Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22063 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 11/09/2018, (ud. 08/05/2018, dep. 11/09/2018), n.22063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15108/2017 proposto da:

P.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 145, presso lo studio dell’avvocato PAOLO GARAU, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AZIENDA ASL RM (OMISSIS), già AZIENDA USL RM (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato

ILARIA BARSANTI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

INA ASSITALIA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7354/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 08/05/2018 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Dato atto che il Collegio ha disposto la motivazione semplificata.

Fatto

RILEVATO

Che:

in relazione alla domanda risarcitoria – per responsabilità sanitaria – proposta da P.N. nei confronti della A.S.L. RM (OMISSIS), la Corte di Appello di Roma ha accolto parzialmente il gravame della P., condannando la A.S.L. al pagamento degli interessi compensativi sull’importo di oltre 136.000,00 Euro già liquidato dal primo giudice e riconoscendo all’attrice un ulteriore importo di 40.000,00 Euro a titolo di “personalizzazione” del danno; ha negato, invece, il risarcimento del danno correlato all’insorgenza del diabete mellito, ritenendo non provato il nesso causale fra la non corretta prestazione sanitaria eseguita presso l’Ospedale di (OMISSIS) e l’insorgenza della patologia diabetica;

la P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi; ha resistito la sola Azienda USL Roma (OMISSIS), con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo deduce “violazione/erronea applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 1223,2043,2056 c.c. (…) nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente alla connessione causale tra l’intervento chirurgico del 2001 e l’insorgenza del diabete mellito”: la ricorrente si duole che la Corte non abbia accolto la richiesta di rinnovo della c.t.u. e abbia aderito, per relationem e senza ulteriore motivazione, alle conclusioni integrative del c.t.u., che erano state formulate da quest’ultimo in assenza di una nuova visita della P. e in difetto di contraddittorio col consulente di parte;

il motivo è inammissibile, in quanto non deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in conformità ai parametri individuati da Cass., S.U. n. 16598/2016 e n. 11892/2016 e non individua specifici errores iuris correlati alle norme indicate in rubrica;

deduce un vizio motivazionale in termini di insufficienza e contraddittorietà della motivazione, anzichè ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., n. 5;

le censure contestano, nella sostanza, l’adesione della Corte ai chiarimenti forniti dal c.t.u., che non è tuttavia sindacabile in quanto costituisce il risultato di un apprezzamento di merito (peraltro ampiamente motivato) circa la condivisibilità delle definitive conclusioni del consulente; nè risulta censurabile – a monte – la modalità con cui il c.t.u. ha chiarito e precisato le proprie precedenti conclusioni, tenuto conto che i chiarimenti non richiedono necessariamente ed in ogni caso l’espletamento di un’ulteriore visita della persona già sottoposta a c.t.u. e che, in difetto di tale ulteriore visita, il contraddittorio tecnico è adeguatamente garantito dalla possibilità di prendere posizione sui chiarimenti forniti dal consulente d’ufficio;

il secondo motivo (“violazione/erronea applicazione degli artt. 1223,1226,2043,2056,2059 c.c. (…) nonchè vizio di motivazione in relazione al principio di personalizzazione e dell’integralità nel ristoro del danno non patrimoniale”) è parimente inammissibile poichè – come per il primo motivo – non illustra specifici errores iuris riferiti alle norme che si assumono violate o erroneamente applicate, ma è volto a lamentare l’inadeguatezza dell’incremento liquidato dalla Corte a titolo di “personalizzazione” del risarcimento ed a sollecitare una non consentita nuova valutazione di merito in sede di legittimità;

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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