Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22065 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/10/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 13/10/2020), n.22065

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11147-2018 proposto da:

B.R., G.G., F.V., A.P.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI GRACCHI 209, presso lo

studio degli avvocati PATRIZIA PELLICCIONI, e ALBERTO BUZZI, che li

rappresentano e difendono;

– ricorrenti –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., (già FERROVIE DELLO STATO SOCIETA’

DI TRASPORTI E SERVIZI PER AZIONI), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI RIPETTA 22, presso lo studio LEGALE GERARDO VESCI & PARTNERS,

rappresentata e difesa dall’avvocato GERARDO VESCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4670/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/12/2017 R.G.N. 5733/2013.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore:

 

Fatto

RILEVA

che:

con ricorso depositato il 21 agosto 2013 RETE FERROVIARIA ITALIANA S.p.a., già Ferrovie dello Stato società di trasporti e servizi per azioni, appellava la sentenza in data 28 maggio 2013, con la quale il giudice del lavoro di Roma, in accoglimento delle domande proposte dagli attori B.R., A. Pierluigi, F.V. e G.G., era stato dichiarato il diritto di costoro, in ragione delle mansioni ritenute di fatto svolte, all’inquadramento nella nona categoria, profilo professionale caposettore stazioni con decorrenza dal 1 settembre 1999 per il B., dal 1 ottobre 2002 per l’ A., dal 10 luglio 2002 per il F. e dall’otto luglio 2002 per il G., con la condanna della società convenuta al pagamento delle somme ivi precisate quali differenze retributive conseguenti al più elevato inquadramento riconosciuto, come richieste in relazione al periodo non prescritto decorrente dal quinquennio anteriore a ricevimento delle lettere di rivendicazione da ciascuno di essi inviate alla società di cui erano dipendenti, oltre accessori di legge spese di lite;

l’appellante aveva sostenuto l’erroneità dell’impugnata pronuncia, in quanto fondata su un’analisi delle risultanze istruttorie carente e lacunosa, laddove un corretto esame sia della documentazione prodotta sia delle acquisite deposizioni testimoniali rilevava incontrovertibilmente l’esattezza degli inquadramenti attribuiti agli appellati nell’ottava categoria con il profilo di capostazione soprintendente, rientrando appieno le mansioni da essi svolte come dirigenti centrali (DC), poi dirigenti centrali operativi (DCO, nuova denominazione assunta dalla medesima figura professionale), presso l’ufficio dirigenza centrale operativa di (OMISSIS), nelle relative previsioni contrattuali collettive di cui al c.c.n.l. 1990-02 e all’accordo sindacale del 26 luglio 1991, oltre che successivamente del c.c.n.l. 2003, quest’ultimo affatto non considerato dal tribunale, come confermato anche da ripetuti accordi sindacali intervenuti nel tempo, tra i quali quelli concernenti la determinazione del fabbisogno organico del suddetto Ufficio (OMISSIS) di inserimento degli odierni appellati. Inoltre, Rete Ferroviaria Italiana aveva lamentato l’attribuzione delle somme rivendicate quali esposte nei conteggi allegati al ricorso introduttivo del giudizio sostenendo che erroneamente essi non fossero stati specificamente contestati da parte convenuta;

la Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 4670 del 18 ottobre – 12 dicembre 2017 riformava l’impugnata pronuncia con il rigetto delle domande di cui al ricorso introduttivo del giudizio, compensate integralmente le spese di lite per entrambi i gradi;

avverso la pronuncia d’appello hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti signori B., A., F. e G. come dato del 13-16 aprile 2018, affidato ad un solo articolato motivo, cui ha resistito l’anzidetta S.p.a. RETE FERROVIARIA ITALIANA (già F.S. soc. di trasporti e servizi per azioni – per brevità d’ora in avanti RFI), mediante controricorso notificato a mezzo posta elettronica certificata del 22 maggio 2018;

entrambe le parti hanno in seguito depositato memorie illustrative in vista dell’adunanza collegiale, fissata in camera di consiglio per il 28 novembre 2019.

