Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22078 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. lav., 11/09/2018, (ud. 30/05/2018, dep. 11/09/2018), n.22078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO GIUSEPPE – Presidente –

Dott. TORRICE AMELIA – Consigliere –

Dott. BLASUTTO DANIELA – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO ANNALISA – Consigliere –

Dott. TRICOMI IRENE – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12742-2013 proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

P.L., quale tutrice del figlio B.M., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA E. TAZZOLI presso lo studio dell’avvocato

LAURA NISSOLINO, rappresentata e difesa dagli avvocati COSTANZA

EMANUELA BASILE, PIETRA TRISCARI giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

ASL (OMISSIS), REGIONE LOMBARDIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 116/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/03/2013 R.G.N. 411/2012;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

1. che la Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza n. 116 del 2013, pubblicata il 15 marzo 2013, rigettava l’impugnazione proposta dal Ministero della salute nei confronti di P.L., quale tutrice del figlio, la ASL di (OMISSIS) e la Regione Lombardia, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Bergamo.

2. Il Tribunale aveva accertato il diritto del figlio della P. all’indennizzo L. n. 210 del 1992, ex art. 2 e L. n. 362 del 1999, art 3, comma 3, a decorrere da maggio 2006.

3. La Corte d’Appello ha ritenuto che, anche per il termine decadenziale di cui alla L. n. 362 del 1999, art. 3, comma 3, andavano applicati i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alla L. n. 210 del 1992, art. 3,comma 7, secondo cui il termine di decadenza decorre dal momento in cui l’interessato ha avuto conoscenza del danno, e solo se tale conoscenza già vi è stata, dall’entrata in vigore della legge. Ha quindi ritenuto che, in ragione dei complessivi esiti della CTU, come esposto in motivazione, sussisteva un ragionevole collegamento tra la vaccinazione antipolio (tipo Salk) e la patologia occorsa all’interessato.

3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre il Ministero della salute prospettando due motivi di ricorso.

4. Resiste P.L., nella qualità, con controricorso.

5. La ASL di (OMISSIS) e la Regione Lombardia non si sono costituite.

5. La Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. che con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 362 del 1999, nel combinato disposto con la L. n. 210 del 1992, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Difetto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Assume il Ministero che la norma in questione fa riferimento, come dies a quo per la decorrenza del termine di decadenza, alla data di entrata in vigore della legge e che, dunque, erroneamente, la Corte d’Appello avrebbe fatto riferimento alla conoscenza del danno con riferimento alla sua eziologia.

1.1. Il motivo non è fondato.

1.2. Va premesso che non è contestata dal Ministero la conoscenza della eziologia, intervenuta nel 2006 quando veniva presentata domanda di indennizzo L. n. 362 del 1999, ex art. 3, comma 3, per i danni conseguenti alla vaccinazione antipolio (tipo Salk) somministrata all’interessato l'(OMISSIS), ma si prospetta che la domanda è intervenuta dopo la scadenza del termine di decadenza da computare dall’entrata in vigore della L. n. 362 del 1999, e non dalla conoscenza del nesso eziologico tra patologia e vaccinazione.

1.3. Occorre ricordare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 27 del 1998, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2 e 32 della Costituzione, la L. n. 210 del 1992, art. 1, comma 1, nella parte in cui non prevedeva il diritto all’indennizzo, alle condizioni ivi stabilite, in favore dei soggetti sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica nel periodo di vigenza della L. 30 luglio 1959, n. 695, recante “Provvedimenti per rendere integrale la vaccinazione antipoliomielitica”. Tale legge, poi abrogata dalla L. 4 febbraio 1966, n. 51, art. 5 aveva fortemente incentivato la vaccinazione, pur non imponendola come obbligo giuridico.

1.4. Quindi, la L. 14 ottobre 1999, n. 362 estendeva l’indennizzo previsto dalla L. n. 210, art. 1, comma 1 alle condizioni ivi stabilite, ai soggetti sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria nel periodo di vigenza della L. 30 luglio 1959, n. 695, e stabiliva, per i predetti soggetti danneggiati, un termine di decadenza dalla data di entrata in vigore della legge, per la presentazione della domanda all’azienda unità sanitaria locale competente.

