Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22083 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 13/10/2020), n.22083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27246-2015 proposto da:

F.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195,

presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, rappresentato e

difeso dall’avvocato CLAUDIO LALLI;

– ricorrente –

contro

A.R.S.T. S.P.A. – Azienda Regionale Sarda Trasporti, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PAOLA FALCONIERI n. 100, presso lo studio dell’avvocato

PAOLA FIECCHI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE

MACCIOTTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 242/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 08/05/2015 R.G.N. 332/2013.

 

Fatto

RITENUTO

I. Che la Corte d’Appello di Cagliari, con la sentenza n. 242 del 2015, depositata l’8 maggio 2015, ha accolto per quanto di ragione l’appello dall’Azienda regionale trasporti – ARST – s.p.a. nei confronti di F.P., ha rigettato l’appello incidentale di quest’ultimo, entrambi proposti avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Cagliari.

In parziale riforma della sentenza impugnata, che veniva confermata nel resto, il giudice di appello ha dichiarato che la nullità del termine apposto ai contratti, stipulati tra le parti in causa, non dava luogo alla conversione del rapporto di lavoro.

2. Il lavoratore aveva adito il Tribunale esponendo di aver lavorato alle dipendenze dell’ARST, come autista di autobus di linea, in virtù di una pluralità di contratti a tempo determinato, dal 2 dicembre 2007 al 30 giugno 2010.

Il ricorrente aveva dedotto la nullità della clausola di apposizione del termine ai contratti per diverse ragioni.

3. L’ARST si costituiva in giudizio, resistendo alla domanda, esponendo, in particolare, la sussistenza di ragioni legittimanti l’assunzione a termine quali il garantire il servizio pubblico di trasporto.

4. Il Tribunale ha ritenuto nulla la clausola di apposizione del termine per la violazione della disposizione del D.Lgs. n. 368 del 2001 sull’obbligo di specificare le ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo e sostitutivo che giustificano il ricorso al termine, poichè l’ARST aveva dedotto una pluralità di cause generiche e, quindi, non verificabili, che non consentivano al lavoratore di controllarne l’effettiva sussistenza nel caso concreto.

Il Tribunale, affermando che il rapporto di lavoro del personale ARST aveva natura

privatistica, dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo

indeterminato.

5. In riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello ha affermato che, ferma restando la nullità delle clausole appositive del termine, non poteva darsi luogo alla trasformazione.

La Corte d’Appello escludeva l’applicabilità della L. n. 183 del 2010, art. 32 e faceva applicazione – assimilando la fattispecie alla risoluzione del rapporto per licenziamento senza giustificato motivo oggettivo – del D.Lgs. n. 23 del 2015, adottato in attuazione delle legge delega n. 183 del 2015, che prevedeva un indennizzo da 2 a 4 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, liquidandolo in concreto nella somma minima, in ragione della breve durata del rapporto.

6. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando tre motivi di ricorso.

7. Resiste l’ARST con controricorso.

8. Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione della legge della Regione autonoma Sardegna n. 16 del 1974, e della legge della Regione autonoma Sardegna n. 21 del 2005. Violazione e falsa applicazione dell’art. 117 Cost.. Violazione della legge costituzionale n. 3 del 1948.

Illegittimità costituzionale della legge della Regione autonoma Sardegna n. 16 del 1974, in relazione agli artt. 3 e 117 Cost., e della L. Cost., n. 3 del 1948.

2. Il ricorrente precisa che la censura è centrata sulla parte della sentenza relativa alla statuizione del divieto di conversione del contratto a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato, che la Corte d’Appello fa derivare dalla L.R. Sardegna n. 16 del 1974.

Il ricorrente deduce che la L.R. n. 16 del 1974, art. 23 non era più vigente al momento della stipula del contratto a termine in questione e che, comunque, lo stesso non prevedeva alcuna nullità per i contratti stipulati in violazione di quanto previsto, trattandosi di una mera norma programmatica.

Qualora si ritenesse che i contratti stipulati senza l’espletamento di concorso siano nulli, la normativa regionale dovrebbe essere rimessa alla Corte costituzionale per verificarne la legittimità, attesa la potestà legislativa delle Regione, ai sensi dell’art. 3 dello Statuto di autonomia, nella materia ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale.

