Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22070 del 04/09/2019

Cassazione civile sez. I, 04/09/2019, (ud. 07/02/2019, dep. 04/09/2019), n.22070

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi riuniti iscritti al n. 14304/2014 R.G. proposti da:

COMPAGNIE FRANCAISE D’ASSURANCE POUR LE COMMERCE EXTERIEURE S.A., in

persona del legale rappresentante p.t. D.M.E., in

qualità di avente causa della Coface – Compagnia di Assicurazioni e

Riassicurazioni S.p.a., rappresentata e difesa dagli Avv. Gianmaria

Scofone e Filippo Sciuto, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via E. Gianturco, n. 6;

– ricorrente –

e

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.P.A., in persona del curatore p.t. Dott.

V.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. Mauro

Orlandi, con domicilio eletto in Roma, via L. Spallanzani, n. 22;

– ricorrente e controricorrente –

e

INGG. P. & C. S.P.A. in liquidazione, in persona del

liquidatore p.t. C.F. del (OMISSIS), M.

COSTRUZIONI S.R.L., in persona dell’amministratore unico p.t.

M.A. e C.G. IMPIANTI S.P.A., in persona

dell’amministratore delegato p.t. D.V., rappresentate

e difese dagli Avv. Prof. Ferruccio Auletta e Andrea Zoppini e

dall’Avv. Arturo Cancrini, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via G. Mercalli, n. 13;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, (già Comune di Roma), in persona del Sindaco p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avv. Nicola Sabato, con domicilio eletto

in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21, presso la sede

dell’Avvocatura capitolina;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e

IMPRESA DI COSTRUZIONI CARENA S.P.A., in persona del legale

rappresentante p.t. Pe.Fr., rappresentata e difesa

dall’Avv. Arturo Cancrini, con domicilio eletto in Roma, via G.

Mercalli, n. 13;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e

PI.RE. e R.P. BUILDING WORKSHOP S.A.S. (già R.P.

Building Workshop Se.l.a.f.a.), in persona del legale rappresentante

G.P., rappresentati e difesi dagli Avv. Prof. Sergio

Maria Carbone e Carlo Srubeck Tomassy, con domicilio eletto presso

lo studio di quest’ultimo in Roma, via Caio Mario, n. 27;

– controricorrente –

e

AERIMPIANTI S.P.A. in concordato preventivo, CA.GI. e

FONDAZIONE MUSICA PER ROMA;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2389/13

depositata il 29 aprile 2013.

Udita la relazione svolta nell’udienza pubblica del 7 febbraio 2019

dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

uditi gli Avv. Filippo Sciuto e Ruggero Barile per la Compagnie

Franaise d’Assurance pour le Commerce Exterieure, Mauro Orlandi per

il Fallimento della (OMISSIS), D.V.V. e N.L.

per la P. & C., la M. e la Gavazzi, e Nicola

Sabato per Roma Capitale;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del secondo motivo del ricorso della Compagnie

Franaise d’Assurance pour le Commerce Exterieure, del quarto, del

quinto e del sesto motivo del ricorso del fallimento della

(OMISSIS), del primo motivo del ricorso della P. &

C., della M. e della Gavazzi, e del primo motivo del ricorso

incidentale della Carena, con l’assorbimento degli altri ricorsi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La (OMISSIS) S.p.a., in proprio e nella qualità di capogruppo dell’Associazione Temporanea d’Imprese costituita con l’Ingg. P. & C. S.p.a., la M. Costruzioni S.r.l., la C.G. Impianti S.p.a., l’Aerimpianti S.p.a. e la Carena S.p.a., appaltatrice dei lavori del secondo lotto funzionale per la costruzione dell’Auditorium di (OMISSIS), convenne in giudizio il Comune di Roma, per sentir pronunciare a) la risoluzione per inadempimento del contratto d’appalto stipulato il 20 ottobre 1997 e dell’atto aggiuntivo sottoscritto il 9 aprile 1999, b) l’annullamento per errore della rinuncia alle riserve contenuta nell’atto aggiuntivo, c) in subordine, la dichiarazione d’inefficacia della rinuncia per difetto della presupposizione, d) la condanna del Comune al risarcimento del lucro cessante, nonchè al pagamento dei lavori eseguiti e delle somme richieste con le riserve, e) la disapplicazione delle penali irrogate ed il riconoscimento del premio di accelerazione, f) in via ancor più gradata, la disapplicazione della determinazione dirigenziale di rescissione del contratto ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 340, all. F, con l’attribuzione alla stessa del valore di recesso unilaterale e la condanna del Comune al pagamento di una somma pari al 10/0 dell’importo dei lavori non eseguiti fino ai 4/5, g) in ogni caso, la condanna del Comune al pagamento delle somme richieste con le riserve, h) in estremo subordine, la condanna del Comune al pagamento della somma residua dovuta in virtù dell’atto aggiuntivo e delle somme richieste con le riserve, o i) l’accertamento dell’obbligo di corrispondere i predetti importi ai sensi dell’art. 2041 c.c. o dell’art. 2043 c.c..

Premesso che nel corso dei lavori erano emerse carenze progettuali tali da impedire la realizzazione dell’opera, l’attrice espose che, a seguito dello accertamento della consistenza dei lavori effettuati e degli elaborati proget-tuali, da essa richiesto a norma dell’art. 696 c.p.c., il Comune aveva affidato al Prof. B.F. la progettazione esecutiva strutturale dei corpi di fabbrica fondamentali del complesso. Con l’atto aggiuntivo, gli oneri economici di tale incarico erano stati posti a carico dell’ATI, alla quale erano stati invece riconosciuti i danni subiti dall’avvio dei lavori, nella misura di Lire 20.000.000.000, contro la rinuncia a far valere le riserve fino ad allora formulate e quelle future riguardanti la progettazione dell’opera; era stata inoltre prevista la costituzione di un gruppo di raccordo per la soluzione dei problemi tecnici, ed il Comune si era impegnato ad approvare le varianti necessarie, prorogando il termine per l’ultimazione di lavori e concordando scadenze intermedie per il completamento parziale dell’opera. Le carenze progettuali si erano tuttavia dimostrate ancor più gravi di quelle risultanti dall’atto aggiuntivo, rendendo necessaria l’adozione di nuove soluzioni esecutive, che avevano comportato maggiori oneri finanziari per l’ATI ed un allungamento nei tempi di realizzazione; l’Amministrazione aveva poi disposto la sospensione dei lavori, applicando penali e pretendendo fideiussioni, omettendo di prestare la necessaria collaborazione e di approvare le varianti previste, ritardando il pagamento del terzo stato di avanzamento, non adeguando le scadenze al programma dei lavori, non effettuando il pagamento della prima rata del corrispettivo concordato con l’atto aggiuntivo e, da ultimo, disponendo la rescissione del contratto in danno dell’appaltatrice.

1.1. Si costituì il Comune, e resistette alla domanda, chiedendo in via riconvenzionale la condanna dell’attrice al risarcimento dei danni, ivi compreso quello da perdita di chance e quello all’immagine. Contestò infatti l’incompletezza del progetto, assumendo che le imprese partecipanti alla gara avevano avuto ampia possibilità di prenderne cognizione in una conferenza preliminare con i progettisti, ed aggiunse che il capitolato speciale d’appalto imponeva all’appaltatrice di confermarne la conoscenza, nonchè di attestare l’eseguibilità dell’opera e di eseguire gli elaborati di cantierizzazione.

Spiegarono intervento nel giudizio l’arch. Pi.Re. e la R.P. Building Workshop S.r.l., in qualità di autori del progetto, affermando di agire a tutela della propria onorabilità professionale, ribadendo la completezza del progetto e chiedendo la condanna dell’attrice al risarcimento dei danni.

Intervenne inoltre la Musica per Roma S.p.a., affidataria della gestione dell’Auditorium, chiedendo la condanna dell’attrice al risarcimento dei danni derivanti dal mancato svolgimento di alcune manifestazioni in conseguenza del ritardo nell’ultimazione dell’opera.

Il giudizio, interrotto a seguito della dichiarazione di fallimento della (OMISSIS), fu riassunto nei confronti del curatore, nonchè riunito ad un altro, avente ad oggetto ulteriori pretese avanzate dall’ATI con riserve formulate dopo la proposizione della prima domanda.

1.2. Con sentenza non definitiva del 24 novembre 2004, il Tribunale di Roma a) dichiarò inammissibili gl’interventi principali spiegati dall’arch. Pi., dalla RPBW e dalla Musica per Roma, ed ammissibile quello adesivo proposto dall’arch. Pi. e dalla RPBW, b) rigettò le domande di risoluzione del contratto d’appalto, annullamento dell’atto aggiuntivo per errore ed inefficacia per difetto della presupposizione, c) ritenne quindi precluso l’esame delle riserve formulate prima della sottoscrizione dell’atto aggiuntivo e di quelle formulate successivamente, ma riguardanti la completezza del progetto, rigettando le pretese economiche conseguenti, d) accolse la domanda subordinata di pagamento del residuo dovuto in virtù dell’atto aggiuntivo, condannando il Comune al pagamento di Lire 12.000.000.000, oltre interessi legali, e) dichiarò legittima la rescissione del contratto d’appalto disposta ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 340, all. F, ed assorbita la domanda di risoluzione per inadempimento proposta dal Comune, f) rigettò le domande subordinate proposte dalle attrici ai sensi degli artt. 2041 e 2043 c.c..

