Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22057 del 22/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 22/09/2017, (ud. 13/06/2017, dep.22/09/2017),  n. 22057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17256/2014 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI

4, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA SCAFARELLI, rappresentato

e difeso dall’avvocato GUGLIELMO D’ANNA giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

G.R.M., G.G., V.R., RAS SPA, IMPRESA

COSTRUZIONI EDILI STRADALI DI VE. F., CURATELA DEL FALL.TO DELLA

SOCIETA’ (OMISSIS) SRL, COMUNE DI ROMETTA, B.D.;

– intimati –

nonchè da:

B.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI

SERRADIFALCO 7 C/O FAVA A., presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

CELONA, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

IMPRESA COSTRUZIONI EDILI STRADALI DI VE. F., RAS SPA, COMUNE DI

ROMETTA, CURATELA DEL FALL.TO DELLA SOCIETA’ “(OMISSIS)SRL,

C.L., V.R., G.G., G.R.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 371/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 14/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del 4^ motivo e

rigetto del ricorso principale nel resto, inammissibilità del

ricorso incidentale;

udito l’Avvocato GUGLIELMO D’ANNA;

udito l’Avvocato ANTONIO FAVA per delega non scritta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.M. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Messina, la s.r.l. S.I.C.OO.PP., la s.p.a. RAS, il Comune di Rometta, C.L. e B.D., chiedendo che fossero condannati in solido, per titoli diversi, al risarcimento dei danni subiti da un immobile di sua proprietà.

A sostegno della domanda espose che il Comune di Rometta aveva appaltato alla società S.I.C.OO.PP. l’esecuzione di alcuni lavori di completamento della rete idrica e fognante, sotto la direzione dei convenuti C. e B.. Durante l’esecuzione di tali lavori, gli operai della società convenuta avevano eseguito uno scavo di oltre cinque metri di profondità, a distanza di meno di un metro dall’immobile di sua proprietà, determinando in tal modo gravissimi danni che avevano comportato la dichiarazione di inagibilità dell’immobile stesso e la necessità di imponenti opere di demolizione e ricostruzione.

Si costituirono in giudizio tutti i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda.

In particolare, la società S.I.C.OO.PP. rilevò di aver affidato i lavori in subappalto all’impresa di costruzioni edili Ve.Fr. e chiese di poter chiamare quest’ultima in garanzia.

L’impresa Ve. si costituì rilevando di aver eseguito i lavori a regola d’arte e chiamò in garanzia la propria assicuratrice società RAS.

Quest’ultima, nel costituirsi, osservò che il danneggiato non aveva azione diretta nei suoi confronti e che comunque l’impresa Ve. era esente da ogni responsabilità.

Espletata una c.t.u. il Tribunale accolse la domanda, ritenne che tutti i convenuti erano responsabili del danno anche se per titoli diversi e condannò la società S.I.C.OO.PP., il Comune di Rometta ed i due direttori dei lavori al pagamento della somma di Lire 121.300.000, oltre interessi e con il carico delle spese di giudizio; condannò poi l’impresa Ve.Fr. a tenere indenne la società S.I.C.OO.PP. e la società RAS a manlevare l’impresa Ve. nei limiti del massimale di assicurazione.

2. La pronuncia è stata appellata dal Comune di Rometta e dai professionisti C. e B..

Nel corso del giudizio di appello la società S.I.C.OO.PP. e l’impresa Ve. hanno prodotto copia dell’atto di transazione concluso dal G. attestante il ricevimento della somma di Lire 29.600, pari al massimale di polizza, ed hanno chiesto di potersi avvalere di tale transazione.

Il giudizio è stato poi interrotto per la morte del G., cui sono subentrati gli eredi G.G. e V.R. e per il fallimento della s.r.l. (OMISSIS), successore della società S.I.C.OO.PP..

