorio (che pure potrebbe legittimamente criticarsi per il fatto che sia l’art. 7, sia la L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., parlano solo e allo stesso modo della “obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione”), il venir meno anche della responsabilità solidale nel caso di morte del trasgressore deriva ineluttabilmente dalla circostanza che, comunque, il regresso non potrebbe più essere esercitato. Ammetterne la conservazione verso gli eredi contraddirebbe l’esplicita esclusione dell’obbligazione di pagamento dal fenomeno successorio, non ipotizzabile a corrente alternata e a seconda della persona del creditore (e tenuto ulteriormente conto del fatto che il regresso, come si è innanzi detto, riguarda l’aspetto privatistico della sequenza obbligatoria generata dalla commissione dell’illecito).

Ben diverso, invece, è il caso in cui la morte dell’autore del fatto non preceda ma segua temporalmente il pagamento della sanzione da parte del coobbligato solidale. In tal caso, al momento dell’apertura della successione si è già estinta l’obbligazione verso la P.A., con il che la stessa applicabilità della L. n. 689 del 1981, art. 7 non è più revocabile in ipotesi; ed è già entrata a far parte del patrimonio ereditario del trasgressore la soggezione di lui al potere di regresso del solvens. E dunque più nulla si frappone al fenomeno successorio.

10. – Sulla base di quanto fin qui considerato si enuncia il seguente principio di diritto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1: “all’interno del sistema dell’illecito amministrativo la solidarietà prevista dalla L. n. 689 del 1981 non si limita ad assolvere una funzione di sola garanzia, ma persegue anche uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione. Pertanto, l’obbligazione del corresponsabile solidale è autonoma rispetto a quella dell’obbligato in via principale, per cui, non dipendendone, essa non viene meno nell’ipotesi in cui quest’ultima, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., si estingua per mancata tempestiva notificazione; con l’ulteriore conseguenza che l’obbligato solidale che abbia pagato la sanzione conserva l’azione di regresso per l’intero, ai sensi del citato art. 6, u.c. verso l’autore della violazione, il quale non può eccepire, all’interng di tale ultimo rapporto che è invece di sola rilevanza privatistica l’estinzione del suo obbligo verso l’Amministrazione”.

11. – Il quarto motivo denuncia l’omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra la parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, relativamente alla prova delle violazioni, non avendo la Corte territoriale considerato che non sono stati acquisiti agli atti i libri sociali e i registri informatici, e che la prima nota di cassa, su cui si fonda il verbale della polizia tributaria, non costituisce scrittura obbligatoria e non contiene la prova della violazione contestata.

12. – Il motivo è infondato.

Ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, costituisce motivo di ricorso per cassazione l’omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Tale riformulazione della norma, com’è noto, è stata interpretata da queste S.U. nel senso: a) che l’omesso esame deve avere ad oggetto un “fatto storico”, non un punto o una questione; e b) che il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale”, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (v. sentenza n. 8053/14).

Sempre queste S.U. hanno poi ulteriormente precisato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così, in motivazione, la sentenza n. 19881/14).

Ne consegue che in sede di legittimità non è data ora (come del resto non era altrimenti data allora, vigente il testo precedente dell’art. 360 c.p.c., n. 5) la possibilità di censurare che la prova di un dato fatto sia stata tratta o negata dall’apprezzamento o dalla obliterazione di un determinato elemento istruttorio, atteso che una tale critica ha ad oggetto non già un “fatto storico”, ma la stessa attività di valutazione del corredo probatorio, che solo al giudice di merito compete.

12.1. – Nello specifico, costituisce una mera torsione verbale qualificare come “fatto storico”, il cui esame sarebbe stato omesso, la mancata considerazione di ciò, che le operazioni contestate non integrerebbero un trasferimento di denaro contante, non potendo la relativa prova trarsi delle “prime note cassa”, che non costituiscono scritture contabili obbligatorie. Si tratta, ad evidenza, di una critica mossa proprio e solo alla valutazione della prova del fatto storico, decisivo e discusso, dell’avvenuto trasferimento di denaro contante tramite la Cassa Arianese di Mutualità; sicchè non è stato omesso alcun esame del fatto, ma quest’ultimo è stato semplicemente apprezzato in maniera opposta alle aspettative della parte odierna ricorrente.