La fissazione di un termine decadenziale, con decorrenza dall’entrata in vigore della L. n. 362 del 1999, era funzionale a stabilire un ragionevole arco temporale massimo nel quale, coloro che già avevano avuto conoscenza di un danno conseguente alla sottoposizione a vaccinazione antipolio prima delle entrata in vigore della legge, potessero conseguire l’indennizzo in ossequio alla pronuncia del Giudice delle Leggi.

D’altro canto, la Corte costituzionale con la citata sentenza, dichiarava l’illegittimità costituzionale della L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 1, nella parte in cui non prevedeva il diritto all’indennizzo, alle condizioni ivi stabilite (“alle condizioni e ai modi di cui alla legge” medesima, come si afferma nel medesimo art. 1), di coloro che siano stati sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica nel periodo di vigenza della L. 30 luglio 1959, n. 695. E la L. n. 210 del 1992, nello stabilire “condizioni” e “modi”, all’art. 3, comma 1, ultimo periodo, prevedeva “I termini decorrono dal momento in cui, sulla base della documentazione di cui ai commi 2 e 3, l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno”, e al comma 7 sanciva che “Per coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, hanno già subito la menomazione prevista dall’art. 1, il termine di cui al comma 1 del presente art. decorre dalla data di entrata in vigore della legge stessa”.

Quindi la previsione della L. n. 362 del 1999, art. 3, comma 3, va interpretata in linea con il dictum del Giudice delle Leggi (sentenza n. 27 del 1998) e con i principi costituzionali a cui quest’ultima dava attuazione, nonchè tenuto conto del rinvio, contenuto nella L. n. 210 del 1992, art. 1, medesimo art. 3 (e in quest’ultimo anche alla medesima L. n. 210 del 1992, art. 3), nel senso che la stessa stabilisce quale dies a quo della decorrenza del termine di decadenza l’entrata in vigore della legge solo con riguardo ai casi in cui la conoscenza del nesso eziologico è intervenuto prima dell’entrata in vigore della legge medesima.

1.5. Quindi, fermo il rilievo della conoscenza ai fini della decorrenza del termine decadenza, il legislatore del 1999 ha fissato, quale dies a quo, l’entrata in vigore della legge per le situazioni già note ai danneggiati ma prive di tutela prima dell’entrata in vigore della legge medesima.

1.6. Nel caso di specie, invece, la conoscenza del danno interveniva successivamente all’adozione della legge e pertanto, come stabilito dalla L. n. 210 del 1992, il dies a quo decorre dalla suddetta conoscenza, con conseguente tempestività della domanda.

1.7. In tal senso, si richiamano i principi enunciati da questa Corte con l’ordinanza n. 11339 del 2018.

Va premesso, in proposito, che da ultimo, il D.L. 7 giugno 2017, n. 73 convertito, con modificazioni, con L. 31 luglio 2017, n. 119, all’art. 5-quater, rubricato “Indennizzi a favore dei soggetti danneggiati da complicanze irreversibili da vaccinazioni” ha introdotto, nell’ordinamento, una disposizione di chiusura che estende la tutela prevista dalla L. n. 210 a tutte le vaccinazioni indicate nel citato D.L. n. 73, art. 1 tra le quali risulta inclusa la vaccinazione antipoliomielite.

Questa Corte, con la citata ordinanza n. n. 11339 del 2018, ha affermato che alla stregua del predetto art. 5-quater, anche alle vaccinazioni antipoliomielite si applicano, in caso di lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica, le disposizioni di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, senza alcun limite temporale come fissato, in passato, dalla L. n. 362 del 1999, in riferimento al limitato periodo di vigenza della L. n. 695 del 1959, alla stregua dell’interpretazione letterale, sistematica e costituzionalmente orientata.

