Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22076 del 22/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/09/2017, (ud. 13/07/2017, dep.22/09/2017),  n. 22076

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21396/2016 R.G. proposto da:

T. S.R.L., in persona degli Amministratori e legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE

DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE APRILE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO FRANCO;

– ricorrente –

contro

QUADRIGA ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, Presidente del Consiglio di Amministrazione, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 38, presso lo studio

dell’avvocato ALESSIO SQUATRITI, rappresentata e difesa, unitamente

e disgiuntamente, dagli avvocati PIERO MAURIZIO NATALE e MARIO

NATALE;

– controricorrente

avverso la sentenza n. 2270/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 07/06/2016;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 13/07/2017 dal Consigliere Dott. Franco DE STEFANO.

Fatto

RILEVATO

che:

la T. srl ricorre, affidandosi a due motivi (con atto notificato a mezzo p.e.c. alle ore 19.13 dell’ultimo giorno utile, cioè del 14/09/2016), per la cassazione della sentenza n. 2270 del 07/06/2016 della Corte di appello di Milano, notificata il 15/06/2016, con cui è stato respinto il suo appello contro la reiezione della sua opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto ai suoi danni da Quadriga spa dal Tribunale di Milano per Euro 33.955,06 (ed accessori) a titolo di penale per la risoluzione del contratto di locazione di beni mobili (e servizi informatici) con quella stipulato il 12/5/06 e della durata pattizia di sette anni;

resiste con controricorso l’intimata;

è formulata proposta di definizione – per inammissibilità – in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

la ricorrente deposita memoria ai sensi del medesimo art. 380-bis, comma 2, u.p.;

Diritto

CONSIDERATO

che:

la ricorrente si duole: col primo motivo, di “nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in correlazione con l’art. 2909 c.c. e 324 c.p.c.)”; col secondo, di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 1362 c.c. e ss. ed all’art. 1373 c.c.)”;

in via preliminare va condiviso il rilievo, formulato nella proposta del relatore, della mancata esplicita contestazione dell’evidente ulteriore ratio decidendi, in modo chiaro adietta dalla corte territoriale a sostegno della propria decisione al terz’ultimo capoverso di pag. 7, secondo cui (enfasi aggiunta) “non ricorrendo, INOLTRE, alcuna delle ipotesi di cui all’art. 1373 c.c., la “disdetta” dell’appellante anteriore alla scadenza del termine contrattualmente pattuito non è COMUNQUE inquadrabile nella previsione della norma da essa invocata, bensì in quella di risoluzione per inadempimento e conseguente obbligo risarcitorio di cui all’art. 1453 c.c.”;

infatti, qualora la motivazione della pronuncia impugnata sia basata su una pluralità di ragioni, convergenti o alternative, autonome l’una dall’altra, e ciascuna da sola idonea a supportare il relativo dictum, la resistenza di una di esse all’impugnazione rende del tutto superflua la verifica di ogni ulteriore censura, perchè l’eventuale accoglimento di tutte o di una di esse mai condurrebbe alla cassazione della pronuncia suddetta (in tali espressi termini, tra le ultime: Cass. 10/02/2017, n. 3633; in precedenza, con principio affermato ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c.: Cass. ord. 03/11/2011, n. 22753; successivamente ribadito, e plurimis, da Cass. Sez. U. 29/03/2013 n.7931; Cass. 29/05/2015, n. 11169; Cass. 04/03/2016, n. 4293);

e, nella specie, tale specifica ragione di decisione non è affatto presa in esame, con la dovuta chiarezza e coerenza, dai motivi di censura qui sviluppati;

ad ogni buon conto ed in via dirimente, il ricorso non si sottrae alla conclusione di inammissibilità, sia a voler considerare unitariamente i due motivi come riferiti ad un preteso errore della corte di merito nella qualificazione della condotta di T. come recesso anzichè come inadempimento, sia a prenderli in esame partitamente;

in particolare, quanto al primo motivo, non può parlarsi di giudicato implicito proprio sulla questione ancora tra le parti controversa e per di più ad iniziativa della stessa odierna ricorrente fin dalla proposizione dell’appello, cioè la qualificazione della condotta della locataria come inadempimento o come legittimo recesso unilaterale, alla stregua della – obiettivamente neutra – dichiarazione di presa d’atto della disdetta e della – obiettivamente tutt’altro che univoca – definizione di disdetta della comunicazione della locataria stessa, riguardate alla luce di una carente espressa presa di posizione della sentenza di primo grado;

in sostanza, la questione della qualificazione come recesso faceva parte già dell’appello della stessa T. e non va allora condivisa – in disparte il fatto che la sentenza di primo grado nemmeno parla di recesso nei termini chiari ed univoci su cui l’odierna ricorrente pretenderebbe perfino formato il giudicato – la tesi, da questa sostenuta, di un onere di impugnazione sul punto anche ad opera di controparte;

inoltre, il secondo motivo è del tutto generico e quindi inidoneo a validamente censurare la gravata sentenza: al riguardo, basti qui notare che l’interpretazione del contratto data dalla corte di merito è con ogni evidenza scevra da quei soli gravissimi vizi il cui sindacato è ormai possibile nella presente sede di legittimità dopo la novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5 come interpretata dalle Sezioni Unite di questa Corte (a partire da Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014), corrispondendo quell’interpretazione oltretutto al chiaro dato testuale del contratto, il quale esclude il recesso unilaterale libero dei contraenti nel primo periodo di vigenza contrattuale, per ammetterlo in quello susseguito alla rinnovazione, nè potendo confondersi le ipotesi di inadempimento per le quali è consentita la risoluzione, espressamente previste, con il recesso invece prospettato dalla odierna ricorrente;

il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con condanna della soccombente ricorrente alle spese e dato pure atto mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2017

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