Con ordinanza in pari data, fu poi disposta la prosecuzione dell’istruttoria, con la nomina di un CTU per la liquidazione dei lavori regolarmente eseguiti e non pagati, nonchè dei danni subiti dal Comune.

1.3. Successivamente, spiegò intervento nel giudizio la Coface – Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.a., assumendo di aver prestato fideiussione a garanzia delle obbligazioni assunte dall’ATI con il contratto d’appalto e l’atto aggiuntivo, ed aggiungendo di essere stata escussa dal Comune, nonchè convenuta dall’ATI in un separato giudizio, volto ad ottenere la dichiarazione di estinzione della polizza.

1.4. Con sentenza definitiva del 25 settembre 2007, il Tribunale a) dichiarò ammissibile l’intervento adesivo dipendente spiegato dalla Coface, b) condannò il Comune al pagamento della somma di Euro 8.098.188,83, oltre interessi legali, a titolo di corrispettivo per i lavori eseguiti, da ripartirsi tra le imprese proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione alla ATI, che per l’Aerimpianti dichiarò pari allo 0,50%, c) condannò le imprese, pro quota, al risarcimento dei danni in favore del Comune nella misura di Euro 23.149.926,49, oltre interessi, pari ai maggiori costi sostenuti per il nuovo appalto ed al pregiudizio derivante dall’inosservanza del termine per l’ultimazione dei lavori e dal surplus di lavoro amministrativo.

2. Sugli appelli separatamente proposti dal curatore del Fallimento e dalle imprese mandanti dell’ATI nei confronti di entrambe le sentenze, spiegarono intervento nel giudizio la Coface e Ca.Gi., il quale dichiarò di aver prestato fideiussione in favore del Banco di San Giorgio per un finanziamento da quest’ultimo concesso alla (OMISSIS) e garantito anche dalla cessione dei crediti relativi alle riserve.

2.1. Riunite le impugnazioni, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 29 aprile 2013, a) ha dichiarato inammissibili gl’interventi della Coface e del Ca., b) ha dichiarato inammissibile la domanda di nullità dell’atto aggiuntivo proposta dal curatore del Fallimento e dalle imprese mandanti, c) ha rigettato gli appelli principali ed incidentali proposti contro la sentenza non definitiva di primo grado, d) ha rigettato gli appelli principali ed incidentali proposti contro la sentenza definitiva, fatta eccezione per il motivo riguardante la condanna del Fallimento al risarcimento dei danni, e) ha conseguentemente ridotto del 46%, pari alla quota di competenza della (OMISSIS), la somma liquidata dalla sentenza di primo grado in favore del Comune, confermando la condanna pro quota delle imprese mandanti.

2.2. Premesso che la dichiarazione di ammissibilità dell’intervento adesivo spiegato da Pi.Re. e dalla RPBW, contenuta nella sentenza non definitiva di primo grado, era rimasta incensurata, la Corte ha ritenuto invece inammissibile l’intervento spiegato dalla Coface nel giudizio di appello promosso contro la predetta sentenza, qualificandolo come intervento adesivo dipendente, in quanto volto a sostenere le ragioni del fallimento della (OMISSIS), e reputandolo in contrasto con l’art. 344 c.p.c.. Rilevato infatti che in primo grado la Coface era intervenuta dopo la pronuncia della sentenza non definitiva, a sostegno delle ragioni dell’ATI, e precisato che la dichiarazione di ammissibilità di tale intervento era rimasta incensurata, ha osservato che la riunione degli appelli proposti avverso le due sentenze non escludeva l’autonomia dei relativi giudizi, concludendo pertanto che la Coface doveva considerarsi legittimo contraddittore soltanto in ordine all’appello proposto contro la sentenza definitiva, nonchè legittimata ad impugnarla, per effetto della sua condanna alla rifusione parziale delle spese processuali. Ha escluso infine l’ammissibilità dell’intervento spiegato dal Ca., affermando che, nonostante il pagamento eseguito in qualità di fideiussore della (OMISSIS) in favore del Banco di San Giorgio, egli non si era surrogato nei crediti dalla stessa vantati nei confronti del committente, in quanto questi ultimi avevano costituito oggetto di cessione, stipulata anch’essa a scopo di garanzia, ma autonoma rispetto alla fideiussione.

2.3. Nel merito, rilevato che in appello il fallimento aveva prospettato la nullità dell’atto aggiuntivo per indeterminatezza dell’oggetto e contrasto con la L. 11 febbraio 1994, n. 109, artt. 16,17 e 19, nonchè la nullità del capitolato speciale d’appalto per contrarietà alle medesime disposizioni, ha ritenuto che la questione fosse preclusa dal giudicato implicito formatosi per effetto della mancata impugnazione sia da parte del Fallimento che della Aerimpianti della statuizione di rigetto delle domande di annullamento, inefficacia e risoluzione subordinatamente proposte in primo grado, le quali presupponevano l’assenza di cause di nullità del contratto. Ha aggiunto che il contrasto con le norme della L. n. 109 del 1994, era stato già prospettato in primo grado con riferimento alla validità del capitolato speciale, ma la questione era stata ritenuta preclusa dalla transazione stipulata con l’atto aggiuntivo, e tale statuizione era rimasta incensurata in sede di gravame. Ha precisato comunque che, anche a voler ritenere che non si fosse formato il giudicato implicito, la nullità dedotta dall’Aerimpianti avrebbe dovuto essere esclusa, in riferimento all’indeterminatezza dell’oggetto, essendo l’appaltatrice in grado di prevedere ragionevolmente l’iscrizione di future riserve e stimarne orientativamente l’ammontare, in modo da farne oggetto di valida rinuncia.

2.4. In ordine all’annullabilità dell’atto aggiuntivo per errore di fatto sul caput controversum, la Corte ha osservato innanzitutto che, pur componendosi di due aree contenutistiche, l’una volta alla disciplina del rapporto contrattuale, l’altra alla regolazione delle controversie in atto e di quelle eventuali mediante reciproche rinunce, l’atto non era qualificabile come transazione mista e neppure novativa, dal momento che la rimodulazione del rapporto contrattuale, oltre a non poter essere considerata estranea alla res litigiosa, lasciava in vita il contratto di appalto; precisato infatti che un contrasto suscettibile di definizione transattiva non è individuabile nelle sole controversie sfociate nell’iscrizione delle riserve e in ricorsi giurisdizionali, ma può essere ravvisato anche in presenza di una conflittualità non ancora articolatasi in pretese determinate, ha evidenziato il riferimento alle problematiche emerse in sede tecnica e d’interpretazione del contratto, contenuto nella premessa dell’atto aggiuntivo e nella relativa Delibera di autorizzazione, nonchè alcune clausole dell’atto, aventi come presupposto una controversia concernente il progetto: ha quindi qualificato l’atto aggiuntivo come transazione semplice e generale, in quanto volto a chiudere definitivamente ogni contestazione sui pregressi rapporti ed a por fine a tutte le controversie tra le parti, concludendo per l’irrilevanza dell’errore di fatto sul caput controversum. Ha ritenuto infatti insostenibile la tesi dell’errore essenziale ricadente sulla completezza del progetto esecutivo, rilevando che l’atto era stato stipulato quasi un anno e mezzo dopo la formale consegna dell’area e l’inizio dei lavori, nonchè dopo l’iscrizione di riserve per ben 68.000.000.000 di Lire fondate proprio sulla lacunosità del progetto, ed aggiungendo che l’oggetto dell’incarico conferito al Prof. B. dimostrava che, indipendentemente dalla complessità dell’opera, alla data di stipulazione dell’atto aggiuntivo l’appaltatrice era perfettamente a conoscenza delle difficoltà tecniche di traduzione del progetto in elaborati di cantierizzazione; ha conseguentemente ritenuto che il lamentato errore sulla completezza del progetto riguardava in realtà la valutazione quantitativa delle lacune progettuali, e quindi la convenienza economica della transazione, irrilevante ai fini dell’annullamento della stessa. Ha ritenuto infine inammissibili, per difetto di specificità, le censure riflettenti la novità della domanda di annullamento per errore della parte dell’atto aggiuntivo modificativa del contratto di appalto, rilevando che l’ATI si era limitata a riproporre le tesi sostenute in primo grado, ed osservando comunque che la nuova regolazione del contratto costituiva una delle modalità attraverso le quali il caput controversum aveva trovato una soluzione transattiva.