Diritto

CONSIDERATO

che:

i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., richiamando in primo luogo alcuni precedenti di questa Corte (Cass. nn. 20015/12, 3547/16 e 15685/16), con i quali erano stati decisi altri ricorsi di RFI avverso altrettante pronunce della Corte capitolina, che in materia d’inquadramento del personale ferroviario impiegato nelle mansioni di dirigente centrale avevano statuito il diritto al superiore inquadramento rivendicato negli stessi termini di cui al caso di specie qui in esame, mentre l’impugnata sentenza n. 4670/17 si era irragionevolmente ed erroneamente discostata dai suoi stessi precedenti, soprattutto in ordine alla preminenza da conferirsi all’accordo sindacale del 26 luglio 1991, rispetto alla generica definizione dei livelli d’inquadramento secondo il c.c.n.l. di settore. Inoltre, era stata considerata rispettosa dei canoni di ermeneutica contrattuale la statuizione di merito, che aveva ritenuto l’attività del dirigente centrale corrispondente a quella prevista nella seconda parte del profilo professionale della 9 categoria di cui all’accordo sindacale del 26 luglio 1991 (attività di vigilanza, coordinamento e controllo su più impianti anche di rilevante importanza nel settore della circolazione), precisandosi peraltro che le attività descritte in ciascuno profilo professionale non risultavano cumulative, ma si riferivano ad alternative ipotesi di utilizzazione. Nello specifico, ad avviso dei ricorrenti, erroneamente la Corte distrettuale, pur rilevando che secondo il giudice di primo grado le mansioni dei lavoratori istanti fossero riconducibili a quelle del profilo professionale della 9 categoria di cui all’accordo del 26.7.1991 (in quanto l’attività di vigilanza, coordinamento e controllo della circolazione era stata svolta con riferimento a “più impianti”), aveva giudicato tale unica caratteristica insufficiente al fine della sussumibilità delle mansioni stesse nella categoria superiore. Quanto alla mancata esatta individuazione del parametro normativo, cui confrontare le mansioni svolte, la Corte territoriale, dopo aver ritenuto correttamente accertati dal Tribunale i compiti in concreto svolti, aveva richiamato tutte le declaratorie professionali per concludere che le mansioni disimpegnate appartenevano alla ottava categoria, però senza in alcun modo precisare a quali declaratorie nello specifico avesse inteso riferirsi, senza mai chiarire in particolare se avesse tenuto conto della disciplina di cui al c.c.n.l. ovvero di quella dettata dall’accordo di luglio 1991, quest’ultima tuttavia prevalente alla stregua dei succitati precedenti giurisprudenziali, siccome riferibile alle figure professionali effettivamente esistenti in ambito aziendale. Quale diretta conseguenza della omessa/errata indagine sull’esatto parametro normativo di riferimento, poi, ad avviso dei ricorrenti, la Corte capitolina aveva eseguito in modo confuso ed incerto anche l’indagine volta a confrontare le mansioni di fatto svolte – nei termini accertati dagli stessi giudici di merito – con la declaratoria professionale di riferimento;