La norma regionale sarebbe, altresì, in contrasto con la legislazione statale in materia di ordinamento civile (D.Lgs. n. 165 del 2001 e D.Lgs. n. 368 del 2001, che sanzionano l’abuso del ricorso al contratto a termine con la conversione, ovvero, con il risarcimento del danno), ex art. 117 Cost., e con la direttiva Europea che obbliga gli Stati membri a prevedere un’adeguata tutela per l’abuso di contratti a tempo determinato, e con le leggi nazionali di recepimento.

Inoltre, un lavoratore assunto con contratto a termine dall’ARST si troverebbe privo della tutela che invece spetta a un lavoratore di un ente pubblico economico, di un ente pubblico o di un soggetto privato, con violazione dell’art. 3 Cost..

Privo di rilievo, altresì, sarebbe la L. n. 133 del 2008, art. 2-bis.

3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione della L.R. autonoma Sardegna n. 16 del 1974 e della L.R. autonoma Sardegna n. 21 del 2005, nonchè conseguente violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001 (per la ritenuta mancata abrogazione delle prime due norme ad opera del D.Lgs. n. 368 del 2001) nella parte in cui viene negata la conversione del contratto dichiarato nullo in relazione all’apposizione del termine in contratto a tempo indeterminato – omessa e comunque contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia costituito dalla esistenza o meno di un obbligo di assunzione per concorso.

Il ricorrente ricorda che la Corte d’Appello ha ritenuto l’illegittimità del termine per la mancanza di specifica motivazione in ragione dei principi di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, tuttavia non ha fatto applicazione di tale decreto legislativo con riguardo alla misura della conversione, richiamando l’obbligo di assunzione ex L.R. n. 16 del 1974, palesandosi, pertanto, la contraddittorietà della decisione.

In tal modo, il giudice di secondo grado aveva fatto applicazione di una giurisprudenza formatasi prima del 2001 (non rilevante nella specie, atteso che viene in rilievo un contratto stipulato dopo il 2001), dovendo trovare applicazione, con specifico riguardo all’aspetto sanzionatorio, il D.Lgs. n. 368 del 2001 e i principi affermati dalla Corte di giustizia. La L.R. n. 21 del 2005, nonchè il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 ha abrogato la L.R. n. 16 del 1974.

Ciò, sia che si consideri l’ARST come ente pubblico economico, sia come società per azioni, al momento della stipula del contratto.

Il ricorrente richiama l’orientamento della Corte di giustizia secondo il quale nell’applicare la direttiva sul contratto a termine, non può farsi differenza tra lavoratori pubblici e privati quanto alla sanzione prevista per i contratti a termine irrispettosi della direttiva CE 1999/70, che deve essere effettiva e tale da concretizzare un effetto dissuasivo per la ripetizione di tali violazioni contrattuali.

Il ricorrente deduce che la legge della Regione Sardegna n. 16 del 1974, nella parte in cui prevede l’obbligo del concorso pubblico è stata abrogata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, applicabile nella specie, ma ancor prima dalla L.R. n. 21 del 2005, in quanto incompatibile con la stessa, sussistendo, diversamente, dubbio di legittimità costituzionale della disciplina regionale in relazione alla disciplina comunitaria e nazionale.

4. I primi due motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono inammissibili.

5. La fattispecie in esame, come accertato dalla sentenza di appello, ha ad oggetto una pluralità di contratti a termine, intercorsi tra il lavoratore e l’ARST spa dal 2 dicembre 2007 al 30 giugno 2010.

6. In ragione della motivazione della sentenza di appello e dei motivi di ricorso, ai fini di un compiuto inquadramento della fattispecie, occorre precisare quanto segue in relazione al quadro normativo statale e regionale di riferimento e alle conseguenti deliberazioni della Giunta regionale, in sede di attuazione.

7. L’Azienda Regionale Sarda Trasporti, istituita con personalità giuridica di diritto pubblico dalla L.R. Sardegna 9 giugno 1970, n. 3 è stata successivamente disciplinata dalla L.R. Sardegna 20 giugno 1974, n. 16.

