Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22061 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. I, 13/10/2020, (ud. 18/09/2020, dep. 13/10/2020), n.22061

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10792/2019 proposto da:

F.O., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Marco Giorgetti, giusta procura speciale in calce al

ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 2209/2019 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato

il 15/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/09/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

F.O., nato in (OMISSIS), con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, ha impugnato dinanzi il Tribunale di Ancona, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego adottato della Commissione Territoriale in merito alla domanda di riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria.

Il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal proprio Paese per sottrarsi alle aggressioni di un gruppo politico, che aveva già preso di mira il padre – che si occupava di montare i palchi per i comizi perchè egli non intendeva essere coinvolto nelle attività del gruppo. Il Tribunale, alla stregua dei fatti narrati, sostanzialmente ritenuti non credibili in merito alla minacce che il richiedente riferiva di avere subito, non ha ravvisato i presupposti per le forme di protezione richieste.

Segnatamente quindi, ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non ricorrendo persecuzioni per motivi di razza, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale, e per il riconoscimento della protezione sussidiaria, non ravvisando, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) – sulla scorta del puntuale esame delle fonti accreditate (COI-Report Amnesty 2018) -, una situazione di violenza generalizzata nel paese di provenienza del richiedente, tale da porre in pericolo la vita di un civile a cagione della sua presenza nel territorio dello Stato.

Infine, ha negato la protezione umanitaria in assenza di specifiche situazioni di vulnerabilità tali da comportare una effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili, circostanza

che non consentiva il giudizio comparativo ex Cass. n. 4455/2018, anche in eventuale presenza di integrazione in Italia.

Avverso detto decreto il richiedente propone ricorso per cassazione con tre mezzi.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia la nullità del decreto impugnato per vizio di ultrapetizione o extrapetizione del provvedimento.

Il ricorrente sostiene di non avere chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e si duole che si sia pronunciato su ciò, sia pure respingendo la domanda.

Il primo motivo è inammissibile, in assenza di interesse a dedurre il vizio di ultrapetizione per il rigetto di una domanda asseritamente non proposta.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,7 e 14, anche in relazione all’apparenza motivazionale. Il ricorrente si duole della motivazione, a suo dire di stile, e priva del vaglio della sussistenza dei concreti presupposti richiesti per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

Il motivo è inammissibile perchè formulato in maniera generica: il ricorrente, infatti, da un lato non ha censurato la statuizione di non credibilità, sufficiente ad escludere la ricorrenza dei presupposti della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) e, dall’altro, ignora nella formulazione della doglianza l’analitico esame delle fonti compiuto dal Tribunale, sulla scorta del quale ha escluso la ricorrenza dei presupposti per la protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) del D.Lgs. cit..

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c-ter, ed il vizio di motivazione. Il ricorrente si duole che non sia stata esaminata la documentazione concernente un contratto di lavoro triennale prodotta per comprovare l’inserimento sociale in Italia.

Il motivo è infondato.

Va ricordato che la protezione umanitaria, prevista in generale dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, è un istituto di “protezione complementare”, come tale non direttamente ricompreso nel sistema della protezione internazionale, ma la cui istituzione è autorizzata dalla normativa UE – vedi, in particolare: Considerando 14, direttiva n. 95/2011/U nonchè art. 6, par. 4, della direttiva rimpatri n. 115/2008/CE in base ai quali gli Stati membri sono autorizzati a prevedere in favore dei migranti forme di protezione più favorevoli rispetto a quelle indicate nelle direttive, purchè non incompatibili con esse -, che nel nostro ordinamento è stato introdotto dalla L. n. 40 del 1998, il cui contenuto è stato poi trasfuso nel predetto D.Lgs.. Il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, ne ha profondamente modificato la struttura, ma come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte tale novella, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, con le disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge, quale quella di cui si tratta nel presente giudizio (Cass. Sez. U. n. 29459 del 13/11/2019). Secondo la giurisprudenza (vedi spec. Cass. n. 4455/2018), nei “gravi motivi umanitari” contemplati dal citato art. 5, comma 6, sono ricomprese la tutela della salute, l’instabilità politica e sociale nel Paese d’origine, la povertà e l’integrazione sociale del richiedente.

Nel caso in esame il Tribunale ha motivatamente respinto la domanda in quanto ha escluso sia la ricorrenza di una condizione di vulnerabilità specifica, alla stregua delle dichiarazioni rese dal ricorrente e ritenute non credibili – senza che sul punto si ravvisi impugnazione -, sia la sussistenza di integrazione sociale in Italia, in ragione della occasionalità delle attività riferite non sviluppate in un congruo arco temporale, pur avendo esaminato la documentazione prodotta dal ricorrente – contrariamente a quanto da questi denunciato – senza tuttavia ritenerla sintomatica di una integrazione già consolidata, e la decisione appare in linea con i principi enunciati da Cass. n. 4455 del 23/2/2018: a fronte di ciò, la censura configura una pura e semplice critica di merito riguardante l’accertamento di fatto della insussistenza dei presupposti richiesti dalla normativa, e va respinta.

4. In definitiva, il ricorso va rigettato.

In assenza di attività difensiva della parte intimata, non si provvede sulle spese.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

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