Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22079 del 25/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 25/10/2011, (ud. 17/06/2011, dep. 25/10/2011), n.22079

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 11941-2010 proposto da:

CARONE DITTA (OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRISTOFORO COLOMBO

177, presso CASA MILILLO, rappresentata e difesa dall’avvocato RUGGI

CARMINE, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.L.M. (OMISSIS) titolare della omonima ditta,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 73, presso lo studio

dell’avvocato CASTELLANO MICHELE, che la rappresenta e difende,

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

COLABETON SPA – già Colabeton Srl;

– intimata –

avverso la sentenza n. 79/2 010 del TRIBUNALE di BARI del 4.1.2010,

depositata il 12/01/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIERFELICE

PRATIS che nulla osserva.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Consigliere designato all’esame preliminare ha avviato il ricorso alla trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c. per le ragioni svolte nella relazione che qui di seguito si riporta:

“1) D.L.M. con atto in data 23.3.05 ha convenuto avanti al giudice di pace di Bari la spa Colabeton nonchè la ditta Carone Eustachio al fine di accertare le cause e l’entità dei vizi verificatisi nel piazzale di sua proprietà e per sentirle condannare in solido o in ragione delle rispettive responsabilità, all’eliminazione degli inconvenienti, oltre al risarcimento dei danni ed al pagamento delle spese processuali. Invero, la ditta Carone su incarico dell’attore aveva realizzato la pavimentazione di tipo industriale del piazzale (che successivamente aveva presentato evidenti fessurazioni), utilizzando il calcestruzzo fornito dalla soc. Colabeton. Nella contumacia della ditta Carone, il giudice adito rigettava la domanda proposta contro la soc. Colabeton accogliendo l’eccezione di prescrizione da quest’ultima dedotta, del diritto azionato ex art. 1495 c.c.; condannava però la ditta Carone – rimasta contumace – al pagamento in favore dell’attore delle somma di Euro 2.582,28 a titolo dei danni richiesti in relazione ai riscontrati vizi della costruzione della pavimentazione del piazzale.

All’esito dell’impugnazione proposta dalla Carone l’adito tribunale di Bari, con sentenza n. 79/10 depos. In data 12.1.2010, rigettava l’appello ” siccome inammissibile ed infondato” ritenendo in specie che era improponibile l’eccezione di prescrizione ex art. 1495 c.c. (già riconosciuta dal giudice ed in cosa giudicata in relazione alla soc. Colabeton) perchè sollevata per la prima volta in appello dalla Carone ancorchè contumace nel primo grado del giudizio. Condivideva altresì le valutazioni di responsabilità in capo all’appellante, espresse dal primo giudice.

L’odierno ricorso per cassazione del ditta Carone si fonda su due motivi, che sembrano entrambi infondati.

2) La prima doglianza (violazione dell’art. 345 c.p.c.) riguarda la dichiarata inammissibilità in appello della eccezione di prescrizione in quanto domanda nuova come tale inammissibile ex art. 345 c.p.c..

Si deduce che tale eccezione era stata formulata dalla soc. Colabeton e faceva stato nel caso concreto, con riferimento alla domanda giudiziale, in relazione al rapporto sostanziale sottostante la domanda attrice, che era stata proposta contro entrambe le convenute.

U Con il 2 motivo si sostiene che il danno alla pavimentazione non poteva essere ascritto alla responsabilità della Carone che si era limitata a stendere il calcestruzzo fornito dalla Colabeton. Lamenta altresì che il CTU non avesse notificato ad essa ricorrente – ancorchè contumace – l’attività d’inizio delle operazioni in conformità a quanto previsto dall’art. 292 c.p.c., comma 3, violando il principio del contraddittorio e rendendo nullo lo stesso procedimento istruttorio.

3) Le censure di cui sopra possono infondate, atteso che per il divieto di cui all’art. 345 c.p.c. l’eccezione di prescrizione non poteva essere proposta per la prima volta in appello, anche se l’appellante era rimasto contumace in primo grado; trattasi infatti di eccezione in senso proprio, concernente un fatto estintivo del diritto fatto valere in giudizio, come tale improponibile per la prima volta in appello ai sensi del menzionato art. 345 c.p.c. (Cass. n. 9303 del 17.4.09).

Quanto alla seconda censura, la valutazione della CTU spetta al giudice di merito con giudizio insindacabile in questa sede, nè d’altra parte essa è autosufficiente, non essendo state riportate per esteso le parti delle relazione peritale non condivise; il CTU infine, nel giudizio contumaciale, non è tenuto a dare avviso al contumace dell’inizio delle operazioni peritali, trattandosi di atto che non deve essere notificato o comunicato al contumace ai sensi dell’art. 292 c.p.c., comma 1″ (Cass. 18154/03, 11442/90).

Ritiene il Collegio di condividere le conclusioni cui è pervenuto il relatore; può inoltre sottolinearsi come, in linea generale, la parte rimasta contumace in primo grado non può godere, nel giudizio di appello, di diritti processuali più ampi di quelli spettanti alla parte ritualmente costituita in quel primo giudizio, e deve, conseguentemente, accettare il processo nello stato in cui si trova, con tutte le preclusioni e decadenze già verificatesi. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4404 del 04/05/1998; Cass. Sez. 3, n. 7542 de 15/05/2003).

Si ritiene dunque di aderire alle conclusioni della relazione di cui trattasi e di rigettare pertanto il ricorso, ponendo le spese processuali a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 900,00, di cui Euro 700,00 per onorario, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2011

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