Era demandata all’ARST (L.R. n. 16 del 1974, art. 2) “L’impianto e la gestione nella Regione degli autoservizi di linea per il trasporto di persone e bagagli, di qualunque natura e durata (…)”.

8. In relazione a contratti a termine rispetto ai quali trovava applicazione ratione temporis la legge regionale n. 16 del 1974, questa Corte (sentenze n. 5229 del 2017 e n. 6413 del 2017) ha affermato che l’art. 23 della suddetta legge regionale, che prevede l’assunzione esclusivamente mediante concorso pubblico del personale dell’azienda di trasporto locale ARST, impedisce la conversione in contratti a tempo indeterminato dei contratti a termine illegittimamente stipulati con la stessa, e tale disposizione non viola l’art. 3 Cost., in quanto applicazione della generale forma di reclutamento per le figure soggettive pubbliche, posta a presidio delle esigenze d’imparzialità ed efficienza dell’azione amministrativa, nè confligge con la direttiva n. 1999/70/CE, poichè le misure nazionali atte a fronteggiare l’abusiva reiterazione dei contratti a termine possono essere anche diverse dalla suddetta conversione, purchè sufficientemente effettive e dissuasi.

9. L’ARST, con la L.R. Sardegna n. 21 del 7 dicembre 2005, è stata tarsformata “in società per azioni, a partecipazione azionaria pubblica e privata, con il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria e con la denominazione di “ARST S.p.A”” (art. 30, comma 1).

La L. n. 21 del 2005, art. 30 al comma 4, ha inoltre previsto che “le azioni della società di proprietà regionale sono attribuite all’Assessorato regionale degli enti locali, finanze e urbanistica che esercita i diritti di azionista secondo le direttive emanate dalla Giunta regionale”.

L’art. 47 della medesima legge regionale ha, quindi, abrogato la L.R. n. 16 del 1974.

Come affermato da Cass., n. 3621 del 2018, tale disposizione era chiara nell’estendere l’effetto abrogativo all’intera disciplina riguardante l’Azienda Regionale, salvo quanto previsto dall’art. 46, che “al fine di garantire che l’attuazione della presente legge comporti i minori costi per la collettività”, ha stabilito che “il trasferimento alla Regione ed alle autonomie locali delle funzioni e dei compiti in materia di trasporto pubblico locale e la trasformazione delle aziende di trasporto operanti in Sardegna si realizzano senza pregiudizio degli esistenti livelli occupazionali e con la garanzia di conservazione dei trattamenti economici e previdenziali goduti all’entrata in vigore della presente legge”.

10. Con la Delib. 2 agosto 2007, n. 30/43 la Giunta della Regione autonoma Sardegna deliberava “”di procedere alla trasformazione, ai sensi dell’art. 30 della Legge Regionale 21/2005 e secondo le procedure definite dall’art. 115 del D.Lgs. n. 267 del 2000, dell’Azienda Regionale Sarda Trasporti – ARST” in una società per azioni (…) “ARST S.p.A.”, dando atto che la stessa subentrerà in tutti i rapporti attivi e passivi dell’Azienda originaria e conserverà tutti i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione, fermo restando che delle obbligazioni sorte anteriormente alla costituzione della società risponderà in ogni caso la Regione Autonoma della Sardegna (…)””.

11. Il quadro di riferimento normativo si modificava ulteriormente per effetto del D.L. n. 112 del 2008, art. 18, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 133 del 2008, che al comma 1 stabiliva che le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 35, comma 3. Al successivo comma 2, prevedeva che le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità.

12. Questa Corte, con la sentenza n. 3621 del 2018, cui adde, Cass. n. 6772 del 2018, n. 6818 del 2018 – nonchè in relazione fattispecie analoga relativa a spa che gestiva il servizio pubblico di trasporto locale Cass., n. 3662 del 2019, punti 24 e 39 ssg., in particolare, che costituisce un successivo e consolidato arresto rispetto a Cass. n. 5063 del 2018 richiamata dal ricorrente nella memoria – ai cui principi si intende dare continuità, ha affermato, che l’omesso esperimento delle procedure concorsuali previste dal comma 1 e di quelle selettive richiamate nel comma 2 determina la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, perchè la violazione attiene al momento genetico della fattispecie negoziale e, quindi, la stessa non può essere solo fonte di responsabilità a carico del contraente inadempiente, non avendo portata innovativa il D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 19, comma 4.

