Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22066 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/10/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 13/10/2020), n.22066

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35996-2018 proposto da:

AIR ITALY SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

21/23, presso lo studio dell’avvocato CARLO BOURSIER NIUTTA, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENRICO BOURSIER

NIUTTA, ANTONIO ARMENTANO;

– ricorrenti –

contro

G.K., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati MARIO ANTONIO FEZZI, STEFANO CHIUSOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 619/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 11/06/2018 r.g.n. 1381/2015.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

G.K. aveva adito il Tribunale di Milano per conseguire, nei confronti di Meridiana Fly s.p.a. una pronuncia dichiarativa dell’illegittimità del contratto di lavoro somministrato stipulato con la società inglese Contractair, in relazione al periodo 18.5.2006-18.11.2006, con riconoscimento della sussistenza, nei confronti della utilizzatrice, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e di condanna al pagamento delle consequenziali spettanze retributive.

In esito all’accoglimento di dette domande – decorrenti, quanto alle richieste spettanze retributive, dal 26/3/2010, data della messa in mora il lavoratore proponeva ricorso nei confronti della Meridiana Fly innanzi al Tribunale di Busto Arsizio, instando affinchè la retribuzione dovutagli dalla predetta decorrenza, fosse determinata alla stregua del parametro di quella applicata dalla agenzia di somministrazione e che la convenuta società fosse condannata al pagamento dell’importo di Euro 37.816,61 a titolo di risarcimento del danno, per il periodo decorrente dal di della messa in mora (26/3/2010) sino a quella di effettivo ripristino del rapporto (14/11/2010) e della somma di Euro 27.723,00 in relazione al periodo maturato dalla data di reintegrazione (15/11/2010), sino a quella della ultima busta paga ricevuta (31/3/2011).

Il Tribunale respingeva integralmente il ricorso.

Detta pronunzia veniva riformata dalla Corte distrettuale che, con sentenza resa pubblica in data 11/6/2018 dichiarava il diritto dell’appellante a percepire la retribuzione mensile di Euro 10.115,01 corrispondente a quella erogata dalla società somministratrice e disponeva condanna della società al pagamento in favore dell’appellante, degli importi richiesti per i titoli descritti.

Osservava a fondamento del decisum, che con l’art. 27, comma 2, il legislatore aveva inteso disporre, unicamente ai fini della “costituzione del rapporto alle dipendenze dell’utilizzatore, la mera sostituzione di diritto del datore di lavoro-fornitore, con il soggetto utilizzatore delle prestazioni, così rimanendo invariati gli altri elementi contrattuali, ivi compreso quello inerente il trattamento retributivo”. La Corte rilevava al riguardo che Meridiana Fly s.p.a. era subentrata nel rapporto così come gestito dall’interposto, sicchè, in considerazione del principio di irriducibilità della retribuzione, doveva concludersi che la stessa era obbligata a corrispondere il trattamento retributivo già applicato dal somministratore Contractair.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la s.p.a. Air Italy (già s.p.a. Meridiana Fly) sulla base di unico motivo.

Resiste la parte intimata con controricorso, successivamente illustrato da memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con unico motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27,artt. 2103 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si deduce che, con il richiamato art. 27, il legislatore del 2003 ha certamente inteso stabilire che gli atti di gestione del rapporto di lavoro posto in essere dal somministratore, siano attribuiti all’utilizzatore, ma sotto altro profilo, ha circoscritto “tale eccezionale situazione soltanto al periodo di durata della somministrazione”.

Si argomenta poi, che in caso di accertamento con sentenza, di irregolarità della somministrazione, il datore di lavoro che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore è vincolato agli atti di gestione esclusivamente nel periodo ricompreso fra l’inizio della somministrazione e la pronuncia che ne abbia accertato l’irregolarità, restando libero di strutturare il rapporto costituito giudizialmente in capo ad esso, secondo la disciplina applicata nella propria azienda.

