Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22064 del 17/10/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 22064 Anno 2014
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 12025-2011 proposto da:
CAVALLARO ROBERTO C.F. CVLRRT72E28H456D, domiciliato
in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato GIUSEPPE ZAMPINI, giusta delega in atti;
– ricorrente 2014
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contro

SADEM S.P.A. C.F. 00471480012, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA ANTONIO NIBBY 7, presso lo studio
dell’avvocato GIANCARLO GUARINO, che la rappresenta e

Data pubblicazione: 17/10/2014

difende unitamente agli avvocati DIEGO DIRUTIGLIANO,
LUCA ROPOLO, giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 790/2010 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 04/11/2010 r.g.n. 366/2010;

udienza del 08/07/2014 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato GUARINO GIANCARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI, che ha concluso
per: inammissibilità e in subordine rigetto.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo
Con sentenza del 28/9 — 3/11/2010 la Corte d’appello di Torino ha rigettato
l’impugnazione proposta da Cavallaro Roberto avverso la sentenza del giudice del
lavoro del Tribunale di Torino che gli aveva respinto la domanda di impugnativa

aveva lavorato come autista di autobus sin dalli/7/2006.
La Corte d’appello ha ritenuto che il licenziamento disciplinare, dovuto al
comportamento minaccioso ed ingiurioso tenuto dal Cavallaro nei confronti
dell’utenza in data 11/4/08 mentre egli era in servizio, doveva essere valutato alla
stregua dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, dovendosi ritenere implicitamente
abrogato, per incompatibilità col sistema complessivo, alla luce della sentenza n.
460/2005 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, l’art. 58 del R.D. n.
148/1931 relativo alla possibilità di impugnativa delle decisioni del Consiglio di
disciplina avanti al Consiglio di Stato e con esso la persistente giurisdizione
amministrativa prefigurata da tale norma, per cui di tutto ciò che era avvenuto
davanti al Consiglio di disciplina, ivi comprese le eventuali irregolarità nella
costituzione dell’organo, non occorreva occuparsi, posto che al giudice ordinario
era richiesto solo di accertare la sussistenza delle condizioni legittimanti il recesso
datoriale che, nella fattispecie, era giustificato in considerazione della notevole
gravità degli addebiti accertati a carico del dipendente, di per sé idonei ad
integrare un illecito penale.
Per la cassazione della sentenza ricorre Cavallaro Roberto con due motivi.
Resiste con controricorso la Sadem s.p.a.
Le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione di norme di diritto
e di contratto collettivo ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente lamenta la
mancata applicazione delle norme di cui al R.D. n. 148/1931, che disciplina il

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del licenziamento intimatogli 1’11/3/2009 dalla SADEM s.p.a alle cui dipendenze

rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, mancata applicazione che sarebbe
derivata, a suo giudizio, dalla decisione della Corte territoriale di ritenere che nel
caso di specie non si vedeva in materia di impugnazione di licenziamento per
violazione di norme di legge e di contrattazione collettiva, come affermato col

causa. Nè appariva condivisibile, secondo tale assunto difensivo, il richiamo
operato dalla Corte di merito a dei precedenti della Corte di legittimità e del
Consiglio di Stato al fine di giustificare la mancata applicazione delle disposizioni
di cui al R.D. n. 148/1931 in materia di costituzione del Consiglio di disciplina, non
potendo queste ultime ritenersi abrogate per effetto di quanto statuito nelle
suddette pronunzie. Ne conseguiva che il problema non poteva essere affrontato
alla stregua di una questione di giurisdizione, trattandosi di accertare se la
lamentata violazione, ad opera dei preposti dell’azienda, delle norme sulla corretta
composizione del Consiglio di disciplina aveva inciso sugli obblighi di imparzialità
e di trasparenza di tale organo, il tutto a garanzia del diritto di difesa del
dipendente inquisito.
Osserva la Corte che il motivo è infondato.
Invero, occorre partire dalla constatazione che la censura in esame si incentra sul
rilievo in base al quale col secondo motivo d’appello era stata denunziata la
violazione delle norme del predetto regio decreto da parte del Consiglio di
disciplina, chiamato a pronunziarsi sul cosiddetto “opinamento di destituzione”,
cioè sul parere preventivo formulato a suo carico dalla Direzione aziendale.
Ebbene, la lamentata violazione sarebbe consistita, in base alla prospettazione
difensiva del Cavallaro, nella illegittimità della costituzione del predetto organo
collegiale e nel conflitto di interessi manifestatosi in capo a due suoi componenti,
con le inevitabili ripercussioni di tali illegittimità sugli obblighi di imparzialità e di
trasparenza ai quali era tenuto il Consiglio di disciplina.

