Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22081 del 25/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 25/10/2011, (ud. 17/06/2011, dep. 25/10/2011), n.22081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 12170-2010 proposto da:

G.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, CORSO RINASCIMENTO 11, presso lo studio dell’avvocato

PELLEGRINO GIOVANNI, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato RETUCCI LUIGI giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA OVIDIO, 26, presso lo studio dell’avvocato AMENTA MAURIZIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PETRUCCI NICOLE giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 600/2009 della CORTE D’APPELLO di LECCE del

3/07/09, depositata il 10/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato Pellegrino Giovanni, difensore del ricorrente che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS che ha

concluso per il rigetto della relazione.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

Avverso la decisione in epigrafe trascritta ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico articolato motivo G.A..

Ha resistito l’intimato Nominato, ai sensi dell’art. 377 cod. proc. civ., il consigliere relatore ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ. ritenendo le condizioni per la decisione della causa in camera di consiglio sul rilievo che il ricorso fosse da rigettare per manifesta infondatezza.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni conformi a quelle di cui alla relazione.

Osserva:

Nella relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. si legge quanto segue:

“1. P.A. conveniva in giudizio G.A. per sentirlo condannare alla demolizione della costruzione realizzata dal convenuto a distanza illegale dal confine.

Il convenuto resisteva sostenendo la legittimità della costruzione ai sensi dell’art. 7, n. 4 N.T.A..

Il tribunale rigettava la domanda che era accolta in sede di gravame:

era ritenuto che l immobile era stato edificato a distanza illegale dal confine laterale prescritto dall’art. 7, n. 5 N.T.A..

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico articolato motivo G.A..

Ha resistito l’intimato.

2. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., essendo manifestamente infondato.

L’unico motivo denuncia :1) la mancata applicazione dell’art. 43 REC che detta una disciplina specifica relativamente agli spazi interni chiusi e in particolare ai cortili, che deroga all’art. 7, n. 5 N.T.A. del piano di fabbricazione, tenuto conto che fra l’immobile realizzato dal ricorrente e quello dell’attore esiste uno spazio interno costituente cortile: la costruzione di esso convenuto era rispettosa di quanto previsto da tali disposizioni; in relazione a una corte urbana non è prospettabile la distinzione fra confine interno e confine laterale;

2) La Corte, pur riconoscendo che allo spazio interno agli edifici delle parti era applicabile la disciplina del cortile, non aveva motivato in ordine al rapporto fra norma regolamentare e norma di cui alle N.T.A. Il motivo va disatteso.

In primo luogo, la questione, nei termini in cui è stata proposta, ha il carattere della novità e, come tale, è inammissibile in sede di legittimità, implicando anche indagini di fatto nuove : non risultando trattata dalla sentenza impugnata, sarebbe stato onere del ricorrente, a pena di inammissibilità del motivo, allegare e dimostrare di averla tempestivamente e ritualmente proposta nel giudizio di merito, denunciandone l’omesso esame in ogni caso, il motivo va disatteso ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1) introdotto dalla L. n. 69 del 2009, ratione temporis applicabile, secondo cui il ricorso è da ritenersi infondato quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa (ORD S.U. 19051/2010).

Nella specie, il motivo svolge tesi che contrasta con il principio di diritto, affermato da questa Corte secondo cui le norme sulle distanze tra le costruzioni, integrative di quelle contenute nel codice civile, devono essere applicate indipendentemente dalla destinazione dello spazio intermedio che ne risulti e non trovano deroga con riguardo alle prescrizioni sulle dimensioni dei cortili le quali, siccome rivolte alla disciplina dei rapporti planovolumetrici tra le costruzioni e gli spazi liberi adiacenti prescindendo dall’appartenenza di essi ad un unico od a più proprietari, non costituiscono norme integrative di quelle codicistiche in materia di distanze tra costruzioni (che si riferiscono alle costruzioni su fondi finitimi) e, pertanto, non possono escludere l’applicazione delle norme specificatamente dirette alla disciplina di tali distanze. (Cass. 6895/1983; 797/1989; 10670/ 1990; 3414/1993;

6088/1998) nel ricorso non sono svolti argomenti che inducano a modificare tale orientamento”.

Vanno condivise le conclusioni di cui alla relazione, non potendo ritenersi meritevoli di accoglimento i rilievi formulati dal ricorrente con la memoria illustrativa, mentre va precisato che l’erroneo rilievo in ordine alla novità della questione è stato compiuto dal relatore ad abundantiam, essendo stata poi la questione esaminata.

Occorre richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale citato nella relazione, secondo cui le disposizioni che stabiliscono le prescrizioni sulle dimensioni e l’ampiezza dei cortili e degli spazi interni non escludono l’applicazione delle norme integrative di quelle codicistiche in materia di distanze tra fabbricati, che sono dirette ad impedire la creazione di intercapedini dannose: infatti se da un canto le prime, prescindendo dall’esistenza di fabbricati su fondi finitimi, non hanno alcun riguardo alle eventuali relazioni intersoggettive fra privati nè alla distanza degli edifici che insistono sui cortili, dall’altro la presenza di un cortile non esclude l’idoneità del medesimo a creare intercapedini dannose fra gli edifici che su di esso insistono.

Orbene, la norma contenuta nell’art. 43 del regolamento edilizio del Comune di Diso (“la normale minima condotta da ciascuna finestra al muro opposto deve avere almeno una dimensione libera di mt. 6,00 per vani di abitazione e mt. 4,00 per vani di servizio”) è diretta a regolare l’ampiezza del cortile e, nel prescrivere la misura minima dello spazio libero interno, non ha la finalità di disciplinare le distanze tra fabbricati, operando anche quando i muri opposti costituiscano parte del medesimo edificio: pertanto, la norma citata non deroga alle prescrizioni dettate dalle N.T.A. annesse al regolamento edilizio in tema di distanze tra fabbricati che, come tali, sono integrative dell’art. 873 cod. civ..

Pertanto, il ricorso va rigettato, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1). Le spese seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso;

Condanna il ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2011

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