Quindi, una volta affermato che per le società a partecipazione pubblica, quale è l’ARST spa, con riguardo alle fattispecie a cui è applicabile il D.L. n. 112 del 2008, art. 18, commi 1 e 2, il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive condiziona la validità del contratto di lavoro, non può che operare il principio secondo cui anche per i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità.

13. Interveniva, inoltre, il decreto legislativo recante norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna concernenti il conferimento di funzioni e compiti di programmazione e amministrazione in materia di trasporto pubblico locale.

Il D.Lgs. 21 febbraio 2008, n. 46, art. 1, al comma 1, stabiliva “(…) sono trasferite alla Regione autonoma della Sardegna tutte le funzioni ed i compiti di programmazione e di amministrazione relativamente ai servizi di trasporto pubblico di interesse regionale e locale attualmente erogati dalle Gestioni Governative Ferrovie della Sardegna e Ferrovie Meridionali Sarde, nonchè le relative aziende e le risorse finanziarie necessarie (…)”.

Al comma 3, veniva previsto che “I soggetti individuati dalla Regione subentrano nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi in essere al momento dell’entrata in vigore del presente decreto, connessi all’esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti. Contestualmente sono messi a disposizione dei soggetti individuati i relativi beni, l’organizzazione ed il personale”.

14. In attuazione della suddetta disciplina, la Giunta regionale della Regione autonoma Sardegna, con Delib. 4 marzo 2008, n. 13/21 disponeva il “Trasferimento alla Regione Sardegna delle Ferrovie della Sardegna e delle Ferrovie Meridionali Sarde”.

15. Dunque, quando già era concluso il procedimento di trasformazione dell’ARST in società per azioni, che si configurava come società unipersonale a capitale interamente regionale, la Giunta regionale deliberava di “far confluire l’intera azienda Ferrovie Meridionali Sarde ovvero la totalità della attività e passività aziendali e del personale in servizio direttamente nell’A.R.S.T. S.p.a. (…); costituire una società a responsabilità limitata unipersonale a totale capitale A.R.S.T. S.p.a., denominata ARST – Gestione FdS e provvedere a far confluire in capo a tale nuova società l’intera azienda Ferrovie della Sardegna, ovvero la totalità della attività e passività aziendali e del personale in servizio, direttamente nell’A.R.S.T. S.p.a. (…)”.

La Giunta regionale (deliberazione n. 9/16 del 2.3.2010) poi prevedeva la fusione di ARST spa e ARST Gestione FdS srl nell’Azienda Unica regionale dei trasporti pubblici in Sardegna (ARST spa).

16. La Corte d’Appello ha posto a fondamento della decisione, in particolare, la seguente statuizione “il divieto della legge regionale n. 16/74 è in vigore anche dopo la trasformazione dell’ARST in spa avvenuta il 2.8.2007 in esecuzione della legge regionale n. 11/2005 (recte: 21 del 2005), che ha recepito il divieto nello Statuto della società (pag. 8 della sentenza di appello)”, disciplina ritenuta coerente con il D.L. n. 112 del 2008, art. 18 conv., con modificazioni dalla L. n. 133 del 2008.

Di talchè, il riferimento operato dalla Corte d’Appello allo statuto dell’ARST spa, e quindi il rilievo attribuito dal giudice di appello alle modalità di reclutamento del personale previste da quest’ultimo, con problematiche interpretative nonchè di accertamento di fatto, concorre a costituire la ratio decidendi della sentenza di appello, e pertanto avrebbe dovuto essere oggetto di censura con specifiche confutazioni.

17. Le censure formulate nel primo e nel secondo motivo non aggrediscono siffatta statuizione in quanto tutte le prospettazioni difensive mirano a denunciare la sola violazione e la falsa applicazione della L.R. n. 16 del 1974 e L.R. n. 21 del 2005, oltrechè del D.Lgs. n. 368 del 2001, e a dedurne il contrasto con principi costituzionali e, in particolare, gli artt. 117 e 3 Cost., con la legge costituzionale n. 3 del 1948 (recante Statuto speciale per la Sardegna) e con la direttiva CE 1999/70 senza correlazione alcuna con l’affermata esistenza nello Statuto della A.R.S.T. spa del divieto di assunzione in assenza di procedura concorsuale.