Risulta, ora, definitivamente espunto dall’ordinamento, con la norma introdotta dal legislatore del 2017, il ristretto ambito di protezione dei soggetti danneggiati dalle vaccinazioni antipoliomielite non obbligatorie somministrate nell’arco temporale di vigenza di una norma già abrogata nel 1966 (citata L. 4 febbraio 1966, n. 51, art. 5) ma della quale l’ordinamento aveva voluto conservare, molti anni dopo, la limitata vigenza temporale onde delimitare l’ambito degli aventi diritto alla tutela.

Questa Corte, con la citata ordinanza, nel riportare l’articolato excursus normativo e giurisprudenziale, e nell’inquadrare il carattere assistenziale della tutela indennitaria nell’ambito della sicurezza sociale, e non risarcitorio, a tutela della lesione permanente dell’integrità psico-fisica, quindi della salute come tale, nell’esaminare la questione in cui la somministrazione della vaccinazione antipoliomielite in epoca antecedente al 30 luglio 1959, abbia prodotto un danno permanente alla salute, ha quindi affermato che va riconosciuta la tutela indennitaria anche ai danneggiati da vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria somministrata in epoca antecedente al 30 luglio 1959, la proponibilità della domanda, per opporre il diritto all’autorità amministrativa preposta (l’autorità sanitaria) deve ricondursi nell’alveo della norma generale della L. n. 210 e del termine triennale di decadenza ivi previsto.

1.8. In particolare, per quanto qui rileva, questa Corte, con la citata ordinanza n. 11339 del 2018, ha ulteriormente precisato che il termine di decadenza decorre dal momento in cui, sulla base della documentazione prescritta nella norma, l’avente diritto risulti avere avuto conoscenza del danno, in tal senso richiedendosi la consapevolezza dell’esistenza di una patologia ascrivibile causalmente alla vaccinazione, dalla quale sia derivato un danno irreversibile.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Occorre rilevare che il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non ha riguardo alla fattispecie in essa delineata.

Nella specie, il motivo, pur rubricato come violazione delle suddette norme, si sostanzia nella prospettazione di un vizio di motivazione, venendo contestato l’accertamento di fatto e la motivazione dello stesso svolti dalla Corte d’Appello.

2.3. E’ applicabile, ratione temporis, alla fattispecie l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo modificato dalla L. 7 agosto 2012, n. 134(pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

2.4. Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge.

Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, “in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, sicchè quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perchè non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.

2.5. Ciò non ricorre nel caso in esame, atteso la Corte di merito ha rigettato l’appello del Ministero con accertamento di fatto che ha ritenuto sussistente il nesso di causalità tra la vaccinazione – intesa come operazione di inoculamento del vaccino – effettuata dall’interessato ed il successivo manifestarsi della patologia (tetraparesi spastica, insufficienza mentale, epilessia), facendo applicazione dei principi già affermati da questa Corte con la sentenza n. 25119 del 2017, secondo cui in tema di danni da vaccinazione obbligatoria, la sussistenza del nesso causale tra la somministrazione vaccinale e il verificarsi del danno alla salute deve essere valutata secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica ispirato al principio “del più probabile che non”, da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa), ma riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica).

La Corte d’Appello nel richiamare la CTU, rilevava che l’assenza di elementi che giustificavano la sintomatologia tranne la somministrazione del vaccino, il fatto che la letteratura scientifica accettasse un rapporto di causa ed effetto secondo un meccanismo di reazione allergica autoimmune, il verificarsi del primo malore a pochi giorni dalla prima inoculazione del vaccino, facevano concludere che il complesso morboso in questione poteva essere ragionevolmente collegato alla somministrazione del vaccino.

3. Il ricorso deve essere rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente P.L..

Nulla spese nei confronti della ASL (OMISSIS) e della Regione Lombardia non costituitesi.

Non può trovare applicazione nell’ipotesi d’impugnazione, anche incidentale, della amministrazione pubblica, la disposizione, di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (Cass., n. 23514 del 2014, Cass. S.U., n. 9938 del 2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida nei confronti di P.L., in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 30 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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