Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22067 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 11/09/2018, (ud. 08/05/2018, dep. 11/09/2018), n.22067

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16061/2017 proposto da:

L.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ANGELA ALIANI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BARI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA AGOSTINO RICHELMY 38, presso lo studio

dell’avvocato GIANCARLO GENTILE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PASQUALE LIBERO PALMIERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 537/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 03/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 08/05/2018 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Dato atto che il Collegio ha disposto la motivazione semplificata.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte di Appello di Bari ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di risarcimento danni proposta dalla L. nei confronti del Comune di Bari, in relazione alle lesioni sofferte dall’attrice a seguito di una caduta che sarebbe stata causata dalla sconnessione di un marciapiede;

la Corte ha ritenuto che le contraddizioni emerse nelle deposizioni testimoniali e le lacune mnemoniche dell’attrice inducessero “gravi elementi di incertezza sulla ricostruzione del sinistro contribuendo a rendere gravemente insufficiente il quadro probatorio del nesso eziologico”;

ha proposto ricorso per cassazione la L., affidandosi a quattro motivi; ha resistito il Comune di Bari con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere la Corte pronunciato sul secondo motivo di appello, con cui era stata dedotta la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione al profilo della mancata contestazione della dinamica dell’infortunio;

il motivo è infondato, in quanto la Corte ha dichiaratamente proceduto all’esame congiunto dei primi quattro motivi di gravame, tutti concernenti la prova del nesso di causalità, e non v’è evidenza che non abbia tenuto conto anche del secondo motivo, ancorchè disattendendo implicitamente l’ipotesi della non contestazione nel momento in cui ha ritenuto di dover valutare l’esito delle deposizioni testimoniali e dell’interpello dell’attrice;

col secondo motivo (che deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 167 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.), la ricorrente lamenta (in via subordinata, per il caso di rigetto del primo motivo) la violazione del principio di non contestazione in quanto la Corte aveva indagato “la sussistenza/prova del nesso causale senza avvedersi che tra le parti, sin dal primo grado, era chiaro e pacifico che la ricorrente fosse caduta sul marciapiede, a causa dello stesso e che avesse riportato lesioni al polso”;

il motivo è infondato, poichè – diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente – i passaggi della comparsa di costituzione del Comune trascritti in ricorso danno conto della contestazione da parte del convenuto, che aveva espressamente manifestato “perplessità sull’effettiva dinamica del sinistro”, evidenziando, fra l’altro, che il marciapiede esaminato dopo la denuncia del sinistro – non aveva presentato alcuna mattonella sconnessa, nè segni di interventi riparativi recenti;

col terzo motivo (“violazione e falsa applicazione artt. 2051,2727 c.c.”), la ricorrente censura la sentenza per avere ritenuto che vi erano gravi elementi di incertezza sulla ricostruzione del sinistro, tali da determinare l’insufficienza della prova sul nesso causale, senza tuttavia preoccuparsi di “verificare, come avrebbe dovuto fare, che la prova poteva dirsi raggiunta anche sulla scorta del ragionamento presuntivo”;

il motivo è inammissibile, in quanto non individua specificamente alcuna violazione delle norme richiamate in rubrica e si risolve nella sollecitazione a una diversa lettura degli elementi istruttori da effettuare alla luce del ragionamento presuntivo, senza peraltro individuare elementi idonei a integrare univocamente presunzioni gravi, precise e concordanti;

il quarto motivo (che deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, individuato nella circostanza che il 12.4.1997 la ricorrente si era recata effettivamente presso il Pronto Soccorso del Policlinico di (OMISSIS) ed era stata curata per le lesioni al polso causate dalla caduta accidentale sul manto stradale) è parimenti inammissibile in quanto anch’esso volto a sollecitare una “rivisitazione” del merito sull’assunto che l’effettività delle lesioni riscontrate al Pronto Soccorso deporrebbe nel senso della veridicità della dinamica, senza tener conto che la circostanza della lesione al polso, quand’anche conseguente a caduta, è priva di significatività in merito alle cause dell’infortunio;

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002 , art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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