Si stigmatizza, quindi, la statuizione con la quale i giudici del gravame hanno ritenuto vulnerato nella specie, il principio di irriducibilità della retribuzione, sul rilievo che lo stesso non costituisce un generale principio ordinamentale.

2. Il motivo è fondato per le ragioni di seguito esposte.

Devesi preliminarmente osservare come l’art. 12 preleggi, nel dettare i criteri legislativi di interpretazione, stabilisca, anzitutto, che, nell’applicare la legge, non si può ad essa attribuire altro senso se non quello fatto palese: a) dal “significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” (criterio cosiddetto di interpretazione letterale); b) dalla “intenzione del legislatore” (criterio cosiddetto di interpretazione teleologica).

L’interprete, in forza dei suddetti criteri, deve acquistare la conoscenza della determinazione legislativa, tenendo presente come, nei diversi sistemi giuridici, alcune proposizioni siano ripetute e conclamate con costanza: una di queste è la regola (evidenziata dal citato art. 12) per cui, nel procedere all’interpretazione della legge, occorre attenersi innanzitutto e principalmente al aato letterale.

Anche se il criterio di interpretazione teleologica tende a questo risultato, le parole sono solo il mezzo attraverso il quale si esprime “l’intenzione del legislatore”; e come tali vanno interpretate, ma non fino al punto di attribuire alla norma un senso diverso da quello che, dal contesto della legge, risulta corrispondere alla finalità che la norma si propone. Il primato dell’interpretazione letterale è, infatti, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis, vedi Cass. 26/2/1983 n. 1482; Cass. 7/4/1985 n. 2454). L’interpretazione da seguire deve essere, dunque, quella che risulti il più possibile aderente al senso letterale delle parole, nella loro formulazione tecnico giuridica.

Muovendo da tali premesse, deve ritenersi che la Corte di merito sia pervenuta a non corrette conclusioni giuridiche.

Ed invero, la disposizione scrutinata di cui all’art. 27 D.Lgs. cit. prevede che quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli artt. 20 e 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione.

Nelle ipotesi di cui al comma 1, tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione.

3. Orbene, pur dandosi atto che il legislatore abbia inteso stigmatizzare la violazione dei limiti sanciti dagli artt. 20 e 21, con la sanzione della nullità del contratto – coerente con la possibilità consentita al lavoratore di agire per ottenere la costituzione del rapporto, ab origine, alle dipendenze dell’utilizzatore, e con la circostanza che tale azione può essere esperita anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore come si legge nel cit. art. 27, comma 1, ipotesi che escluderebbe l’annullabilità del contratto, non potendo questa essere pronunciata se non in contraddittorio di tutte le parti del contratto da annullare (cfr. Cass. n. 17540/2014 in motivazione) – non può sottacersi che la relazione biunivoca fra questi soggetti del rapporto trilatero di somministrazione, in relazione agli atti di gestione del rapporto di lavoro, appaia limitata al periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, considerato che, quale datore di lavoro, è il somministratore il soggetto tenuto all’obbligo retributivo (fatto salvo il rimborso dei relativi oneri da parte dell’utilizzatore).

Tuttavia, nel momento in cui la struttura trilatera del rapporto viene meno, per effetto della irregolarità del contratto di somministrazione giudizialmente accertata, appare consequenziale che il soggetto il quale sia stato utilizzatore della prestazione del lavoratore, sia libero di gestire il rapporto di lavoro in autonomia secondo le regole che rinvengono applicazione nell’ambito dell’assetto organizzativo aziendale in cui la prestazione del lavoratore viene ad inserirsi.

Ciò in quanto, al di là di ogni questione inerente all’inquadramento del vizio che ha ingenerato la irregolarità del rapporto, si determina comunque la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro con l’utilizzatore, trattandosi – come affermato in dottrina – di un rapporto ordinario, il quale si differenzia da quello precedente, che era speciale, in quanto funzionale alla somministrazione del lavoratore.

4. Una diversa opzione ermeneutica condurrebbe alla incongrua conclusione che il trattamento economico e normativo applicato da parte del somministratore, dovrebbe rimanere intangibile, pur a seguito dell’inserimento del lavoratore in una diversa compagine organizzativa, ed anche a prescindere da qualsivoglia mutamento nell’esecuzione della prestazione.