2.5. La Corte ha poi escluso che la completezza del progetto esecutivo fosse configurabile come una condizione implicitamente presupposta dell’atto aggiuntivo, il cui mancato avveramento potesse comportarne l’inefficacia, osservando che non si trattava di una situazione di fatto inespressa alla quale le parti avevano inteso attribuire valore determinante nella formazione dell’accordo, dal momento che la c.d. cantierizzazione, che avrebbe dovuto consentire la realizzazione del progetto esecutivo, era espressamente prevista dall’atto aggiuntivo, che aveva posto a carico dell’appaltatrice il relativo onere economico.

2.6. Quanto alla risoluzione del contratto d’appalto, la Corte ha ritenuto innanzitutto corretta la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva considerato precluse dalla stipulazione dell’atto aggiuntivo anche le riserve formulate successivamente alla sua sottoscrizione che avessero un’origine anche remota nella questione progettuale. Precisato che tale questione era stata definita nell’atto aggiuntivo mediante la rinuncia a far valere le riserve già iscritte e quelle future connesse al progetto contro il pagamento dell’importo di Lire 11.000.000.000, nonchè attraverso una rimodulazione del contratto, con la previsione di una nuova tempistica e nuovi termini di consegna, nuove penali e premi di accelerazione, l’affidamento al Prof. B. della predisposizione degli elaborati di cantierizzazione, l’assunzione dell’impegno di potenziare le rispettive organizzazioni e di compensare a parte le ulteriori lavorazioni disposte per migliorare i tempi di esecuzione, ha affermato che la condotta successiva delle parti doveva essere valutata anche alla luce di tali pattuizioni, che facevano parte integrante del contratto di appalto. Considerato che l’atto aggiuntivo costituiva una transazione finalizzata a superare la questione progettuale, ha ritenuto ininfluenti l’assunzione da parte del Comune della garanzia di completezza del progetto e il riconoscimento di tale completezza da parte dell’ATI, conferendo invece rilievo all’affidamento dell’incarico al Prof. B., il cui oggetto era costituito dalla c.d. cantierizzazione; premesso che, ai sensi della L. n. 109 del 1994, art. 16, come modificata dalla L. 2 giugno 1995, n. 216, applicabile all’appalto in questione, l’ente committente è tenuto a fornire il progetto esecutivo dell’opera, da intendersi come progetto realizzabile senza ulteriori specificazioni, ha ritenuto che il predetto incarico, comprendente anche l’effettuazione di verifiche statiche e la progettazione di interventi per l’adattamento di strutture già realizzate o di organismi strutturali mancanti o insufficientemente dettagliati, si ponesse nel solco del capitolato speciale d’appalto, che poneva la cantierizzazione a carico dell’appaltatrice; ha reputato irrilevante la paternità della scelta del professionista, così come l’approvazione del Comune, rilevando che l’incarico era stato conferito dall’ATI, la quale ne aveva sopportato l’onere economico, nell’ottica del superamento di ogni controversia riguardante il progetto, ed aggiungendo che ogni questione riguardante la riconducibilità della predetta attività al carattere innovativo del progetto o alla presenza di lacune progettuali doveva considerarsi preclusa dalla transazione, così come quella riguardante la validità del capitolato speciale.

Escluso pertanto che ai fini della valutazione in ordine all’inadempimento del contratto potessero essere fatte valere lacune progettuali, la Corte ha rilevato che fin da epoca immediatamente successiva alla sottoscrizione dell’atto aggiuntivo il Comune aveva segnalato ritardi nell’esecuzione dei lavori e carenze organizzative dell’appaltatrice, osservando che la sentenza di primo grado era rimasta incensurata nella parte in cui aveva sottolineato la natura essenziale dei termini contrattuali, ma precisando che ciò escludeva la necessità di valutare soltanto l’importanza, e non anche l’imputabilità dell’inadempimento. Ha ritenuto che la prova della non imputabilità non fosse stata fornita, osservando che a) il mancato funzionamento, a partire dal mese di giugno 1999, del gruppo di raccordo previsto dall’atto aggiuntivo ai fini dell’individuazione delle soluzioni tecniche da adottare per la migliore riuscita dell’opera era stato determinato dall’infruttuosità delle relative riunioni, causata dalle carenze organizzative dell’appaltatrice e dai ritardi accumulati, b) la mancata formalizzazione di una perizia di variante, pur configurandosi come un’inadempienza del Comune, traeva anch’essa origine dai predetti ritardi, c) era rimasta incensurata l’esclusione di una condotta colpevole del Comune relativamente alla sospensione dei lavori della sala da cinquecento posti, d) i lamentati ritardi nell’approvazione degli elaborati progettuali da parte del Comune non potevano ritenersi incontestati, come ritenuto dalla sentenza di primo grado, avuto riguardo alla genericità della relativa deduzione, che impediva anche di valutare la gravità dell’inadempimento, e) alla stregua dell’andamento dell’appalto, l’accertato ritardo del Comune nel pagamento dell’importo di Lire 20.000.000.000 previsto dall’accordo aggiuntivo era riconducibile ad una comprensibile cautela del committente, giustificata dai preoccupanti ritardi dell’ATI, che facevano presagire una definizione non fisiologica del rapporto.

2.7. In ordine al pagamento delle somme residue dovute in virtù dell’atto aggiuntivo, premesso che le stesse erano volte a compensare in modo omnicomprensivo gli oneri sopportati dall’appaltatrice per allacci dei pubblici servizi, ritrovamenti archeologici ed adeguamento della sala da cinquecento posti, e riguardavano pertanto anche prestazioni non investite dalle contestazioni, la Corte ha ritenuto che la relativa domanda non trovasse ostacolo nell’eccezione d’inadempimento, avuto riguardo alla natura generale della transazione ed alla mancata richiesta di una pronuncia di risoluzione che investisse l’atto nel suo complesso.

2.8. Ha poi confermato l’inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta dal Comune nei confronti della (OMISSIS), in considerazione della dichiarazione di fallimento di quest’ultima, escludendo che tale domanda potesse essere interpretata come eccezione di compensazione, e dando atto dell’assoggettamento della stessa al rito speciale di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 93 e segg., nonchè dell’avvenuta proposizione della domanda d’insinuazione al passivo da parte dell’Amministrazione e del difetto d’interesse della stessa ad una pronuncia di condanna da far valere nell’ipotesi di ritorno della società in bonis.

2.9. Ha confermato inoltre raccoglimento della domanda riconvenzionale di condanna dell’ATI al risarcimento del danno per il ritardo nella consegna della sala da milleduecento posti, rilevando che le censure proposte al riguardo avevano ad oggetto l’an debeatur, già valutato in riferimento alla sentenza non definitiva, ed il carattere perentorio dei termini fissati con l’atto aggiuntivo, mai precedentemente contestato. Precisato inoltre che le maggiori e diverse opere che avevano cagionato tale ritardo costituivano l’effetto dell’attività affidata al Prof. B. con l’atto aggiuntivo, ha osservato che nel contratto di appalto il rischio della difficoltà dell’opera ricade sullo appaltatore, la cui obbligazione non si esaurisce nel compimento dello sforzo necessario per il raggiungimento dello scopo, ma consiste nella garanzia della prestazione di un risultato. Ha escluso infine che le maggiori lavorazioni facessero sorgere a carico dell’Amministrazione l’obbligo di procedere all’approvazione di perizie di variante, rilevando che, nella parte in cui faceva riferimento ad ulteriori lavorazioni, l’atto aggiuntivo non era invocabile con riguardo a quelle conseguenti alla riprogettazione affidata al Prof. B..

2.10. La Corte ha altresì confermato l’accoglimento della domanda riconvenzionale di risarcimento del danno subito dal Comune per la necessità di procedere ad un nuovo affidamento dell’appalto, ritenendo tale statuizione non incompatibile con la condanna al pagamento del corrispettivo dei lavori eseguiti dall’ATI, attinente alla tutela restitutoria conseguente alla risoluzione del contratto, ed osservando che se l’ATI non si fosse resa inadempiente l’Amministrazione non avrebbe dovuto affrontare i maggiori costi derivanti dal minor ribasso d’asta. Ha ritenuto inoltre dovute le spese sostenute per la sicurezza del cantiere, in quanto imposte dal sopravvenuto della L. n. 216 del 1995, art. 31, avente carattere inderogabile, osservando che gli oneri relativi all’adeguamento del cantiere e del progetto non sarebbero stati sostenuti in mancanza del riappalto dell’opera. Ha confermato infine l’obbligo di risarcire i danni consistenti nel surplus di lavoro amministrativo connesso al secondo appalto, in quanto causalmente ricollegabili all’inadempimento dell’appaltatrice ed adeguatamente documentate.

2.11. La Corte ha ritenuto invece infondate le censure proposte dal curatore del fallimento in ordine alle detrazioni operate dalla sentenza di primo grado per minori quantità o differenze qualitative dei materiali, in considerazione dell’applicabilità del compenso a misura; ha reputato generiche quelle relative alle detrazioni operate per la demolizione e la ricostruzione delle pareti interne degli ascensori, l’allineamento delle relative spallette e le opere di rinforzo delle pareti portanti; ha rigettato quelle relative alla pulizia dei giunti acustici, l’intonaco da applicare ad una parte del soffitto della sala da duemilasettecento posti ed il controllo sonico dei giunti, in quanto riguardanti lavorazioni necessarie per la realizzazione dell’opera a regola d’arte.