Tale inammissibilità dei motivi, che assorbe l’eccezione dell’ARST spa, non può essere esclusa dalla circostanza che l’ARST spa nel controricorso (in particolare pag. 25), a sostegno della correttezza della sentenza di appello richiama tale dato.

Ed infatti, la questione, comportante anche accertamenti in fatto, è rimasta del tutto estranea ai motivi di ricorso. Neppure a ciò è sufficiente la memoria del lavoratore che riporta la motivazione della sentenza Cass. n. 5063 del 2018, che, in altro giudizio, escludeva il rilievo della questione statuto proposta con il solo controricorso.

18. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata la violazione del principio di effettività del risarcimento del danno e conseguente falsa applicazione della liquidazione equitativa. Conseguente violazione degli artt. 1218,1219,1224,1225 e 1226 c.c..

Prospetta il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe violato il principio di effettività del risarcimento come norma vivente del diritto comunitario.

Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 della cui vigenza rispetto alla fattispecie in esame il ricorrente dubita in ragione della sopravvenienza del D.Lgs. n. 368 del 2001, non disciplina in modo chiaro e concreto il risarcimento non sancendo un principio di risarcimento automatico, di tal chè il criterio della sanzione risarcitoria prevista, astrattamente legale, non può integrare quella misura effettiva voluta dal legislatore Europeo e confermata dalla CGUE.

Il ricorrente richiama quindi la sentenza CGUE 7 settembre 2006 ( M.S.) ed il giudizio presupposto, e prospetta che deve trovare applicazione il D.Lgs. n. 368 del 2001, ben potendo una legge ipotizzare diverse metodologie di assunzione alla pubblica amministrazione rispetto al concorso, poichè l’ultimo comma dell’art. 97 Cost. sancisce tale regola “salvo i casi stabiliti dalla legge”.

La domanda di pagamento di tutte le mensilità dalla scadenza del contratto alla sentenza diviene una domanda di un risarcimento effettivo del danno.

Il giudice di appello ha riconosciuto il risarcimento, anche prescindendo dalla reiterazione di contratti a termine, in una misura equitativa forfettaria senza specificare nulla di più oltre il richiamo del cd. jobs act, applicando una norma non pertinente alla fattispecie, senza considerare le norme del codice civile che regolano l’inadempimento del debitore e i criteri di quantificazione del danno risarcibile, non specificando il periodo nel quale il danno si può intendere risarcito.

19. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

Va precisato che sulla statuizione in esame della Corte d’Appello l’ARST non ha proposto ricorso incidentale sul punto, e l’impugnazione del ricorrente è rivolta ad ottenere una diversa liquidazione.

20. Tanto premesso, si rileva che il motivo così come proposto è inammissibile per un duplice ordine di motivi.

Il ricorrente si duole del criterio di liquidazione del danno adottato dalla Corte d’Appello, in quanto il risarcimento, equitativo e forfettario, non sarebbe effettivo come, invece, nel caso della corresponsione di tutte le retribuzioni dalla scadenza del contratto alla sentenza.

In tal modo, tuttavia, prescinde, sia pure quanto al profilo risarcitorio, dall’intera ratio decidendi della statuizione del giudice di appello che ha come inscindibile presupposto logico-giuridico la legittima impossibilità di dare corso alla trasformazione e riconoscere al lavoratore un posto di lavoro a tempo indeterminato, a cui consegue la non assimilabilità della mancata trasformazione a voce di danno.

Quanto all’applicazione del D.Lgs. n. 23 del 2015, statuizione che va ribadito non è stata impugnata dalla resistente ARST, il ricorrente non ne contesta la quantificazione, nè ha dedotto di aver allegato e provato danni ulteriori.

Dunque, il terzo motivo di ricorso non è decisivo ed è inammissibile per difetto di rilevanza.

21. La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

22. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio come liquidate in dispositivo.

23. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

 

 

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