Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22074 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/10/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 13/10/2020), n.22074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 32499-2018 proposto da:

PAM PANORAMA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO GRAZIANI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MAURIZIO OLIVETTI,

MARIO SCOPINICH;

– ricorrente –

contro

B.N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO

QUIRINO VISCONTI 23, presso lo studio dell’avvocato MARIA MATILDE

BIDETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIANO GAZZOLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 487/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 05/09/2018 R.G.N. 1008/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per inammissibilità o rigetto del

ricorso;

udito l’Avvocato ALESSANDRO GRAZIANI;

udito l’Avvocato LUISA GOBBI per delega avvocato LUCIANO GAZZOLA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 487/2018, confermando la sentenza di primo grado, rigettava il reclamo principale proposto da Pam Panorama s.p.a. e dichiarava inammissibile il reclamo incidentale proposto da B.N.A., il quale aveva impugnato il licenziamento intimatogli il 20 gennaio 2016 dalla società datrice di lavoro.

2. La Corte di appello evidenziava che, alla luce delle risultanze istruttorie, i fatti di cui all’addebito disciplinare solo in parte erano risultati comprovati in giudizio: il B., in qualità di gerente del punto vendita di (OMISSIS), aveva venduto, in tre diverse occasioni nel dicembre 2015, ad un importante cliente, alcune bottiglie di spumante ad un prezzo inferiore a quello di vendita al pubblico; contrariamente a quanto addebitato dalla società datrice di lavoro, gli sconti non erano stati applicati a favore di un conoscente del B., bensì in favore di un cliente storico della società reclamante, la Zambonin s.r.l. di (OMISSIS), società che ogni anno nel periodo natalizio era solita effettuare acquisti presso il supermercato per i regali d’uso aziendale.

Riteneva, al pari del giudice dell’opposizione e del giudice della fase sommaria, che praticare uno sconto ad un cliente importante della società, il quale aveva in precedenza fatto acquisti rilevanti presso il medesimo punto di vendita (precisamente aveva acquistato carte-regalo per diverse migliaia di Euro, per di più rimaste inutilizzate), rientrasse nei poteri del ricorrente, inquadrato nel primo livello contrattuale, e fosse un’operazione compiuta nell’esclusivo interesse del datore di lavoro.

Osservava che era pacifico in giudizio che, dalle operazioni di vendita con applicazione dello sconto, il B. non avesse riportato alcun vantaggio personale nè lo avesse procurato ad un proprio conoscente, come invece contestato nella lettera di addebito; che era altresì pacifico che il ricorrente non avesse in alcun modo occultato la propria condotta, avendo registrato correttamente tutte le operazioni contabili oggetto della contestazione disciplinare.

Rilevava infine che dall’istruttoria era pure emerso che, dopo la vendita del 18 dicembre 2015, l’operato del B. era stato ratificato dal dirigente, che aveva autorizzato l’applicazione dei minori prezzi di vendita dello spumante in questione.

Concludeva che il licenziamento era illegittimo per insussistenza del fatto illecito, con conseguente diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro, in applicazione a tutela di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 come novellato dalla L. n. 92 del 2012.

3. Per la cassazione di tale sentenza Pam Panorama s.p.a. ha proposto ricorso affidato ad un motivo. B.N.A. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.c.n.l. terziario (commercio) per insussistenza del potere del dipendente inquadrato nel primo livello contrattuale di praticare sconti alla clientela, ancorchè si tratti di clientela abituale e in presenza di particolari condizioni di interesse per l’azienda. La società ricorrente sostiene che il concetto di “autonomia operativa” richiamato nella declaratoria del primo livello contrattuale non può comprendere decisioni che appartengono al dirigente. Sostiene che il ricorrente aveva il compito di verificare che i prodotti venissero venduti nel rispetto dei prezzi di vendita determinati dall’azienda, in quanto, trattandosi di società di notevoli dimensioni con numerosi punti vendita dislocati sul territorio, la politica dei prezzi viene gestita centralmente, a livello dirigenziale, essendo necessario un elevato grado di autonomia decisionale.

2. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.

