Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22059 del 03/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 03/09/2019, (ud. 24/01/2019, dep. 03/09/2019), n.22059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. MARCHEIS BESSO Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15919-2017 proposto da:

E.S.C., B.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA FILIPPO CORRIDONI N. 19, presso lo studio dell’avvocato

BIASCI RENATO PIERO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

D.I.F., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati GUARNIERI WOLFANGO GIOVANNI

AMEDEO, BATTISTINI NICOLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4654/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FALASCHI

MILENA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Milano, confermando il decreto ingiuntivo n. 35335 del 2013, condannava B.M. ed E.S.C., attuali ricorrenti, al pagamento in via solidale di Euro 100.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria versata da D.I.F. in forza di preliminare di compravendita avente ad oggetto l’immobile sito in (OMISSIS), oltre interessi moratori e spese di lite, ritenendo legittimo il recesso esercitato dall’ingiungente – opposta in data 25.07.2013 dal contratto preliminare predetto per inadempimento dei prominenti venditori.

In virtù di appello interposto dai B., la Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 4654 del 2016, respingeva l’appello e confermava la decisione di primo grado, correggendo solo la motivazione quanto alla natura del diritto d’uso, nel senso della legittimità del recesso esercitato dalla promissaria acquirente non potendo i promittenti venditori garantire la proprietà esclusiva del giardinetto, della cantina e del deposito quali beni pertinenziali all’appartamento, di cui non vantavano la proprietà esclusiva, concessi loro solo in uso esclusivo e perpetuo, e ciò aveva fatto venir meno l’interesse a proseguire con la stipula del contratto definitivo.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano B. propongono ricorso per cassazione, fondato su due motivi, cui la Ferrari resiste con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere accolto, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente notificato ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale solo parte resistente ha depositato memoria illustrativa.

Atteso che:

– con il primo motivo i ricorrenti denunciano., la violazione o l’erronea interpretazione dell’art. 1362 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, lamentando la errata interpretazione da parte della Corte d’appello di Milano della locuzione “uso esclusivo perpetuo” contenuta nella convenzione del 9.11.1989 sottoscritta dagli allora proprietari del condominio, giacchè si tratterebbe comunque di beni di spettanza del proprietario dell’appartamento promesso in vendita, per cui non ci sarebbe corrispondenza tra quanto esposto nel preliminare e la qualifica data dal giudice.

Il motivo è fondato per le ragioni di seguito illustrate.

Dal tenore della sentenza impugnata emerge che la Corte d’Appello di Milano, nel procedere all’inquadramento della fattispecie, ha posto al centro della indagine l’analisi e la valutazione della gravità dell’inadempimento, presupposto legittimante il giustificato recesso dal contratto preliminare di compravendita ed ha ritenuto grave la condotta dei promittenti venditori sul presupposto di “la difformità tra l’oggetto della promessa in preliminare de quo, cioè la descrizione dell’immobile, e quello che sarebbe potuto essere legittimamente trasferito in proprietà esclusiva col rogito notarile definitivo”. In realtà, nel preliminare inter partes oggetto della promessa di vendita è l’immobile di cui i ricorrenti sono proprietari, costituito come descritto in atti, da “ingresso, soggiorno, cucina, camera, antibagno e bagno terrazzo al piano e ripostiglio con accesso dal cortile, con annessi vano cantina e deposito nel sottoscala al piano primo interrato, nonchè pertinenziale porzione di giardino al piano terreno con sovrastante serra, censito…”. Siffatta descrizione è riportata a pag. 1 della stessa pronuncia.

Tuttavia i giudici della Corte di merito, nel valutare la portata dell’annessione a cui fa riferimento l’atto, non hanno considerato l’orientamento di questa Corte, secondo cui l'”uso esclusivo” su parti comuni dell’edificio riconosciuto, al momento della costituzione di un condominio, in favore di unità immobiliari in proprietà esclusiva, al fine di garantirne il migliore godimento, incide non sull’appartenenza delle dette parti comuni alla collettività, ma sul riparto delle correlate facoltà di godimento fra i condomini, che avviene secondo modalità non paritarie determinate dal titolo, in deroga a quello altrimenti presunto ex artt. 1102 e 1117 c.c.. Tale diritto, pertanto, non è riconducibile al diritto reale d’uso previsto dall’art. 1021 c.c., ma neanche ad una comproprietà pura e semplice come affermato dalla Corte distrettuale, tant’è che è tendenzialmente perpetuo e trasferibile ai successivi aventi causa dell’unità immobiliare cui accede. (Cass., 16 ottobre 2017 n. 24301).

Va considerato innanzitutto l’art. 1117 c.c. che, nell’indicare le parti comuni di un edificio in condominio, dispone che tale indicazione valga “se non risulta il contrario dal titolo”. Se ciò è possibile, a fortiori è possibile che le parti convengano l'”uso esclusivo” di una parte comune in favore di uno o più determinati condomini.

Così inquadrato, il fenomeno dell'”uso esclusivo” di parti comuni, esso cela la coesistenza di facoltà individuali, espressione del pieno diritto di proprietà. In tal senso, non trattandosi di figure di asservimento o di pertinenza, gli usuari si vedranno conformati dal titolo il maggiore godimento rispetto a quello degli altri partecipanti diversi dall’usuario (in tal senso Cass., n. 24301 del 2017 cit.)

Nel caso in esame, infatti, nell’atto preliminare di compravendita, la locuzione “con annessi vano cantina e deposito nel sottoscala al primo piano interrato, nonchè pertinenziale porzione di giardino al piano terreno con sovrastante serra …” non sposta il diritto dal piano reale a quello personale: il diritto in esame è e rimane un diritto reale, di godimento ma pur sempre reale.

Per tale motivo, non incide in alcun modo sul diritto di proprietà, che non ne risulta leso, non essendo sottoposto ad alcunekdeminutio.

La censura deve, pertanto, essere accolta per non avere i giudici del merito valutato la gravità dell’inadempimento attribuito ai promittenti venditori alla luce del diverso inquadramento della fattispecie e delle clausole contenute nel preliminare in correlazione all’atto di provenienza e al Regolamento condominiale;

– con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1385 c.c., 1455 c.c. in relazione all’art. 1375 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento all’indagine espletata dal giudice distrettuale circa la condotta tenuta dai proprietari dell’immobile oggetto del preliminare per qualificare la gravità dell’inadempimento.

L’esame della censura risulta assorbita alla luce delle ragioni sopra illustrate con riferimento al primo mezzo.

In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, e cassato il provvedimento impugnato, con rinvio a diversa Sezione della Corte di appello di Milano, a cui viene rimessa anche la liquidazione delle spese di legittimità.

Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, a diversa Sezione della Corte di appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 24 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2019

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