13. – Il quinto motivo espone la violazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 1, comma 1, art. 4, commi 1 e 2, e art. 6, commi 1 e 4-bis, in relazione al disposto di cui all’art. 106 Testo Unico Bancario. Si sostiene che la Cassa Arianese di Mutualità rientrava tra i soggetti potenzialmente abilitati ad effettuare le operazioni oggetto di contestazione, in quanto (1) svolgente in prevalenza attività di concessione di finanziamenti e (2) iscritta nell’apposito elenco tenuto dal(l’allora) Ministero del Tesoro ai sensi dell’art. 6, comma 1 detta legge.

14. – Anche tale motivo non ha pregio.

Ai sensi del D.L. n. 143 del 1991, convertito in L. n. 197 del 1991, applicabile alla fattispecie ratione temporis, le operazioni di trasferimento di denaro contante possono essere effettuate unicamente dai soggetti abilitati ex lege ai sensi dell’art. 4, comma 1 stesso D.L., ovvero per effetto di un apposito provvedimento amministrativo dell'(allora) Ministro del Tesoro, ricorrendo, in quest’ultimo caso i requisiti indicati nel comma 2 detto articolo.

Il fatto che l’art. 6, comma 1 detto D.L. preveda che l’esercizio in via prevalente di una o più delle attività di cui all’art. 4, comma 2, sia riservato agli intermediari iscritti in apposito elenco tenuto dal Ministro del tesoro, che si avvale dell’Ufficio italiano dei cambi, il quale dà comunicazione dell’iscrizione alla Banca d’Italia e alla CONSOB; e che lo stesso art. 6, consenta agli intermediari di cui ai commi 2 e 2-bis esercenti l’attività alla data di entrata in vigore del decreto di continuare ad esercitarla a condizione che ne diano comunicazione all’Ufficio italiano dei cambi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, non elide, contrariamente a quanto opina parte ricorrente, la necessità del provvedimento di abilitazione. Al contrario, l’inserzione del soggetto nell’elenco degli intermediari finanziari tenuto dall’Ufficio italiano dei cambi è condizione necessaria per l’abilitazione alle operazione di trasferimento di denaro contante, come del resto dimostra la lettera del primo comma dell’art. 6, che tale attività riserva, e non già attribuisce, agli intermediari iscritti nel ridetto elenco.

15. – Il sesto motivo espone l’omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, in relazione al mancato riconoscimento della carenza dell’elemento soggettivo ovvero della sussistenza di un errore scusabile, per l’oggettiva difficoltà d’interpretazione delle disposizioni anzidette. Parte ricorrente lamenta, in particolare, che la Corte distrettuale abbia inquadrato la corrispondente censura d’appello nell’ambito dell’esimente della L. n. 689 del 1981, art. 3, cpv. mentre la società ricorrente aveva evidenziato che l’errore incolpevole investiva non già il divieto, ma il fatto storico che la Cassa Arianese di Mutualità possedesse la qualifica di soggetto intermediario abilitato.

16. – Strettamente connesso il settimo mezzo, che ripropone la medesima doglianza sotto il profilo della nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per motivazione apparente.

17. – Entrambi i suddetti motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

In primo luogo va rilevato che l’errore sul divieto rientra nella L. n. 689 del 1981, art. 3 cpv. ed è di regola irrilevante, mentre l’errore sul fatto è disciplinato dal secondo comma del medesimo articolo, ed ha efficacia scriminante se non dipende da colpa. Pertanto, la censura, lì dove lamenta che la Corte distrettuale avrebbe erroneamente attratto sotto l’art. 3, cpv. legge cit. l’errore riguardante “il fatto storico del possesso da parte della CAM della qualifica di intermediario abilitato” (v. pag. 26 del ricorso), mostra di essere formulata in maniera non giuridicamente consequenziale.