3. La declaratoria dell’art. 100 CCNL di settore indica che appartengono al primo livello i lavoratori “con funzioni ad alto contenuto professionale, anche con responsabilità di direzione esecutiva, che sovraintendono alle unità produttive… con carattere di iniziativa e di autonomia operativa nell’ambito della responsabilità ad essi delegate”. In ordine all’interpretazione di tale declaratoria contrattuale, su cui si incentra unicamente il ricorso, va osservato che parte ricorrente non ha in alcun modo chiarito perchè sarebbe errata l’interpretazione offerta dalla Corte di appello secondo cui la condotta, nei termini in cui era stata ricostruita in istruttoria, non esulava dai poteri di autonomia e di iniziativa operativa propri del livello di inquadramento posseduto dal B.. Il ricorso si limita ad opporre, in modo del tutto generico, che il concetto di autonomia decisionale proprio della suddetta declaratoria non consentirebbe di includervi iniziative del genere di quelle assunte dal B., ma omette del tutto di argomentare in base a quali elementi di interpretazione letterale o sistematica sarebbe errata la diversa interpretazione offerta dalla Corte di appello.

3.1. Sebbene il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 abbia equiparato, sotto il profilo processuale, alle norme di legge i contratti e gli accordi collettivi nazionali di lavoro, parte ricorrente è tenuta comunque ad esplicitare specificamente i motivi (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) della propria impugnazione al fine di evidenziare gli errori d’interpretazione che si assumono commessi (da ultimo, cfr. Cass. 10564 del 2019). Ne deriva che non è formulata in modo idoneo la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, in assenza di una valida critica dell’interpretazione della declaratoria contrattuale da parte del giudice di merito, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni e non attraverso la mera contrapposizione dei propri assunti difensivi agli argomenti desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016).

4. A tale preliminare considerazione, va aggiunto che la questione posta con l’unico motivo di ricorso non ha neppure carattere decisivo, poichè non è solo sulla base dell’interpretazione della qualifica di inquadramento e dei poteri attribuiti contrattualmente al B. che la Corte di appello ha valutato l’illegittimità del licenziamento.

4.1. La questione della delimitazione dei poteri di iniziativa riconosciuti al personale inquadrato nel primo livello contrattuale è questione che la società appellante aveva addotto per contestare la sentenza di primo grado, per cui la Corte di appello ha affrontato tale argomento, disattendendolo, senza con ciò escludere (ma anzi condividendo espressamente) quanto argomentato dal primo giudice per ritenere l’insussistenza del fatto ascritto. La sentenza ha osservato che Pam Panorama aveva ricondotto, nella lettera di contestazione, i fatti ascritti al B. all’art. 225 CCNL, che riguarda la “grave violazione dei doveri di cui all’art. 220”, il quale a sua volta contempla l’obbligo di osservare scrupolosamente i doveri di ufficio, di tenere una condotta conforme ai doveri civici, di conservare diligentemente le merci ed i materiali e di cooperare alla prosperità dell’impresa. La Corte, condividendo il giudizio già espresso dal primo giudice, ha ritenuto che, alla luce dei fatti come ricostruiti in giudizio, ridimensionati rispetto alla originaria contestazione, la condotta effettivamente tenuta dal B., non solo non corrispondeva in termini concreti a quelli ascritti, ma non era neppure assibilabile alla fattispecie di illecito ipotizzata dalla parte datoriale o ad altre ipotesi contrattualmente tipizzate di licenziamento, nè era comunque idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.

4.2. Un altro elemento pure evidenziato dalla Corte di appello, su cui la sentenza impugnata si fonda e che non ha formato oggetto di alcuna censura nel ricorso per cassazione, al pari del precedente argomento, è costituito dalla ratifica che, per una delle operazioni compiute dal B., era pervenuta ex post dal dirigente, ad attestare che la società aveva ritenuto non lesivo per gli interessi dell’azienda il comportamento posto in essere dal ricorrente, e ciò ove pure avesse ritenuto l’iniziativa esulante dai poteri attribuiti al B.. All’evidenza, l’avere ratificato tale operato è comportamento che collide con l’assunto della giusta causa del licenziamento.

5. Tale complessivo giudizio è quello che sorregge, nella sua globalità, l’insussistenza del fatto ascritto, in quanto il fatto addebitato non era risultato comprovato nei termini materiali di cui alla contestazione e al licenziamento disciplinare, nè integrava alcuna delle ipotesi ascritte da parte datoriale e neppure poteva ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario.

6. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2 da distrarsi in favore del procuratore antistatario avv. Luciano Gazzola.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, del comma 1-bis (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

 

 

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