Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22072 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. lav., 11/09/2018, (ud. 14/02/2018, dep. 11/09/2018), n.22072

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7149-2016 proposto da:

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SESTO RUFO 23,

presso lo studio dell’avvocato BRUNO TAVERNITI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LUIGI DE SETA, giusta procura in

atti;

– ricorrente –

contro

BANCA CARIME S.p.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONE IV 99, presso

lo studio dell’avvocato CARLO FERZI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ANGELO GIUSEPPE CHIELLO e CESARE POZZOLI,

giusta procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1053/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 09/11/2015 r.g. n. 75/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/02/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BRUNO TAVERNITI;

udito l’Avvocato NICOLA PAGNOTTA per delega Avvocato ANGELO GIUSEPPE

CHIELLO.

Fatto

Con sentenza 9 novembre 2015, la Corte d’appello di Catanzaro, in sede di giudizio di rinvio dalla Corte di cassazione (con sentenza n. 26401/2014), in parziale riforma della sentenza di primo grado che aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva della banca resistente (siccome esclusa dal subentro nel rapporto di lavoro con S.P., ancorchè cessionaria di ramo d’azienda cui era addetto il’ lavoratore, attinto da licenziamento della cedente Caricai impugnato di illegittimità), ne rigettava le domande di impugnazione e di condanne reintegratoria e risarcitorie.

Preliminarmente ritenuta, in applicazione del principio di diritto fissatole, la legittimazione passiva della cessionaria del ramo, la Corte territoriale riteneva tuttavia prescritta l’azione (introdotta con ricorso depositato il 23 novembre 2007) di impugnativa del licenziamento (intimato il 7 settembre 1990), nella ravvisata inefficacia nè sospensiva del giudizio penale per gli stessi fatti (conclusosi con l’assoluzione del lavoratore), nè interruttiva delle reiterate raccomandate di diffida (26 ottobre 1990, 30 marzo 1995, 26 febbraio 1996, 12 aprile 2000, 3 aprile 2001 e 30 marzo 2005); e così pure la domanda risarcitoria (al punto 4 delle conclusioni) basata sulla medesima causa petendi di illegittimità del licenziamento.

Quanto alle diverse ed autonome domande risarcitorie (ai punti 5 e 6 delle conclusioni) per danno esistenziale e di immagine, nonchè biologico, bio-fisico e bio-psichico, essa ne reputava la generica allegazione e la mancata indicazione della dipendenza eziologica da una responsabilità della banca.

Con atto notificato il 18 marzo 2016, il lavoratore ricorreva per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resisteva la banca con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 6,artt. 2948 e 1442 c.c. e di ogni altra norma e principio in materia di prescrizione o decadenza dall’impugnazione del licenziamento, per la concreta impossibilità di esercitare il proprio diritto, in mancanza della necessaria documentazione probatoria acquisita soltanto all’esito del giudizio penale.

2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 384 e 392 c.p.c. e di ogni altra norma e principio in materia di obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi al principio fissato dalla Corte di cassazione, per l’indebito ed erroneo esame dell’eccezione di prescrizione, certamente disattesa dal giudice di legittimità, una volta ritenuta la legittimazione passiva della banca cessionaria del ramo, avendo “nei cui confronti” accertato essere stata “correttamente… proposta la domanda di impugnativa del licenziamento”.

3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 1223 e 2043 c.c. e di ogni altra norma e principio in materia di risarcimento del danno da illiceità del recesso datoriale, per la diversità di causa petendi (oltre che di petitum) della domanda risarcitoria, qualora il lavoratore non sia reintegrabile nel posto di lavoro (da commisurare nel caso di specie “alle retribuzioni non percepite dalla sospensione sino alla maturazione del diritto a pensione, ai ratei di pensione che… avrebbe percepito la famiglia S. qualora il predetto fosse rimasto in servizio sino alla maturazione del diritto a pensione, e al trattamento di fine rapporto… maturato dalla data dell’assunzione a quella di cessazione dal servizio per limiti di età”), in quanto dipendente dal”l’esercizio scorretto del diritto di recesso da parte del datore di lavoro”.

4. Con il quarto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e di ogni altra norma e principio in materia di prova del danno, per l’erronea esclusione di adeguato supporto probatorio delle domande risarcitorie indicate ai punti 5) e 6) delle conclusioni, nonostante la puntuale deduzione delle istanze istruttorie, debitamente trascritte, non considerate dalla Corte territoriale.

5. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione del’art. 2935 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 6,artt. 2948 e 1442 c.c. per la concreta impossibilità di esercizio del diritto dal lavoratore di impugnazione del licenziamento, è infondato.

5.1. Ai fini della decorrenza del termine di prescrizione (art. 2935 c.c.) previsto in misura quinquennale dall’art. 1442 c.c., una volta che sia stato osservato il termine stabilito dalla L. n. 604 del 1966, art. 6 per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento (Cass. 13 dicembre 2005, n. 27428; Cass. 1 dicembre 2008, n. 28514; Cass. 2 dicembre 2016, n. 24675), è irrilevante il mero impedimento di fatto, in cui consiste l’allegazione del lavoratore di non avere avuto in concreto la possibilità di acquisire la documentazione necessaria allo scopo, se non “all’esito del procedimento penale che lo vedeva imputato”.

A norma dell’art. 2941 c.c. rilevano, infatti, soltanto gli impedimenti derivanti da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio del diritto e non anche quelli soggettivi o di mero fatto, per i quali sono previste solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione, tra le quali, salva l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, nè il dubbio soggettivo sull’esistenza di tale diritto o il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento (Cass. 7 marzo 2012, n. 3584; Cass. 6 ottobre 2014, n. 21026; Cass. 26 maggio 2015, n. 10828).

5.2. D’altro canto, è noto che nell’azione di impugnativa del licenziamento sia a carico del lavoratore l’allegazione della sua illegittimità e che invece sul datore di lavoro gravi l’onere della prova delle ragioni giustificative, a norma della L. n. 604 del 1966, art. 5 (Cass. 14 gennaio 2003, n. 444; Cass. 16 maggio 2006, n. 11430).

6. Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 384 e 392 c.p.c. per indebito ed erroneo esame dell’eccezione di prescrizione, nell’inosservanza dell’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi al principio fissato dalla Corte di cassazione, è infondato.

6.1. La Corte territoriale ha correttamente esaminato l’eccezione di prescrizione, in quanto rimasta assorbita dall’accoglimento della pregiudiziale eccezione in rito di difetto di legittimazione passiva: sicchè, il suo scrutinio non è certamente precluso dal carattere chiuso del giudizio di rinvio, in quanto debitamente riproposta (Cass. 8 gennaio 2007, n. 90; Cass. 2 settembre 2010, n. 19015; Cass. 24 ottobre 2013, n. 24093) dalla banca nella memoria di costituzione nel giudizio riassunto dal lavoratore (come accertato al quart’ultimo capoverso di pg. 4 della sentenza).

7. Il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 1223 e 2043 c.c. per illiceità del recesso datoriale per la diversità di causa petendi della domanda risarcitoria rispetto a quella di illegittimità del licenziamento, è infondato.

7.1. Fin troppo palese è la coincidenza della causa petendi della domanda risarcitoria in esame con quella dell’azione di impugnazione prescritta (illegittimità del licenziamento), in quanto dipendente dal”l’esercizio scorretto del diritto di recesso da parte del datore di lavoro”, come esplicitamente affermato dal lavoratore (all’ultimo capoverso di pg. 19 del ricorso) ed esattamente accertato dalla Corte territoriale (al primo capoverso di pg. 9, in esito alle ragioni argomentate ai due capoversi di pg. 8 della sentenza), in applicazione dei principi di diritto consolidati nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 9 marzo 2007, n. 5545; Cass. 3 marzo 2010, n. 5107; Cass. 6 agosto 2013, n. 18732).

8. Il quarto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e di ogni altra norma e principio in materia di prova del danno, per l’erronea esclusione di un adeguato supporto probatorio delle domande risarcitorie indicate ai punti 5) e 6) delle conclusioni, è inammissibile.

8.1. Premessa l’assoluta genericità della denuncia “di ogni altra norma e principio”, per tale ragione inammissibile, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella cui spetti secondo le regole dettate da quella norma. Non anche quando si ritenga, come nel caso di specie, che, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte gravata dell’onere abbia ad esso adempiuto, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 5 dicembre 2006, n. 19064; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107), nei più rigorosi limiti del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), applicabile ratione temporis.

8.2. In realtà, il motivo consiste nella contestazione dell’accertamento valutativo in fatto, insindacabile in sede di legittimità siccome di spettanza esclusiva del giudice di merito (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), pure adeguatamente argomentato con ragioni (illustrate al terzo capoverso di pg. 9 della sentenza), neppure confutate. 9. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso e la regolazione delle spese del giudizio di legittimità secondo il regime di soccombenza.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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