Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22070 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/10/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 13/10/2020), n.22070

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 881-2014 proposto da:

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELA

CAPANNOLO, MAURO RICCI, e CLEMENTINA PULLI;

– ricorrente –

contro

M.L.D., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALDO LICCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2772/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 19/07/2013, R.G.N. 123/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SERGIO PREDEN per delega verbale avvocato CLEMENTINA

PULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 24.6.13, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la pronuncia del 13.1.11 del Tribunale della sede, che aveva riconosciuto il diritto di M.M.D. alla giusta perequazione automatica in percentuale sulla pensione IO/S in godimento, tenendo conto, nel calcolo del coefficiente di rivalutazione, del pro rata estero sommato a quello italiano, con conseguente condanna dell’INPS al pagamento dei ratei differenziali.

2. In particolare, la Corte territoriale – per quel che qui rileva – ha escluso la decadenza di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 non potendo la stessa operare in mancanza di domanda amministrativa cui ancorare il termine, posto che l’adeguamento è dovuto L. n. 160 del 1975, ex art. 10 senza alcuna domanda amministrativa dell’interessato.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’INPS per un unico motivo, cui resiste con controricorso – poi ulteriormente illustrato da memoria l’intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con unico motivo di ricorso parte ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 come modificato dal D.L. n. 98 del 2011, art. 38 conv. in L. n. 111 del 2011, e del richiamato D.L. n. 98 del 2011, art. 38, comma 4 per avere escluso l’applicazione del termine di decadenza per l’azione giudiziaria (introdotto dalla richiamata disposizione con applicazione anche ai processi pendenti in primo grado alla data del 6.7.11) al giudizio in essere tra le parti, sebbene lo stesso fosse pendente al detto momento, e per non aver considerato la decadenza sebbene il termine relativo – applicabile anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte – fosse decorso.

5. Il ricorso è infondato.

6. A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 69 del 2014, infatti, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 98 del 2011, art. 38, comma 4 nella parte in cui se ne prevede l’applicazione ai giudizi pendenti in primo grado. Espunta la norma illegittima, vale il generale principio dell’inapplicabilità del termine decadenziale (cfr. Cass. 21 gennaio n. 2015, n. 1071; si vedano anche Cass. 19 giugno 2013, n. 15375; Cass. 8 maggio 2012, n. 6959).

7. Il motivo è comunque infondato anche a prescindere dal detto intervento – sopravvenuto al ricorso – del giudice delle leggi, ciò che incide sul regime delle spese del presente giudizio di legittimità.

8. Infatti, la nuova disciplina della decadenza (con riferimento alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte) è applicabile – per espressa previsione normativa – ai “giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore” delle nuove disposizioni, ossia al 6.7.11. Rileva dunque in questo giudizio verificare se alla detta data il giudizio inter partes fosse ancora pendente in primo grado.

9. Al riguardo, va osservato che il giudizio di primo grado è stato definito con sentenza 13.1.11 del Tribunale di Lecce. L’INPS sostiene che, non essendo stata ancora notificata la sentenza alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni ed essendo ancora pendente il termine lungo – all’epoca annuale – per impugnarla, il giudizio fosse ancora pendente in primo grado.

10. Questa Corte è consapevole che, sul piano formale, la descritta situazione è stata considerata come pendenza della lite in primo grado, così, ad esempio, ai fini della dichiarazione di litispendenza (Cass. Sez. U., Sentenza n. 27846 del 12/12/2013, Rv. 628456 – 01), laddove in precedenza si era posto l’accento sull’assenza di un giudice attualmente investito della sua trattazione, con conseguente inconfigurabilità della contemporanea pendenza di due giudizi sull’identica causa (tra le altre, Cass. n. 9313 del 2007; Cass. n. 3965 del 1999; Cass. n. 10857 del 1995; Cass. n. 1963 del 2004). Ma in relazione alla litispendenza, l’equiparazione della detta situazione a quella in cui la lite è pendente e vi è un giudice investito si spiega in funzione dell’esigenza che il legislatore persegue di evitare una duplicità di giudizi sulla medesima lite.

11. In altro ambito, invece, si è attribuito rilievo preponderante al fatto che il giudice, con la sentenza che ha definito il grado di giudizio, si è spogliato dei poteri decisori, costituendo tale momento il limite per l’operatività retroattiva di disposizioni normative sopravvenute. Così, in materia penale, Cass. Sez. U., Sentenza n. 47008 del 29/10/2009 Ud., dep. 10/12/2009, Rv. 244810 – 01, ha affermato che, ai fini dell’operatività delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado “determina la pendenza in grado d’appello del procedimento”, ostativa all’applicazione retroattiva delle norme più favorevoli.

12. Tale ultima fattispecie appare più simile a quella oggetto del presente giudizio, ove si tratta di applicare norme sopravvenute a fattispecie precedenti.

13. Risulta anche in tal caso opportuno, più che cercare di ricostruire la nozione generale ed astratta di pendenza del giudizio di primo grado o di pendenza del giudizio di appello, valutare piuttosto – per usare le parole delle sezioni unite – “l’esatto significato che la locuzione normativa assume nel particolare contesto in cui è stata introdotta, considerando gli interessi perseguiti e le condizioni per le quali l’esclusione della retroattività si palesa compatibile con la legge fondamentale. Nè potrebbe giovare un richiamo dogmatico al dato testuale posto che il concetto di pendenza non ha ricevuto definizione nel nostro sistema…, il che consente di adeguarlo alle caratteristiche ed alla finalità delle situazioni in cui è destinato ad incidere”.

14. Nella specie, ove – come si è detto – si tratta di verificare la pendenza al fine di consentire l’applicazione retroattiva di una norma sopravvenuta (peraltro più restrittiva), occorre allora considerare la ratio del D.L. n. 98 del 2011, art. 38, comma 4: la norma, infatti, nel prevedere l’applicazione delle nuove norme ai giudizi pendenti in primo grado, intende consentire al giudice di primo grado di tener conto delle nuove disposizioni, ciò che presuppone che il giudice di primo grado non si sia ancora pronunciato sulla controversia; una volta che il giudice si sia pronunciato, infatti, è ragionevole interpretare la norma nel senso che essa abbia disposto l’inapplicabilità della nuova disciplina, essendo incongruo – come deriverebbe dall’opposta interpretazione – che il giudice d’appello possa accertare la decadenza dell’assistito dall’azione giudiziaria sebbene analoga facoltà non competa al giudice di primo grado.

15. Può dunque dirsi che, ai fini dell’applicazione dell’art. 38, comma 4 su richiamato, giudizio pendente in primo grado è quello che non sia stato ancora definito con sentenza, essendo invece esclusa l’applicazione retroattiva di norme sopravvenute ove sia intervenuta una sentenza che abbia definito il giudizio (sentenza definitiva ex art. 279 c.p.c.) in primo grado, restando irrilevante che la detta sentenza possa essere ancora impugnata (e che vi sia litispendenza ai diversi fini dell’art. 39 c.p.c.).

16. Per tutto quanto detto il ricorso deve essere rigettato e le spese non possono che seguire la soccombenza, con distrazione in favore del procuratore della controricorrente, antistatario.

17. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4000 per competenze professionali, oltre Euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%, con distrazione in favore dell’avv. Aldo Licci, antistatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

 

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