Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22071 del 04/09/2019

Cassazione civile sez. I, 04/09/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 04/09/2019), n.22071

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso n. 21921/2014 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliata in Roma Via Pomponeo Leto 2

presso lo studio dell’Avv.to Rossi Umberto che la rappresenta e

difende giusta procura speciale allegata al ricorso unitamente

all’Avv.to Autilio Antonio;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI Paterno, in persona del LEGALE RAPPRESENTANTE e Sindaco pro

tempore elettivamente domiciliato in Villa D’Agri di Marsicovetere

presso lo studio dell’Avv.to Giuseppe Malta che lo rappresenta e

difende giusta procura in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 264/2013 emessa dalla Corte di Appello di

POTENZA, depositata in data 24/9/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/4/2019 dal Consigliere Dott. MARINA MELONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione ritualmente notificato in data 2/9/1988 P.A., nella asserita qualità di procuratore generale di Coiro Michele, proprietario di un’area sita nel Comune di (OMISSIS) in parte interessata da una procedura d’esproprio e di occupazione d’urgenza (decreto sindacale del 7/2/1978 per mq 1.200), premesso che l’area era stata irreversibilmente trasformata in assenza di decreto ablativo e che pertanto vantava il diritto all’indennità di occupazione provvisoria,al risarcimento del danno subito da perdita del terreno e mancato reddito, da deprezzamento della parte residua oltre interessi e rivalutazione, convenne in giudizio il Comune di Paterno in persona del legale rappresentante davanti al Tribunale di Potenza.

Si costituì il Comune di Paterno contestando la domanda. Intervenne in giudizio D.M. con comparsa in data 27/10/1993 esponendo che il compendio in questione le era stato venduto dal P. con atto notarile in data 12/5/1986 ed aggiungendo che con separata scrittura privata in pari data il medesimo P. si era obbligato a consegnarle tutte le somme ricevute in pagamento dal Comune. Il Tribunale di Potenza dichiarò la carenza di legittimazione attiva del P. per mancanza di valido potere rappresentativo del (OMISSIS) e l’inammissibilità dell’intervento di D.M. in quanto tardivo, condannando entrambi alle spese di giudizio a favore del Comune di Paterno.

D.M. impugnò la sentenza davanti alla Corte di Appello di Potenza la quale, nella contumacia del D., confermò la pronuncia d’inammissibilità della domanda della ricorrente per difetto di legitimatio ad causam con sentenza n. 264 del 24.09.2013.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Potenza la ricorrente D.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e memoria. Il Comune di Paterno resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente D.M. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 e 1260 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in quanto la Corte di Appello ha ritenuto che la D. ed il P. non avevano stipulato un contratto di cessione del credito ma un contratto ad effetti obbligatori con il quale il Pi. si obbligava a pagare alla D. le somme ricevute dal Comune per i diritti indennitari e risarcitori connessi all’esproprio.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente D.M. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la Corte di Appello ha ritenuto la mancanza di legitimatio ad causam della ricorrente sebbene la D., in forza del contratto di cessione del credito, fosse intervenuta in giudizio per tutelare quale proprietaria del terreno il proprio diritto ad un congruo indennizzo da esproprio d’urgenza, peraltro in mancanza di contestazione da parte del Comune.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Il giudice di merito ha diffusamente motivato sulla interpretazione del contratto desumendo la mancanza di legitimatio ad causam, dando conto dell’iter logico seguito sulla base della volontà delle parti non ravvisandosi nella sentenza impugnata violazione o falsa applicazione delle regole ermeneutiche codicistiche e pertanto la censura avanzata si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione del contratto e, in sostanza, di una diversa valutazione dello stesso, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v.Cass., sez. un., n. 8053/2014), applicabile ratione temporis.

In sostanza parte ricorrente erroneamente contesta la ricostruzione operata dalla Corte territoriale in via interpretativa e sollecita un’indagine di merito che è certamente inibita alla Corte di legittimità.

Infatti l’interpretazione di un contratto è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta, come nella specie, da motivazione adeguata e immune dalla violazione di quelle norme – in particolare, l’art. 1362 c.c., comma 2, artt. 1363 e 1366 c.c. – dettate per l’interpretazione dei contratti mentre in tale prospettiva, la parte che denunzi in cassazione l’erronea interpretazione, in sede di merito, di un atto è tenuta, a pena di inammissibilità del ricorso, a indicare quali canoni o criteri ermeneutici siano stati violati.

Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile sotto il profilo della denunciata omessa o insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Infatti se da un canto la sentenza impugnata è congruamente motivata, dall’altro il vizio di insufficiente motivazione non è più deducibile in questa sede, alla luce di Cass. sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 secondo cui “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.”

Per quanto sopra deve essere respinto il ricorso per tutti i motivi e la ricorrente condannata alle spese del presente giudizio.

Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 4.100,00 oltre accessori di legge. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2019

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