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frI)

ricorso di primo grado, bensì in un caso di licenziamento individuale per giusta

Tuttavia, il ricorrente non dimostra, in omaggio al principio di autosufficienza che
governa il giudizio di legittimità, la decisività del suddetto rilievo, nel senso che la
genericità delle affermazioni al riguardo espresse non consente di apprezzare se
le stesse integravano realmente il “fumus” di una causa di ricusazione per la quale

Consiglio di disciplina.
In pratica, il ricorrente non fornisce al riguardo alcun elemento decisivo che
consenta di ritenere superata, ancor prima della questione della sussistenza o
meno di una implicita abrogazione della norma di cui all’art. 58 del d.p.r. n.
143/1931, quella preliminare della effettiva rilevanza della lamentata illegittimità
della composizione dell Consiglio di disciplina.
2. Col secondo motivo, proposto per insufficienza della motivazione ai sensi
dell’art. 360 n. 5 c.p.c., il ricorrente contesta la valutazione delle prove testimoniali
eseguita dalla Corte d’appello, assumendo che le deposizioni ritenute attendibili
da quest’ultima non lo erano del tutto, dal momento che era emerso che i
passeggeri non venivano fatti salire sul mezzo di linea quando il loro numero
superava il limite di dieci persone, per cui le dichiarazioni dei testi avrebbero
dovuto essere ponderate con maggiore attenzione ai fini della verifica
dell’addebito ascrittogli in considerazione della sua esposizione alle rimostranze
della clientela, particolarmente irritata per i disservizi riconducibili esclusivamente
alla gestione aziendale dei trasporti. Aggiunge il ricorrente che la Corte d’appello
avrebbe dovuto ammettergli le prove dedotte, tese a dimostrare che i diverbi tra i
dipendenti dell’azienda convenuta e gli utenti non erano affatto occasionali, dal
momento che i relativi capitoli non erano generici, come erroneamente ritenuto
dalla Corte di merito, la qual cosa gli avrebbe consentito di avvalorare la sua tesi
sulla natura sproporzionata della sanzione inflittagli.
Osserva la Corte che tale motivo denota evidenti profili di inammissibilità, in
quanto attraverso le suddette doglianze viene tentata dal ricorrente un’operazione

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m

si sarebbe potuto profilare il problema della legittima costituzione dello stesso

di rivisitazione del merito istruttorio della causa che non è consentita nel giudizio di
legittimità allorquando, come nella fattispecie, la motivazione che sorregge la
decisione impugnata è congrua ed esente da rilievi di tipo logico-giuridico.
Invero, come è stato già statuito da questa Corte (Cass. sez. lav. n. 2272 del

prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360,
comma primo, n. 5), cod. proc. civ., è configurabile soltanto quando dall’esame del
ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa
impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad
una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel
complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il
predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma
non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della
parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli
elementi delibati, poiché, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in
un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello
stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul
fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In
ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito
adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in
esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle
parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni
del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese
tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse”.
Orbene, nella fattispecie in esame può tranquillamente affermarsi che, nel loro
complesso, le valutazioni del materiale probatorio operate dal giudice d’appello
appaiono sorrette da argomentazioni logiche e perfettamente coerenti tra di loro,
oltre che aderenti ai risultati fatti registrare dall’esito delle prove orali su punti

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2/2/2007), “il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la

qualificanti della controversia, per cui le stesse non meritano affatto le censure di
insufficiente disamina mosse col presente motivo di doglianza.
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio
nella misura di € 5000,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi,
oltre accessori di legge e spese generali al 15%.
Così deciso in Roma 1’8 luglio 2014
Il Consigliere estensore

liquidate come da dispositivo.

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