2.12. Precisato poi che la risoluzione del contratto imponeva il riequilibrio extracontrattuale delle prestazioni eseguite anche in favore della parte inadempiente, la Corte ha confermato che, ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 340, all. F e dell’art. 51, comma 5, del capitolato generale d’appalto, il criterio da adottare ai fini della determinazione del compenso dovuto all’ATI per le opere eseguite era quello a misura, fondato sui prezzi a tariffa con applicazione del ribasso d’asta, osservando che non poteva escludersi la facoltà delle parti di regolare i loro rapporti anche per l’ipotesi di scioglimento del vincolo contrattuale, ed escludendo il carattere vessatorio della clausola del capitolato o il contrasto della stessa con principi di ordine pubblico economico, in considerazione del carattere restitutorio e non risarcitorio dell’obbligazione.

2.13. Ha ritenuto altresì legittima la detrazione dal corrispettivo degli importi che l’Amministrazione aveva corrisposto direttamente aì subappaltatori, in quanto pagati nell’esercizio di una facoltà prevista dal capitolato speciale, reputando invece non dovuti i maggiori importi richiesti a titolo di risarcimento dei danni cagionati dal rifacimento di opere mal eseguite dalla appaltatrice: ha escluso infatti a) quelli relativi alla corretta realizzazione dei giunti acustici degli ascensori, in quanto non sufficientemente documentati, b) quelli relativi ai rinforzi delle fondazioni delle sale da milleduecento e duemilasettecento posti, per difetto di prova del nesso causale con l’inadempimento, c) quelli relativi ai solai di copertura dell’edificio anulare, per mancanza di specifiche censure, d) quelli relativi ai lavori previsti dalla seconda perizia di variante, per difetto di specificità delle censure.

2.14. La Corte ha confermato inoltre l’infondatezza della domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, proposta dal Comune in relazione all’indisponibilità delle parti dell’edificio non terminate in vista dell’anno giubilare 2000, osservando che a tal fine sarebbe stata necessaria la dimostrazione di almeno alcuni dei presupposti necessari per il conseguimento del vantaggio sperato ed impedito dalla condotta illecita, nonchè del nesso causale tra la stessa ed il danno, e rilevando la mancata allegazione dei dati occorrenti per una liquidazione equitativa, non aventi carattere di notorietà.

2.15. Ha rigettato infine la domanda di risarcimento del danno all’immagine, fondata sul giudizio negativo diffusosi nell’opinione pubblica relativamente alla capacità dell’Amministrazione di portare a compimento l’opera, confermando l’insufficienza, ai fini della relativa prova, delle notizie riportate dagli organi di stampa, in quanto non rappresentative dei convincimenti dell’opinione pubblica, ed evidenziando l’esito delle successive consultazioni elettorali, che non avevano fatto registrare la sconfitta o l’arretramento della maggioranza che amministrava la città all’epoca della vicenda.

3. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la Compagnie Franaise D’Assurance pour le Commerce Exterieur S.a. (succeduta alla Coface a seguito di fusione per incorporazione con atto per notaio N.A. del 23 ottobre 2012, rep. n. 98710), per quattro motivi, e il curatore del Fallimento della (OMISSIS), per sette motivi, nonchè la P. & C., la M. e la Gavazzi, per quattro motivi. Hanno resistito con controricorsi Roma Capitale (già Comune di Roma), la Carena, l’arch. Pi.Re. e la R.P. Building Workshop S.a.s. (già R.P. Building Workshop S.e.l.a.f.a.). Roma Capitale e la Carena hanno proposto anche ricorsi incidentali, articolati rispettivamente in sei e quattro motivi, ai quali hanno resistito con controricorsi il curatore, l’arch. Pi. e la RPBW. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. Le parti costituite hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va disposta, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi, proposti separatamente, ma aventi ad oggetto l’impugnazione della medesima sentenza.

2. Si rileva inoltre che le impugnazioni della P. & C. e del Fallimento, pur risultando successive alla notificazione di quella della Compagnie Franaise d’Assurance pour le Commerce Exterieure, effettuata il 29 maggio 2014, non sono state proposte in via incidentale con controricorsi, come prescritto dall’art. 371 c.p.c., ma in via principale, con autonomi ricorsi, consegnati per la notifica rispettivamente il 12 ed il 14 giugno 2014. A ciascuno dei ricorsi Roma Capitale ha invece replicato con controricorso, proponendo a sua volta ricorsi incidentali, notificati rispettivamente il 14, il 24 ed il 23 luglio 2014, mentre il controricorso della Carena, anch’esso contenente un ricorso incidentale, risulta consegnato per la notifica il 14 luglio 2014. Orbene, il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza, consacrato nell’art. 333 c.p.c., comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo, e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tale modalità non può peraltro considerarsi essenziale, in assenza di un’espressa indicazione di legge, per cui ogni ricorso successivo al primo può convertirsi, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità risulta tuttavia condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., prescindendosi invece dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi (cfr. Cass., Sez. III, 9/02/2016, n. 2516; 16/11/2010, n. 23095; Cass., Sez. lav., 20/03/2015, n. 5695). Conformemente a tale principio, che non trova deroghe nè con riguardo all’impugnazione di tipo adesivo proposta dal litisconsorte dell’impugnante principale ed avente la medesima finalità di rimuovere il capo della sentenza sfavorevole ad entrambi, nè con riguardo all’impugnazione proposta contro una parte diversa da quella impugnante o avverso capi della sentenza diversi da quelli che costituiscono oggetto dell’impugnazione principale, può escludersi, nel caso di specie, che la proposizione nella forma del ricorso principale comporti l’inammissibilità delle impugnazioni proposte dal Fallimento e dalla P. & C., le quali risultano notificate entro i termini di cui agli artt. 370 e 371 c.p.c., decorrenti dalla notifica del ricorso della Compagnie Frangaise d’Assurance pour le Commerce Exterieure. Ammissibile, in quanto notificata nel rispetto dei predetti termini, deve altresì considerarsi l’impugnazione incidentale proposta da Roma Capitale a seguito di quella notificatale da quest’ultima società, mentre risultano inammissibili, in quanto successive alla scadenza dei medesimi termini, quelle proposte dalla stessa Amministrazione e dalla Carena a seguito della notificazione delle impugnazioni del Fallimento e della P. & C.: la mera circostanza che queste ultime siano state proposte nella forma del ricorso principale, anzichè in quella prescritta dall’art. 371 cit., non consente infatti di ancorare alla notificazione delle stesse, anzichè a quella della prima impugnazione, la decorrenza dei termini per il ricorso incidentale, la cui ammissibilità, per quanto riguarda quelli proposti da Roma Capitale, trova ulteriore ostacolo nel principio di consumazione dell’impugnazione, che, escludendo la possibilità di reiterare o frazionare l’iniziativa impugnatoria in più atti separati, impedisce l’impugnazione successiva delle medesime statuizioni o di statuizioni diverse di una sentenza già impugnata, così come la riproposizione dei medesimi motivi o la proposizione di censure non formulate in precedenza (cfr. Cass., Sez. U, 23/05/2008, n. 13358; Cass., Sez. III, 14/11/2006, n. 24219; 7/07/2010, n. 16016).

3. Con il primo motivo del suo ricorso, la Compagnie Frangaise d’Assurance pour le Commerce Exterieure denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 100,105,344 e 404 c.p.c. e degli artt. 1175, 1375, 1939 e 1945 c.c., osservando che, nel dichiarare inammissibile l’intervento da essa spiegato nel giudizio d’appello, in quanto qualificabile come intervento adesivo dipendente, la sentenza impugnata ha escluso l’applicabilità dell’art. 344 c.p.c., in tal modo distinguendo l’intervento previsto da tale disposizione da quello adesivo dipendente, senza spiegare le ragioni per cui essa ricorrente non avrebbe potuto proporre opposizione ai sensi dell’art. 404 c.p.c.. Premesso di aver prestato fideiussione a garanzia delle obbligazioni assunte dall’ATI nei confronti del Comune, afferma di aver interesse a non vedere pregiudicato il proprio diritto di difesa dalla sentenza emessa tra i soggetti del rapporto principale, essendo pendente il giudizio promosso dal Comune per l’escussione della garanzia, nel quale può essere fatta valere la predetta sentenza; precisato infatti che quest’ultima preclude la facoltà di far valere la nullità dell’atto aggiuntivo per contrasto con la L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 16, non rilevabile d’ufficio in quanto ritenuta coperta dal giudicato formatosi a seguito del rigetto della domanda di annullamento da parte del Giudice di primo grado, sostiene che ciò le impedisce di eccepire l’inadempimento da parte del Comune dell’obbligo di fornire alle imprese un vero e proprio progetto esecutivo.