Detto inserimento comporta, invece, un adeguamento della obbligazione lavorativa in relazione all’assetto organizzativo disposto dalla parte già “utilizzatrice” della prestazione, con conseguente applicazione del trattamento economico (retribuzione ordinaria, indennità, premi), e normativo (sede, orari di lavoro, turni, permessi…) sancito dalla disciplina legale e collettiva in vigore presso il nuovo datore di lavoro. Dalla costituzione di un rapporto di lavoro con il soggetto che aveva rivestito il ruolo di utilizzatore, discende, quindi, coerente, l’applicazione al rapporto di tutta la disciplina legale e collettiva in vigore presso il nuovo datore di lavoro.

E tali approdi si rendono vieppiù ineludibili ove – così come verificatosi nella specie – il lavoratore sia stato assunto dalla società di somministrazione, con contratto di lavoro secondo norme di diritto straniero. Le condizioni di contratto che definiscono il rapporto di lavoro in somministrazione, non possono, invero, integrare alcun valido riferimento ai fini della presente decisione, giacchè l’applicazione di un “contratto collettivo nazionale” a disciplina del rapporto con il nuovo datore di lavoro, esclude in radice l’estensibilità del trattamento normativo ed economico applicato ai lavoratori assunti dalla Contractair, in base a disposizioni di norma e di contratto che non siano nazionali.

5. A conforto di quanto sinora esposto, va rimarcato come la problematica esaminata tragga una significativa analogia con la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c., comma 3.

Ed invero, in tale disposizione il richiamo ai contratti collettivi nazionali applicabili deve intendersi riferito ai contratti che risultano adottati dall’acquirente al momento del trasferimento; opinione questa fatta propria dai giudici di legittimità secondo i quali, allorquando il cessionario applichi un c.c.n.l., quest’ultimo sostituisce immediatamente e totalmente la disciplina collettiva vigente presso il cedente, anche laddove contenga una disciplina peggiorativa rispetto a quella contenuta nel contratto collettivo applicato presso il cedente (vedi Cass. 29/9/2015 n. 19303, Cass. 13/9/2006 n. 19564, Cass. 1/2/2006 n. 2240), così realizzandosi un equo contemperamento fra il principio di libertà di impresa (consacrato dall’art. 41 Cost.), e il diritto del lavoratore a conseguire un giusto trattamento normativo e retributivo (diritto sancito dagli artt. 4 e 36 Cost.).

Ai sensi dell’art. 2112 c.c. i dipendenti transitati sono infatti soggetti al contratto collettivo applicabile presso la società cessionaria, anche se più sfavorevole, atteso il loro inserimento nella nuova realtà organizzativa e nel mutato contesto di regole, anche retributive, potendo rinvenire applicazione l’originario contratto collettivo nel solo caso in cui presso la cessionaria i rapporti di lavoro non siano regolamentati da alcuna disciplina collettiva; ipotesi questa, non verificatasi nella fattispecie qui scrutinata, in cui questa carenza non è ravvisabile ed in cui il lavoratore neanche ha invocato la conclusione inter partes, di una pattuizione individuale recante il trattamento economico oggetto di rivendicazione nel presente giudizio.

Sulla scia delle summenzionate considerazioni, viene quindi a caducarsi ogni sostegno giuridico al richiamo disposto dalla Corte di merito, ad un principio di irriducibilità della retribuzione che – peraltro – l’art. 2103 c.c. pro tempore vigente, riferisce all’aspetto qualitativo della prestazione (cfr. Cass. 15/2/1996 n. 1175), nello specifico neanche prospettata dal lavoratore.

In definitiva, al lume delle superiori argomentazioni, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa va rimessa ad altro giudice di appello, designato in dispositivo il quale, nel procedere al riesame della controversia, si atterrà ai principi innanzi esposti.

Al medesimo giudice va demandata la regolamentazione delle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

 

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