Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22073 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. lav., 11/09/2018, (ud. 12/04/2018, dep. 11/09/2018), n.22073

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28973/2013 proposto da:

AUTOSTRADE PER L’ITALIA S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che

la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL SUDARIO

18, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PELAGGI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1892/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/12/2012 R.G.N. 1441/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2018 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per accoglimento del terzo

motivo, respinto il primo motivo, inammissibile il secondo motivo;

udito l’Avvocato ROBERTO ROMEI per delega verbale Avvocato ENZO

MORRICO;

udito l’Avvocato LUIGI PELAGGI per delega verbale Avvocato ANTONIO

PELAGGI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. Con sentenza n. 1892/2012 la Corte di appello di Milano, decidendo sull’impugnazione di Autostrade per l’Italia S.p.A. nei confronti di B.P., confermava la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda della ricorrente, avente ad oggetto la declaratoria di nullità di plurimi contratti di somministrazione intercorsi con la predetta società quale utilizzatrice delle sue prestazioni, e conseguentemente accertato l’intercorrenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo dal primo di tali contratti (e cioè dal 16/6/2002), con condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate dalla messa in mora sino al ripristino del rapporto, detratto l’aliunde perceptum.

1.2. Riteneva la Corte territoriale che, pur essendo sufficientemente specifica la causale indicata nel contratto, tuttavia la società non avesse fornito alcuna prova dell’effettivo incremento dell’attività produttiva nel periodo in questione.

Escludeva, poi, l’applicabilità della L. n. 183 del 2010, art. 32.

2. Per la Cassazione della sentenza ricorre Autostrade per l’Italia S.p.A. con tre motivi.

3. B.P. resiste con controricorso.

4. Non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo la società ricorrente denunciando la violazione dell’art. 2697 c.c., prospetta che la Corte del merito non abbia erroneamente tenuto conto delle disposizioni della contrattazione collettiva che consentivano il ricorso al contratto a termine per sopperire alle maggiori esigenze dell’esazione pedaggi connesse con l’espansione del traffico nel periodo maggio-ottobre, alla stregua del rinvio disposto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 86, comma 3).

1.2. Con il secondo motivo la società ricorrente, deducendo vizio di motivazione, lamenta il malgoverno del materiale istruttorio acquisito, per non avere la Corte di merito rettamente valutato i tabulati prodotti relativi all’incremento di traffico posto a base del ricorso alla somministrazione.

1.3. Con la terza censura la società, denunciando la violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, censura l’impugnata sentenza per non aver applicato l’ius superveniens.

2. I primi due motivi possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, in quanto attingono la fondamentale ratio decidendi posta alla base della sentenza impugnata, secondo cui la società non ha fornito in giudizio adeguata prova della ricorrenza delle condizioni che giustificavano l’apposizione della causale al contratto per il ricorso al lavoro interinale in ragione dell’espletamento del servizio in concomitanza con le maggiori esigenze dell’esazione pedaggi connesse con l’espansione del traffico nel periodo maggio-ottobre.

Essi non possono trovare accoglimento per le ragioni già espresse da questa Corte in controversie analoghe (vedi in motivazione, Cass. 9 settembre 2015, n. 17836; conf. Cass. 26 luglio 2016, n. 15447, Cass. 25 ottobre 2017, n. 25366) e che vanno qui ribadite; infatti la prova della effettività della causale posta a base dell’impiego del lavoratore temporaneo non poteva che ricadere sull’utilizzatrice che aveva inteso avvalersene, trattandosi di un elemento imprescindibile ai fini della verifica della legittimità del contratto.

L’accertamento in fatto della ricorrenza delle condizioni che giustificavano il ricorso al lavoro in somministrazione, attraverso la valutazione e l’apprezzamento del complessivo materiale probatorio acquisito al giudizio, appartiene alla competenza esclusiva del giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità laddove non emerga – come nella specie non emerge – un vizio motivazionale concernente un fatto decisivo che se fosse stato diversamente valutato avrebbe condotto, con grado di certezza e non di mera probabilità, ad un opposto esito della lite.

2. Deve, invece, essere accolto il terzo motivo di ricorso con cui si invoca la L. n. 183 del 2010, art. 32, quale ius superveniens applicabile a tutti i giudizi pendenti all’entrata in vigore della legge (v. fra le altre in motivazione, Cass. 12 agosto 2015, n. 16763 ed i precedenti ivi richiamati) e dunque anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore che abbia chiesto ed ottenuto dal giudice l’accertamento della nullità di un contratto di lavoro temporaneo con conversione in rapporto a tempo indeterminato tra lavoratore ed utilizzatore della prestazione (per tutte v. Cass. 23 aprile 2015, n. 8286; Cass. 26 aprile 2017 n. 10317).

Le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza in data 27 ottobre 2016, n. 21691, hanno statuito che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”.

3. Conclusivamente vanno respinti i primi due motivi di ricorso ed accolto il terzo, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e con rinvio per il riesame, sul punto, alla Corte d’appello designata in dispositivo, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante ex art. 32 cit., per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. 10 luglio 2015, n. 14461), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine (cfr. per tutte Cass. 17 febbraio 2016, n. 3062), provvedendo altresì alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

la Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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