3.1. Il motivo è infondato.

Ai sensi dell’art. 344 c.p.c., l’intervento in appello (normalmente precluso a chi non abbia partecipato al giudizio di primo grado, fatta eccezione per il successore a titolo particolare nel diritto controverso) è consentito soltanto a quei soggetti, rimasti estranei al giudizio di primo grado, che sarebbero legittimati a proporre opposizione di terzo avverso la relativa decisione; si tratta infatti di uno strumento di tutela anticipata offerto a coloro che potrebbero impugnarla ai sensi dell’art. 404 c.p.c., al fine di permettere agli stessi di far valere le loro ragioni ancor prima che sia emessa quella sentenza che potrebbe pregiudicarli: possono quindi intervenire in appello soltanto coloro che potrebbero risultare pregiudicati nei loro diritti da un determinato esito del giudizio, ovvero il creditore o l’avente causa di una delle parti che possa temere pregiudizio da una sentenza frutto di dolo o di collusione delle partì stesse in suo danno (cfr. Cass., Sez. II, 29/12/2011, n. 29766; 25/05/2006, n. 12385). Tra questi soggetti non è annoverabile il fideiussore di una delle parti, il quale non è legittimato a proporre nè l’opposizione di terzo ordinaria, prevista dell’art. 404, comma 1, non risultando titolare di un diritto incompatibile con il rapporto giuridico accertato dalla sentenza impugnata, nè l’opposizione di terzo revocatoria, prevista dal comma 2, non essendo creditore e non potendo essere considerato portatore di una situazione giuridica derivante dal rapporto obbligatorio su cui ha pronunciato la sentenza emessa nei confronti del debitore principale (cfr. Cass., Sez. Un., 11/02/2003, n. 1997). In quanto obbligato solidalmente con quest’ultimo, egli è infatti parte di un rapporto connesso all’obbligazione principale, ma distinto ed autonomo rispetto ad essa, essendo tenuto alla medesima prestazione, ma potendo il creditore agire nei confronti di ciascuno dei coobbligati per l’adempimento dell’intero debito, senza doverli necessariamente convenire in giudizio entrambi, e senza che la sentenza pronunciata soltanto nei confronti dell’uno produca effetti anche nei confronti dell’altro (cfr. Cass., Sez. II, 8/10/2018, n. 24728; Cass., Sez. I, 17/11/2016, n. 23422; Cass., Sez. III, 5/04/1974, n. 971). Nella giurisprudenza di legittimità, è d’altronde pacifico che la legittimazione a proporre opposizione di terzo ordinaria non è legata a qualsiasi pregiudizio ricollegabile alla sentenza impugnata, ma solo a quello derivante dalla titolarità di una situazione giuridica incompatibile con quella da essa accertata o costituita (cfr. Cass., Sez. III, 13/03/2009, n. 6179; Cass., Sez. II, 23/04/2007, n. 9647), ovverosia di una situazione identica a quella che nel giudizio di primo grado legittima l’intervento principale; tale non è la situazione del fideiussore, il quale è legittimato a spiegare soltanto intervento adesivo, non ammissibile quindi in appello (cfr. Cass., Sez. II, 4/12/2018, n. 31313; Cass., Sez. I, 13/12/1972, n. 3584), indipendentemente dalla configurabilità dello stesso come adesivo autonomo o dipendente, a seconda che il fideiussore solleciti una pronuncia di accertamento negativo del debito efficace anche nei propri confronti (cfr. Cass., Sez. lav., 8/07/1995, n. 7508), oppure, come nel caso di specie, si limiti a sostenere le ragioni del debitore principale (cfr. Cass., Sez. II, 30/05/2002, n. 7914; 1/12/1997, n. 12134; Cass., Sez. I, 24/03/1993, n. 3502).

Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, la quale, dato atto della qualità di fideiussore della Coface e della mancata partecipazione della stessa alla prima fase del giudizio di primo grado, conclusasi con la sentenza non definitiva, ha dichiarato inammissibile l’intervento dalla stessa spiegato nel giudizio di appello promosso avverso detta sentenza, qualificandolo come intervento adesivo. Nessun rilievo può assumere, in proposito, la contemporanea pendenza del giudizio separatamente promosso dal Comune per l’escussione della fideiussione prestata dalla Coface a garanzia dell’adempimento del contratto di appalto stipulato con l’ATI, dal momento che, in quanto pronunciata tra il creditore e la debitrice principale, senza la partecipazione del fideiussore, la predetta decisione risulta inidonea ad acquistare efficacia di giudicato nei rapporti con quest’ultimo, con la conseguenza che nel predetto giudizio non potrà considerarsi precluso l’esame delle questioni di nullità, annullabilità ed inefficacia dell’atto aggiuntivo, se ritualmente proposte.

3.2. Per converso, la conferma dell’inammissibilità dell’intervento spiegato in appello, escludendo la legittimazione della Coface ad interloquire in ordine alle questioni esaminate e risolte dalla sentenza non definitiva di primo grado, comporta l’assorbimento degli altri tre motivi dedotti con il ricorso per cassazione, con cui la Compagnie Francaise d’Assurance pour le Commerce Exterieure ha riproposto proprio e soltanto le predette questioni, censurando la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione di legge, nella parte in cui ha confermato il rigetto delle domande di accertamento della nullità dell’atto aggiuntivo per indeterminatezza dell’oggetto e contrarietà alla L. n. 109 del 1994, art. 16, di annullamento dello stesso per errore di fatto e di accertamento dell’inefficacia per mancato avveramento della condizione implicitamente presupposta.

4. Il carattere logicamente e giuridicamente prioritario di tali questioni, riproposte in questa sede anche dal curatore del Fallimento della (OMISSIS) e dalle imprese mandanti dell’ATI, impone poi di procedere all’esame del quarto, del quinto e del sesto motivo del ricorso proposto dal primo e del primo motivo di quello proposto dalle altre, che vanno trattati congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto problematiche strettamente connesse.

5. Con il quarto motivo del suo ricorso, il curatore denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 112 e 345 c.p.c., sostenendo che, nel ricollegare alla proposizione della domanda di risoluzione o annullamento un’implicita ammissione della validità del contratto, la sentenza impugnata ha posto sullo stesso piano due diverse azioni, la prima delle quali implica un vizio sopravvenuto, mentre la seconda, fondata su un vizio genetico, non è incompatibile con quella volta a far valere un altro vizio genetico. Trova infatti applicazione, al riguardo, la disciplina dei limiti oggettivi del giudicato, che impedisce di far valere i fatti dedotti e deducibili, ma non si estende ai profili pregiudiziali in senso logico, i quali non sono coperti dal giudicato, in quanto la relativa decisione è resa in via incidentale. Nel ritenere precluso il rilievo della nullità, la Corte di merito non ha tenuto conto della disciplina delle eccezioni nuove, sempre ammissibili in sede di gravame, se riflettenti questioni rilevabili d’ufficio, ben potendo il giudice pronunciarsi incidentalmente sulle stesse al solo scopo di respingere la domanda.

5.1. Con il quinto motivo, il curatore denuncia la violazione dell’art. 1421 c.c., osservando che, in quanto riguardante un profilo sottratto alla disponibilità delle parti, in ragione dell’interesse pubblico sotteso al relativo accertamento, la rilevabilità d’ufficio della nullità è incompatibile con il giudicato implicito, il quale è invece collegato all’onere della domanda, dipendendo dalla mancata impugnazione del relativo capo della sentenza. Implicando l’irrilevanza della domanda in ogni stato e grado del giudizio, essa trova conferma nell’art. 345 c.p.c., che limita l’inammissibilità in appello alle sole eccezioni non rilevabili d’ufficio.

5.2. Con il sesto motivo, il curatore deduce la violazione della L. n. 109 del 1994, artt. 16, 17 e 19 e degli artt. 1229,1346,1418 e 1965 c.c., affermando che, nell’escludere la nullità dell’atto aggiuntivo per contrarietà a norme inderogabili, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’indisponibilità dell’obbligo di redigere il progetto esecutivo prima di procedere all’affidamento dei lavori, il quale non è quindi trasferibile a carico dell’appaltatore. Premesso che, in quanto circoscritta alla mera attuazione, la collaborazione esigibile da quest’ultimo non può consistere nel completamento o nell’integrazione del progetto esecutivo, osserva che nella specie, nonostante l’uso del termine “cantierizzazione”, è stata posta a carico della appaltatrice la progettazione strutturale necessaria per il completamento dell’opera, cui la committente non aveva ancora provveduto. Ciò comporta la nullità del patto transattivo, avente ad oggetto una materia sottratta alla disponibilità delle parti, in quanto disciplinata imperativamente dalla legge, la quale vieta alla stazione appaltante di riversare sull’appaltatore l’onere di determinazione dell’oggetto del contratto, prescrivendo che alle omissioni ed agli errori progettuali si ponga rimedio mediante la redazione di una perizia di variante. Nella specie, d’altronde, l’invalidità dell’atto aggiuntivo è stata riconosciuta dalle stesse parti, le quali, precisando che l’ammontare dei diritti futuri derivanti dalla riprogettazione dell’opera non era prevedibile, hanno sostanzialmente ammesso l’indeterminatezza dell’oggetto delle rinunce compiute dall’ATI.