Ciò a parte, è decisivo osservare che la sentenza impugnata, pur richiamando espressamente solo l’art. 3, comma 1 legge cit., ha in realtà esaminato diffusamente anche l’asserito errore sul fatto, escludendolo sulla base di molteplici considerazioni (v. pagg. 17-18 della sentenza impugnata), tutt’altro che apparenti (la società ingiunta non si era neppure posta il problema di verificare se la CAM fosse in possesso dell’abilitazione per le operazioni di trasferimento di denaro contante, perchè più semplicemente ne ignorava l’illiceità; era poco probabile che detta società conoscesse la nota dell’Ufficio italiano cambi, peraltro giudicata non rilevante a tal fine, da cui la stessa società aveva infondatamente dedotto la sussistenza dell’abilitazione; le indagini penali e il successivo decreto di archiviazione avevano riguardato altro, ossia il reato di attività bancaria abusiva; non vi era stata una vera e propria prassi della CAM tale da ingenerare l’errore, che ad ogni modo non era nè incolpevole nè inevitabile per la sola asserita usualità della condotta vietata; del pari dubbio che la società sapesse di una precedente ispezione della Banca d’Italia presso la CAM e del suo esito, e in ogni caso tale ispezione era del tutto irrilevante perchè anteriore di circa sette anni rispetto a quella da cui erano scaturite le contestazioni oggetto di causa).

Per il resto, sui generali limiti del controllo di legittimità ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si ripropongono valide e intatte le osservazioni svolte supra al paragrafo 12.

18. – Con l’ottavo motivo si censura, infine, in base all’art. 360 c.p.c., n. 5. la statuizione di rigetto del motivo d’appello incidentale con cui l’odierna ricorrente aveva chiesto ridursi la sanzione irrogata. Ciò in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che la sanzione irrogata corrisponde al 5% dell’importo complessivo delle operazioni contestate.

19. – La censura è manifestamente infondata, atteso che la Corte territoriale ha espressamente esaminato il suddetto motivo d’impugnazione incidentale e l’ha respinto proprio osservando che, a fronte di una sanzione edittale massima pari al 40% del valore della transazione, la percentuale del 5% applicata in concreto era proporzionale ed equa, tenuto conto anche della gravità soggettiva della violazione.

20. – Il rigetto del secondo motivo del ricorso principale assorbe l’esame del primo motivo del ricorso incidentale (violazione o falsa applicazione dell’art. 2943 c.c.) espressamente condizionato all’ipotesi di accoglimento della ridetta censura dell’impugnazione principale.

21. – Il secondo motivo del ricorso incidentale lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte d’appello, in altre precedenti cause d’opposizione ad ingiunzioni emesse a carico della Cassa Arianese di Mutualità e dei suoi soci, aveva disposto la condanna alle spese della parte opponente. Pertanto, in costanza delle medesime questioni processuali e sostanziali, la soccombenza della parte privata avrebbe dovuto condurre alla condanna di quest’ultima alle spese.

22. – Il motivo è infondato.

Lo stare decisis non è una regola ma una direttiva di tendenza, immanente nell’ordinamento, in relazione alla quale non è consentito discostarsi da un’interpretazione del giudice di legittimità, investito istituzionalmente della funzione della nomifilachia, senza forti ed apprezzabili ragioni giustificative: cfr. Cass. S.U. n. 13620/12); e dunque esso non è argomento idoneo a vincolare il giudice di merito alle proprie precedenti decisioni.

Inoltre, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (v. ex multis, Cass. nn. 8421/17, 15317/13 e 5386/03).

E nella specie la Corte distrettuale ha compensato le spese facendo correttamente leva sull’esistenza di contrasti giurisprudenziali, in sede di legittimità, sull’interpretazione delle più volte citate norme della L. n. 689 del 1981.

23. – In conclusione, entrambi i ricorsi vanno respinti.

24. – Applicato ratione temporis (il giudizio è iniziato nel 2010) il testo dell’art. 92 c.p.c., comma 2, anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 132 del 2014, convertito in L. n. 162 del 2014, ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, derivanti dal contrasto di giurisprudenza sull’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 14,u.c., per compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

25. – Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato a carico della sola parte ricorrente principale (per quanto concerne il Ministero ricorrente incidentale, il medesimo obbligo non può trovare applicazione, poichè le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo: v. Cass. nn. 1778/16 e 5955/14).

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa integralmente le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili della Corte Suprema di Cassazione, il 18 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2017

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