tanto premesso, le anzidette doglianze vanno disattese, perchè inconferenti rispetto alle ampie ed articolare argomentazioni svolte con l’impugnata sentenza d’appello, laddove la Corte di merito ha tenuto conto di tutti i risvolti fattuali della vicenda, esaminando altresì dettagliatamente le varie fonti contrattuali disciplinanti l’inquadramento degli attuali ricorrenti, tra cui pure l’accordo sindacale del 26 luglio 1991, relativo all’area V quadri, di 8 categoria (per il profilo di capo stazione sovrintendente, che svolge anche mediante l’uso di particolari apparecchiature, attività di direzione d’importanti impianti e unità organiche nel settore di appartenenza nonchè di coordinamento e controllo in settori particolari dell’esercizio) e di 9 categoria (con particolare riguardo al profilo di capo settore stazioni, svolgente attività di direzione di impianti di rilevante entità e importanza, nonchè di vigilanza, coordinamento e controllo su più impianti, anche di rilevante importanza nel settore e sulla circolazione). Orbene, la Corte d’Appello non condivideva integralmente quanto ritenuto dal giudice di primo grado, secondo cui l’elemento distintivo tra i due livelli si riduceva, in sintesi, alla previsione che soltanto per il nono era contemplato il coordinamento di “più impianti”, per le ragioni all’uopo sufficientemente enunciate, rilevando che comunque nel caso di specie tale previsione non era riferibile all’attività svolta dai ricorrenti, i quali gestivano nei termini indicati la circolazione dei treni, in un determinato ambito territoriale, che interessava più stazioni, “ma non coordinavano certo queste ultime nè altri “impianti””. Inoltre, la Corte capitolina, dopo aver riportato l’ordine di servizio 23/1992, concernente il DC operatore, inerente alla stessa descrizione della loro attività, visto pure che gli appellati erano a loro volta coordinati dal DCCO e in parte dal Capo Ufficio, cui erano pure gerarchicamente sottordinati e che il loro lavoro controllava (figure esse sì inquadrate nella 9 categoria, giusta pure la menzionata documentazione, relativa ai fabbisogni organici e alla composizione dell’ufficio DC – DCO di (OMISSIS)), giudicava evidente che le mansioni disimpegnate nel caso in esame apparivano de plano riferibili alle previsioni contrattuali collettive relative alle declaratorie degli inquadramenti rivestiti di cui alla riportata 8 categoria (come dettagliatamente precisato sul punto alle pagine 9 e 10 della sentenza de qua), per contro difettando in radice i tratti salienti della maggiore categoria rivendicata all’uopo evidenziati, anche in base al succitato accordo del 1991 circa l’attività di vigilanza, coordinamento e controllo su più impianti, anche di rilevante importanza nel settore e sulla circolazione. Da ultimo, la Corte di merito aggiungeva che l’esattezza dell’inquadramento operato da RFI appariva confermato anche dai citati e documentati accordi sindacali, susseguitisi nel corso degli anni tra il 1991 e il 2004, dai quali emergeva che le parti stipulanti avevano ripetutamente avuto riguardo alle figure dei DC – DCO quali inquadrate nella 8 categoria (e a quelle del DCCM e del Capo Ufficio quali inquadrate nella 9 categoria), pacificamente assumendo tali inquadramenti a presupposto nella determinazioni dei fabbisogni organici e nella determinazione dell’entità di specifici compensi retributivi in ragione, appunto, dei livelli d’inquadramento;

pertanto, alla luce delle menzionate motivazioni, in fatto ed in diritto, operate dalla Corte di merito (la quale peraltro riteneva di compensare le spese di lite tenendo pure conto di difformi precedenti giurisprudenziali della stessa Corte in controversie analoghe), unitamente ai relativi accertamenti in fatto (come è noto insindacabili in questa sede, laddove peraltro i ricorrenti non hanno nemmeno denunciato alcun vizio sussumibile nell’ambito della previsione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5), specie per quanto concerne l’escluso coordinamento di più stazioni nè di altri impianti, il ricorso va rigettato, non ravvisandosi in particolare gli estremi della denunciata violazione dell’art. 2103 c.c., nè peraltro di contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, a nulla rilevando, d’altro canto, i diversi precedenti giurisprudenziali menzionati dalla difesa di parte ricorrente, anche in sede di memoria illustrativa, tenuto conto appunto di quanto comunque accertato nella fattispecie qui in discussione dalla Corte di merito;

per il principio della soccombenza, quindi, i ricorrenti vanno condannati al rimborso delle spese di questo giudizio;

sussistono, infine, i presupposti di legge per il versamento dell’ulteriore contributo unificato, stante l’esito interamente negativo dell’impugnazione qui proposta.

P.Q.M.

La Corte RIGETTA il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida a favore della controricorrente in complessivi Euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali ed in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

 

 

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