6. Con il primo motivo del loro ricorso, la P. & C., la M. e la Gavazzi denunciano la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., osservando che, nel ritenerla preclusa dal giudicato formatosi in ordine al rigetto della domanda di annullamento, la Corte distrettuale ha omesso di esaminare nel merito la questione di nullità dello atto aggiuntivo, sollevata da esse ricorrenti in relazione a tre distinti profili, riflettenti l’indeterminatezza dell’oggetto, la contrarietà a norme imperative e l’esonero da responsabilità per l’inadempimento di obblighi previsti da norme inderogabili.

Premesso che il rigetto della domanda di annullamento non precludeva l’esame della questione di nullità dell’atto aggiuntivo, in quanto il Giudice di primo grado aveva adottato il criterio della ragione più liquida, essendosi limitato ad escludere l’annullabilità per errore, in virtù della qualificazione dell’atto come transazione generale, affermano che tale decisione escludeva il diritto dell’attrice ad una sentenza costitutiva sull’atto, ma non impediva l’emissione di una sentenza dichiarativa dell’originaria invalidità del rapporto, non essendovi incompatibilità tra le stesse, per la diversità dei rispettivi oggetti; in quanto riferibile alle sole ragioni concretamente poste a fondamento della domanda, il giudicato non risultava d’altronde suscettibile di estensione all’intero rapporto dedotto in giudizio, avendo l’attrice manifestato inequivocabilmente la volontà di ottenere la rimozione ab origine degli effetti dell’atto.

Il giudicato formatosi in ordine al rigetto della domanda di annullamento non precludeva l’esame della questione di nullità neppure in riferimento alla L. n. 109 del 1994, artt. 16 e 17, avendo la stessa ad oggetto non già l’atto aggiuntivo, ma il capitolato speciale d’appalto, la cui validità non era stata scrutinata dal Giudice di primo grado, in quanto ritenuta preclusa dalla stipulazione dell’atto aggiuntivo. In ogni caso, l’impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva rigettato la domanda di risoluzione per inadempimento del Comune, doveva considerarsi idonea ad impedire la formazione del giudicato sia in ordine alla risoluzione che in ordine alla validità del capitolato speciale, restando la Corte d’appello automaticamente investita della questione, rilevabile d’ufficio, riguardante l’inderogabilità degli obblighi posti a carico dell’Amministrazione e le situazioni soggettive connesse.

La ritenuta preclusione della questione di nullità dell’atto aggiuntivo si è infine tradotta nell’omesso esame dell’ulteriore profilo di invalidità rappresentato dal contrasto dell’atto con l’art. 1229 c.c., comma 2, il quale, dichiarando nulle le clausole di esonero dalla responsabilità, impediva nella specie di riversare sull’appaltatrice le conseguenze di eventuali carenze progettuali, incombendo all’Amministrazione l’obbligo, previsto da norme inderogabili, di predisporre un progetto immediatamente eseguibile.

7. I predetti motivi sono fondati.

E’ opportuno premettere che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa delle imprese mandanti, la sentenza impugnata non ha affatto omesso di esaminare la questione di nullità dell’atto aggiuntivo per indeterminatezza dell’oggetto o per contrarietà alla L. n. 109 del 1994, artt. 16 e segg., avendola presa specificamente in considerazione, ma avendola ritenuta preclusa per incompatibilità con le domande di annullamento, risoluzione ed accertamento dell’inefficacia proposte dalle attrici e per effetto del giudicato formatosi a seguito del rigetto delle stesse e dell’accoglimento della domanda di pagamento, nonchè in virtù del carattere transattivo dell’atto. Pertanto, anche a voler prescindere dalla circostanza che nel giudizio di appello la predetta questione è stata sollevata soltanto in comparsa conclusionale, ed a voler quindi escludere la riconducibilità del rilievo ad un’iniziativa ufficiosa della Corte d’appello, facente seguito ad una mera sollecitazione delle appellanti, non può ritenersi sussistente nella specie il vizio di omessa pronuncia, configurabile soltanto allorchè manchi completamente il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, per avere il giudice omesso di adottare qualsiasi statuizione in ordine ad un capo della domanda o ad un’eccezione specificamente proposta da un parte (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 13/10/2017, n. 24155; 23/03/2017, n. 7472; 9/05/ 2007, n. 10636).

7.1. A fondamento dell’affermata preclusione, la sentenza impugnata ha ritenuto che la questione di nullità, non prospettata in primo grado e non fatta valere con i motivi di appello, trovasse ostacolo innanzitutto nel giudicato implicito formatosi a seguito del rigetto delle domande di annullamento, risoluzione e accertamento dell’inefficacia dell’atto aggiuntivo proposte in via principale dalle attrici, nonchè, a maggior ragione, dell’accoglimento della domanda subordinata di pagamento delle somme residue dovute in virtù del medesimo atto, il cui esame, postulando l’assenza di cause di nullità del contratto, implicava logicamente la validità di quest’ultimo. Ha aggiunto che, sotto il profilo del contrasto con le norme imperative di cui alla L. n. 109 del 1994, artt. 16 e segg., la questione impingeva anche nel giudicato interno formatosi per effetto della mancata impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva attribuito all’atto aggiuntivo natura di transazione, ritenendola preclusiva dell’eccezione di nullità del capitolato speciale d’appalto, sollevata in riferimento alle medesime disposizioni, sia pure al solo fine di far valere la responsabilità del Comune per inadempimento dell’obbligo di fornire un progetto realizzabile.

In proposito, la Corte di merito ha richiamato una nota pronuncia di questa Corte, emessa a composizione di un contrasto di giurisprudenza, con cui le Sezioni Unite, nell’affermare che il giudice di merito, investito della domanda di risoluzione, ha il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, o comunque emergenti ex actis, una volta provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del contratto, purchè non soggetta a regime speciale, hanno precisato che la decisione nel merito della causa relativa alla risoluzione comporta la formazione del giudicato implicito in ordine alla validità del contratto, fatta eccezione per il caso in cui la decisione non contenga statuizioni implicanti la predetta validità (cfr. Cass., Sez. Un., 4/09/2012, n. 14828). Alla base di tale principio vi è la considerazione che la domanda di risoluzione, al pari di quella di adempimento, presuppone logicamente l’esistenza di un contratto valido, in quanto mira ad eliminarne gli effetti, mentre la nullità costituisce un evento impeditivo che si pone prioritariamente rispetto alla vicenda estintiva della risoluzione, ed il cui rilievo d’ufficio da parte del giudice non conduce alla sostituzione dell’azione proposta con un’altra, ma fa solo emergere un’eccezione sottratta alla disponibilità delle parti, in quanto avente la funzione d’impedire che il contratto nullo, sul quale l’ordinamento esprime un giudizio di disvalore, possa spiegare i suoi effetti. La sentenza impugnata ha ritenuto che tale principio, la cui portata era stata espressamente limitata da questa Corte (con salvezza di successivi approfondimenti) all’ipotesi in cui la nullità emerga in un giudizio promosso per l’adempimento o la risoluzione del contratto, potesse essere esteso anche al caso del giudizio di annullamento, richiamando a tal fine alcune precedenti pronunce, riconducibili all’orientamento prevalso in sede di composizione del contrasto, le quali avevano evidenziato che anche la domanda di annullamento, così come quella di risoluzione o di rescissione, postula implicitamente l’assenza di ragioni che determinino la nullità del contratto (cfr. Cass., Sez. III, 7/02/2011, n. 2956; 22/03/2005, n. 6170). Tale affermazione ha trovato seguito, in epoca successiva alla composizione del contrasto, in due nuove sentenze delle Sezioni Unite, con cui queste ultime, venendo incontro alle perplessità manifestatesi in dottrina ed in giurisprudenza relativamente alla predetta limitazione, hanno infine enunciato il principio secondo cui la rilevabilità d’ufficio della nullità contrattuale riguarda tutti i giudizi relativi ad azioni d’impugnativa negoziale, indipendentemente dalle differenze strutturali delle stesse, che ne comportano la diversità sul piano sostanziale: si è infatti osservato che, sebbene l’adempimento e la risoluzione presuppongano l’esistenza di un contratto morfologicamente valido, di cui si discute soltanto quoad effecta, laddove la rescissione e l’annullamento postulano un’invalidità strutturale dell’atto, pur tuttavia temporaneamente efficace, le relative azioni risultano omogenee sul piano funzionale, avendo un comune denominatore nel riferimento alla fattispecie del negozio ad efficacia eliminabile, da ricostruirsi unitariamente, e trovando il loro fondamento nell’assunto secondo cui, non sussistendo ragioni di nullità, il giudice procede all’esame della domanda specificamente proposta (cfr. Cass., Sez. Un., 12/12/2014, n. 26242 e 26243; 22/03/2017, n. 7294; v. anche Cass., Sez. VI, 19/07/2018, n. 19251).

