Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22061 del 11/09/2018
Cassazione civile sez. VI, 11/09/2018, (ud. 08/05/2018, dep. 11/09/2018), n.22061
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14581-2017 proposto da:
Z.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato
PIETRO MIGLIOSI;
– ricorrente –
contro
M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati
FRANCESCO CALABRESE, FILIPPO CALABRESE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 559/2016 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,
depositata il 02/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 08/05/2018 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.
Dato atto che il Collegio ha disposto la motivazione semplificata.
Fatto
RILEVATO
che:
pronunciando in sede di rinvio a seguito di cassazione, la Corte di Appello di Perugia ha rigettato l’eccezione di improcedibilità del ricorso in riassunzione sollevata da Z.G. (rilevando che “in realtà, il ricorso ed il decreto di fissazione dell’udienza è stato notificato e, comunque, la predetta si è costituita svolgendo le sue difese anche nel merito”) e ha ritenuto, nel merito, che non risultasse provata la mala fede del locatore, stabilendo pertanto che gli interessi sulle somme dovute quale differenza fra gli importi corrisposti e quanto dovuto a titolo di equo canone fossero dovuti dalla domanda e non dai singoli pagamenti, a norma dell’art. 2033 c.c. e in applicazione dei principi richiamati dalla sentenza di cassazione;
ha proposto ricorso per cassazione la Z., affidandosi a due motivi; ha resistito il M. con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO
che:
col primo motivo (che denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 435 c.p.c., in relazione all’art. 111 Cost., comma 2), la ricorrente rileva che il ricorso in riassunzione e il decreto di fissazione dell’udienza non erano stati notificati nel termine originariamente assegnato e che pertanto la Corte non avrebbe potuto concedere un termine per rinnovare la notifica; esclude che la costituzione della Z., avvenuta dopo tale notifica) fosse valsa a sanare l’improcedibilità della riassunzione;
il motivo è inammissibile, in quanto è basato sull’assunto che la notifica del ricorso nel termine originariamente assegnato fosse stata del tutto omessa, mentre dalla sentenza pare evincersi che “in realtà” la notifica era avvenuta, così come sostenuto dal controricorrente (che ha dedotto che la notifica era stata tentata nel termine originariamente assegnato, ma non era andata a buon fine per errore dell’agente postale, sì da rendere necessaria la richiesta di rinnovazione, accolta dalla Corte); il ricorso non si confronta dunque col (pur sintetico) rilievo circa l’avvenuta notifica del ricorso e omette di fornire gli elementi fattuali in concreto rilevanti ai fini di accertare la denunciata violazione processuale (cfr. Cass. n. 9888/2016);
il secondo motivo (che deduce la violazione dell’art. 2033 c.c.) è inammissibile, in quanto non individua un error iuris, ma postula l’erronea applicazione della norma sul presupposto di deduzioni di merito che non trovano riscontro nella sentenza impugnata e che sollecitano una “rivisitazione” del fatto;
le spese di lite seguono la soccombenza;
sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 8 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018