7.2. Nell’enunciare il predetto principio (destinato nella specie ad assumere un’importanza relativa, in considerazione della contestuale proposizione delle domande di annullamento, risoluzione ed adempimento), le Sezioni Unite hanno peraltro provveduto a definire in modo più articolato le conseguenze del mancato esercizio da parte del giudice del potere di rilevazione officiosa della nullità: hanno infatti precisato che, mentre in caso di accoglimento di una delle predette domande la pronuncia è idonea a determinare la formazione del giudicato implicito in ordine alla validità del negozio, salva la rilevazione officiosa della nullità da parte del giudice d’appello, in caso di rigetto occorre distinguere a seconda che la decisione sia o meno fondata sul criterio della “ragione più liquida”; in caso positivo, avendo il giudice omesso di scrutinare l’aspetto della validità del contratto, pur a fronte di un’istruttoria eventualmente complessa sulla questione, la pronuncia non comporta la formazione del giudicato sulla non nullità, mentre in caso negativo tale giudicato si forma, a condizione però che in motivazione il giudice si sia inequivocabilmente pronunciato in favore della validità del negozio. A sostegno di tali conclusioni, si è osservato che il nostro ordinamento positivo non riconosce cittadinanza all’idea di un giudicato implicito che postuli il rigoroso e ineludibile rispetto dell’ordine logico-giuridico delle questioni: pur ribadendosi che in linea di principio l’autorità del giudicato copre il dedotto ed il deducibile, vale a dire non solo le ragioni giuridiche dedotte in giudizio, ma anche tutte le altre, proponibili in via di azione o eccezione, le quali, benchè non dedotte specificamente, si caratterizzano per la loro inerenza ai fatti costitutivi delle pretese fatte valere, si è realisticamente riconosciuto che non sempre il rispetto dell’ordine logico nella trattazione delle questioni esprime una scelta di efficienza e coerenza processuale; rilevato che l’efficienza, la stabilità e la definitiva strutturazione della decisione dipende invece dal tipo di controversia e dal tipo di decisione che il giudice intende adottare, e costituisce un valore pregnante ma non assoluto delle decisioni stesse, si è pertanto concluso che non bisogna sovrapporre la successione cronologica delle attività di cognizione del giudice con il quadro logico della decisione complessivamente adottata in esito ad esse.

L’applicazione di tali principi alla fattispecie in esame impone innanzitutto di rilevare che la sentenza di primo grado, nel rigettare le domande di annullamento, risoluzione ed accertamento dell’inefficacia dell’atto aggiuntivo stipulato tra il Comune e l’ATI, non si era pronunciata in ordine ad eventuali cause di nullità dello stesso, ma si era limitata a prendere in considerazione i vizi dedotti dalle attrici (errore di fatto in ordine alla completezza del progetto esecutivo), ritenendone preclusa la declaratoria per effetto della natura transattiva dell’accordo, e ad escludere la configurabilità della completezza del progetto come condizione inespressa dell’atto, nonchè a valutare il comportamento successivamente tenuto dalle parti nell’esecuzione dell’appalto. La sentenza non conteneva pertanto alcun accertamento in ordine alla non nullità dell’atto aggiuntivo, idoneo a determinare la formazione del giudicato sulla relativa questione, per effetto della mancata proposizione di specifiche censure con l’atto di appello; nè la formazione del giudicato poteva essere ricollegata per implicito all’accoglimento della domanda di pagamento del residuo dovuto a titolo di corrispettivo dei lavori eseguiti, la cui impugnazione da parte del Comune, comportando la riapertura del dibattito processuale in ordine agli effetti dell’atto aggiuntivo, doveva considerarsi idonea a porre le condizioni per l’esercizio del potere officioso di rilevazione della nullità da parte del giudice di appello.

In quanto rimesso all’iniziativa di quest’ultimo, fondata su elementi desunti dagli atti, il rilievo della nullità non poteva considerarsi subordinato ad un’eccezione delle appellanti, la cui proposizione in sede di gravame è stata correttamente ritenuta irrilevante dalla Corte di merito, non trattandosi di un’eccezione in senso stretto, soggetta alla preclusione prevista dall’art. 345 c.p.c., ma di una mera difesa, proponibile anche in comparsa conclusionale (cfr. Cass., Sez. VI, 1/10/2018, n. 23796; Cass., Sez. I, 16/03/2016, n. 5249; 9/01/2013, n. 350). Ininfluente è anche la circostanza che, a seguito dell’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 101 c.p.c., comma 2, le appellanti non abbiano proposto una specifica domanda di accertamento della nullità, ma si siano limitate ad insistere sulle conclusioni precedentemente rassegnate: tale condotta processuale avrebbe infatti potuto costituire ostacolo soltanto ad una formale dichiarazione del vizio con efficacia di giudicato, ma non ne impediva l’accertamento in via incidentale, ai soli fini del rigetto delle domande fondate sul contratto.

7.3. Le predette conclusioni, conformi a quelle cui sono pervenute le Sezioni Unite nella citata pronuncia, risultano perfettamente in linea anche con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di giudicato implicito, secondo cui lo stesso si forma non già sul fatto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, con la conseguenza che l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (cfr. Cass., Sez. VI, 8/06/2018, n. 24783; 16/05/2017, n. 12202; Cass., Sez. lav., 4/02/2016, n. 2217). Nell’ottica di un rigoroso rispetto dell’ordine di trattazione delle questioni in sede di decisione, è stato d’altronde precisato che il giudicato implicito richiede, per la sua formazione, non solo che tra la questione decisa in modo espresso e quella che si vuole essere stata risolta implicitamente sia configurabile un rapporto di dipendenza indissolubile, nel senso che l’accertamento contenuto nella motivazione della sentenza cade su questioni che si presentano come il necessario presupposto logico e giuridico della decisione, ma anche che la questione decisa in modo espresso non sia stata impugnata (cfr. Cass., Sez. Un., 29/04/2003, n. 6632; Cass., Sez. lav. 6/04/2012, n. 5581; Cass., Sez. II, 27/10/2011, n. 22416): pertanto, anche a voler ritenere, in contrasto con quanto affermato dalle Sezioni Unite, che l’accoglimento della domanda di pagamento implicasse, nella specie, l’accertamento della validità dell’atto aggiuntivo, quale premessa logica indispensabile per l’operatività dello stesso, dovrebbe ugualmente concludersi che l’intervenuta impugnazione di tale statuizione da parte del Comune ha impedito la formazione del giudicato, aprendo conseguentemente la strada per la rilevazione della nullità da parte del Giudice di secondo grado.

7.4. Quanto all’ulteriore preclusione rilevata dalla sentenza impugnata, derivante dalla mancata impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva riconosciuto all’atto aggiuntivo natura di transazione, in quanto volto a definire le contestazioni insorte relativamente alla completezza del progetto esecutivo, e l’aveva ritenuto quindi idoneo a precludere la questione di nullità del capitolato speciale per contrarietà alla L. n. 109 del 1994, artt. 16 e segg., è sufficiente rilevare che la formazione del giudicato implicito in ordine a tale affermazione era impedita dal tenore delle censure sollevate con l’atto di appello: le appellanti, infatti, oltre ad aver contestato la qualificazione attribuita all’atto aggiuntivo, quanto meno al fine di ottenerne l’annullamento per errore di fatto, avevano fatto valere, ai fini della risoluzione dell’appalto per inadempimento del committente, l’obbligo di quest’ultimo di fornire un progetto esecutivo immediatamente realizzabile; a sostegno di questa tesi, avevano posto in risalto il carattere imperativo delle norme invocate, osservando che le stesse impedivano di trasferire il predetto obbligo a carico dell’appaltatrice, e sollevando in tal modo una questione che non investiva esclusivamente il capitolato speciale, ma si estendeva allo stesso atto aggiuntivo, del quale veniva contestata, in buona sostanza, proprio la validità, in riferimento all’art. 1972 c.c. e quindi l’idoneità a spiegare l’effetto preclusivo invocato dal Comune. Nel ritenere che la sentenza di primo grado fosse rimasta incensurata nella parte in cui aveva accolto l’eccezione del Comune, la Corte di merito non ha pertanto valutato adeguatamente la portata dei motivi di gravame, non circoscritti alla validità del capitolato speciale d’appalto nè all’esecuzione dell’accordo transattivo, ma riflettenti anche la nullità di quest’ultimo, la cui idoneità a definire una volta per tutte la questione progettuale avrebbe dovuto conseguentemente essere scrutinata nel merito.

8. L’accoglimento delle predette censure impone di procedere all’esame di quelle sollevate da Roma Capitale con il primo motivo del ricorso incidentale, anch’esso riflettente una questione connessa alla nullità dell’atto aggiuntivo, ed avente carattere condizionato, in quanto proposto per l’ipotesi di accoglimento del ricorso principale.

9. Con tale motivo, l’Amministrazione deduce la violazione degli artt. 1418,1421 e 2907 c.c. e degli artt. 99,112 e 345 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che, nonostante il rigetto della domanda di annullamento dell’atto aggiuntivo da parte del Giudice di primo grado, il rapporto di strumentalità tra la stessa e quella di risoluzione del contratto di appalto legittimasse il rilievo d’ufficio della nullità dell’atto aggiuntivo, senza tener conto dell’autonomia della domanda di annullamento, avente carattere non già subordinato, ma concorrente rispetto a quella di nullità.

9.1. Il motivo non merita accoglimento, per le medesime ragioni esposte in riferimento ai ricorsi del curatore del Fallimento e delle imprese mandanti, e segnatamente per l’evidenziata omogeneità funzionale delle azioni d’impugnativa negoziale, che ha indotto le Sezioni Unite di questa Corte al superamento dei dubbi manifestati in ordine alla possibilità di estendere anche al giudizio di annullamento la rilevabilità di ufficio della nullità del contratto, precedentemente circoscritta al giudizio di risoluzione, ponendo fine al contrasto di opinioni determinatosi tra le Sezioni semplici in virtù delle differenze strutturali rilevate tra le due azioni. Premesso che tra la fattispecie della nullità e quella dell’annullabilità esiste una relazione reciprocamente conflittuale, che ne esclude qualsivoglia coesistenza o concorrenza, si è ritenuto infatti incontestabile, al di là delle discussioni circa la validità/invalidità dell’atto annullabile (del quale è stata senz’altro riaffermata la duplice dimensione di invalidità/efficacia caducabile), che lo stesso sia produttivo di effetti, osservandosi che presupposto necessario della fattispecie dell’annullabilità è proprio l’esistenza e la produzione di effetti negoziali eliminabili ex tunc, e concludendosi pertanto per l’assimilabilità, sotto il profilo teleologico, della relativa azione a quella volta ad ottenere la caducazione di negozi validi ed inizialmente efficaci, ma vulnerati nella dimensione funzionale del sinallagma (cfr. Cass., Sez. Un., 12/12/2014, n. 26242). Alla stregua di tale assimilazione, non può dunque assumere alcun rilievo la circostanza che, proprio in considerazione delle incertezze emerse nella giurisprudenza di legittimità, la sentenza impugnata abbia preferito ricollegare il rilievo d’ufficio della nullità dell’atto aggiuntivo all’avvenuta proposizione delle domande di risoluzione ed adempimento, prescindendo dalla contestuale formulazione dell’azione di annullamento, la quale, alla luce delle precisazioni compiute dalle Sezioni Unite, non avrebbe affatto impedito l’esercizio del potere di cui all’art. 1421 c.c..

10. Va poi esaminato il secondo motivo del ricorso proposto dalla P. & C., dalla M. e dalla Gavazzi, con cui le stesse lamentano l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nell’escludere la nullità dell’atto aggiuntivo per indeterminatezza dell’oggetto, la Corte distrettuale ha richiamato le considerazioni svolte in altre parti della sentenza, nessuna delle quali risulta tuttavia riferibile alla predetta questione, avendo le stesse ad oggetto, rispettivamente, l’errore sulla completezza del progetto esecutivo, quale causa di annullamento dell’atto aggiuntivo, e l’inefficacia di quest’ultimo per difetto di presupposizione. In ogni caso, la predetta statuizione si pone in contrasto con gli artt. 1325 c.c., n. 3, artt. 1346,1418 c.c. e art. 1966 c.c., comma 2, dal momento che con l’atto aggiuntivo l’appaltatrice non si è limitata a rinunciare alle riserve iscritte in contabilità fino a quel momento, ma ha rinunciato a far valere anche future ed eventuali pretese, la cui esistenza e consistenza non erano prevedibili all’epoca della sottoscrizione dell’atto.

10.1. Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

L’esclusione della nullità dell’atto aggiuntivo per indeterminatezza dello oggetto (configurabile come un’ulteriore ratio decidendi della sentenza impugnata, alternativa al giudicato implicito derivante dalla mancata impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva esteso a tale profilo l’efficacia preclusiva della transazione), è stata correttamente giustificata dalla Corte di merito mediante il richiamo all’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di transazione, secondo cui le reciproche concessioni alle quali si riferisce l’art. 1965 c.c., comma 1, possono riguardare non solo una lite in atto, ma anche controversie future non ancora instaurate, che le parti intendono prevenire, ed eventuali danni non ancora manifestatisi, sicchè, ove l’atto faccia riferimento a situazioni litigiose future, la transazione si estende anche ad esse, con il solo limite della loro ragionevole prevedibilità (cfr. Cass., Sez. III, 12/10/2011, n. 20981; 10/06/2005, n. 12320; 17/01/2003, n. 615). Tale prevedibilità è stata nella specie ricollegata al tempo trascorso tra l’inizio dei lavori e la stipulazione dell’atto aggiuntivo, ed all’avvenuta acquisizione da parte dell’ATI di una sufficiente conoscenza delle lacune progettuali che avevano dato luogo ai contrasti con l’Amministrazione committente, nonchè alla capacità tecnica dell’appaltatrice, che, consentendole di valutare le conseguenze delle predette lacune e dei rimedi concordati, nonchè di stimare orientativamente l’importo delle future riserve, ha indotto la Corte di merito a concludere che le stesse potevano costituire oggetto di valida rinuncia.

Nel censurare il predetto apprezzamento, riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo del vizio di motivazione, le ricorrenti non sono in grado d’indicare lacune argomentative o incongruenze logiche del ragionamento seguito dalla Corte di merito, ma si limitano a contestarne le modalità di articolazione, le quali, pur consistendo in parte nel richiamo ad argomentazioni svolte con riferimento ad altre questioni, non impediscono la ricostruzione dell’iter logico-giuridico che ha condotta alla decisione adottata. Nell’insistere sull’imprevedibilità delle riserve future, esse si astengono poi dall’indicare circostanze di fatto eventualmente trascurate dalla Corte d’appello, in tal modo dimostrando di voler sollecitare una nuova valutazione della questione, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, nonchè la coerenza logica delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora denunciabili con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. Tale disposizione circoscrive infatti le carenze motivazionali denunciabili con il ricorso per cassazione ai soli casi di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto del dibattito processuale e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, o a quelli in cui il vizio si converte in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4: resta pertanto esclusa la possibilità di estendere l’ambito di applicazione della norma in esame al di fuori delle ipotesi, nella specie neppure prospettate, in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma risulti meramente apparente, perplessa, o costituita da argomentazioni talmente inconciliabili da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. lav., 17/05/2018, n. 12096; Cass., Sez. III, 12/10/2017, n. 23940).

11. Il rigetto del predetto motivo comporta l’assorbimento del secondo motivo del ricorso incidentale di Roma Capitale, proposto anch’esso in via condizionata, per l’ipotesi di accoglimento del ricorso principale, e riflettente l’omessa provocazione del contraddittorio tra le parti in ordine alla questione di nullità dell’atto aggiuntivo per indeterminatezza dell’oggetto.

L’accoglimento del quarto, del quinto e del sesto motivo del ricorso del curatore del Fallimento e del primo motivo del ricorso delle imprese mandanti comporta a sua volta l’assorbimento dei primi tre motivi e del settimo del primo ricorso e degli ultimi due motivi del secondo, riguardanti la valutazione del comportamento delle parti, ai fini della risoluzione per inadempimento del contratto di appalto, e la liquidazione del corrispettivo dei lavori eseguiti e dei danni; restano altresì assorbiti gli ultimi quattro motivi del ricorso incidentale di Roma Capitale, il primo dei quali, proposto anch’esso in via condizionata, riguarda l’annullamento per errore dell’atto aggiuntivo, mentre gli altri attengono alla liquidazione dei corrispettivo e dei danni.

12. La sentenza impugnata va pertanto cassata, in relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

riuniti i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso della Compagnie Franaise d’Assurance pour le Commerce Exterieure S.a.; dichiara inammissibili i ricorsi incidentali proposti da Roma Capitale nei confronti del Fallimento della (OMISSIS) S.p.a., dell’Ingg. P. & C. S.p.a. in liquidazione, della M. Costruzioni S.r.l. e della C.G. Impianti S.p.a., e quello proposto dall’Impresa di Costruzioni Carena S.p.a.; accoglie il quarto, il quinto ed il sesto motivo del ricorso proposto dal Fallimento della (OMISSIS) S.p.a. ed il primo motivo del ricorso proposto dall’Ingg. P. & C. S.p.a. in liquidazione, dalla M. Costruzioni S.r.l. e dalla C.G. Impianti S.p.a.; rigetta il secondo motivo di quest’ultimo ricorso, ed il primo motivo del ricorso incidentale condizionato proposto da Roma Capitale nei confronti della Compagnie Frangaise d’Assurance pour le Commerce Exterieure S.a.; dichiara assorbiti tutti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cuì demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della Compagnie Frangaise d’Assurance pour le Commerce Exterieure S.a., di Roma Capitale e dell’Impresa di Costruzioni Carena S.p.a., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed i ricorsi incidentali dichiarati inammissibili, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2019

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