La Corte d’appello di Messina, con sentenza del 14 maggio 2013, in parziale riforma di quella del Tribunale, ha rigettato la domanda proposta dagli eredi G. nei soli confronti del Comune di Rometta, confermando nel resto la sentenza di primo grado e regolando di conseguenza le spese del giudizio di appello.

2.1. Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che all’atto di quietanza sottoscritto dal G. non poteva essere applicato il regime dell’art. 1304 c.c., non sussistendone le condizioni. Ed infatti la sentenza del Tribunale aveva riconosciuto l’esistenza di un’obbligazione solidale solo tra il Comune di Rometta, il C., il B. e la società S.I.C.OO.PP., ma non anche con l’impresa di costruzione Ve.Fr.. Quest’ultima era stata condannata in via autonoma a tenere indenne la S.I.C.OO.PP. delle somme da questa dovute al danneggiato, per cui la somma versata dalla società RAS non poteva considerarsi pagata in esecuzione della sentenza impugnata, “che non recava condanna alcuna del suo assicurato Ve. nei diretti confronti del danneggiato”. Da tanto doveva trarsi la conclusione che il pagamento transattivo non avesse avuto alcuna efficacia sul rapporto processuale in corso.

2.2. Tanto premesso in ordine all’applicabilità dell’art. 1304 c.c., la Corte d’appello ha ricostruito lo svolgimento dei fatti e, dichiarando di condividere e fare proprie le conclusioni rese dal c.t.u. in primo grado, ha sostenuto che il dissesto del fabbricato di proprietà del G. era da ricondurre allo scavo eseguito per la posa in sito delle condotte idriche e fognarie. Doveva essere quindi ribadito l’esclusivo collegamento causale tra i lavori ed il danno, trattandosi di danno prevedibile e non sussistendo alcun concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227 c.c.. Allo stesso modo, la Corte messinese ha ritenuto di dover confermare l’entità della liquidazione compiuta dal Tribunale, posto che nessuno degli appellanti aveva fornito un’effettiva dimostrazione del diverso valore di mercato dell’immobile danneggiato.

2.3. Quanto, invece, al riparto delle responsabilità tra i singoli appellanti, la sentenza ha osservato che assumeva un ruolo fondamentale accertare se i lavori di scavo concretamente eseguiti fossero o meno corrispondenti a quelli che erano stati in origine stabiliti. Lo scavo realmente eseguito, infatti, rispondeva in maniera pressochè totale alla perizia di variante del 4 gennaio 1992, successiva rispetto alla data di esecuzione dei lavori (1991). Dall’esame della documentazione prodotta dal c.t.u. risultava che nel progetto originario la condotta fognante doveva essere collocata ad una profondità compresa tra cm 100 e cm 150; nel progetto di variante, invece, verificato che l’andamento altimetrico della strada era ben diverso da quello immaginato, lo scavo e la conseguente collocazione della condotta fognante dovevano essere realizzati ad oltre cinque metri di profondità (come poi era avvenuto). Ciò significava che il progetto originario, predisposto dai convenuti C. e B., era di fatto inattuabile. Poichè non era pensabile che fosse stata la società S.I.C.OO.PP., di sua iniziativa, a decidere di effettuare uno scavo tanto profondo e diverso da quello progettato, la Corte è giunta alla conclusione che il nuovo progetto era stato allestito durante lo svolgimento dei lavori, in base a “precise indicazioni progettuali da parte dei direttori dei lavori”.

Doveva pertanto essere confermata la responsabilità dell’appaltatore società S.I.C.OO.PP., la quale aveva eseguito lo scavo “in maniera tecnicamente errata”. Ma doveva allo stesso modo essere ribadita anche la responsabilità di entrambi i direttori dei lavori, i quali erano “necessariamente consapevoli del fatto che l’impresa stesse eseguendo un’opera del tutto difforme da quella che era prevista nel loro originario (ma inadeguato) progetto”; tale consapevolezza avrebbe dovuto indurli ad una maggiore vigilanza, posto che si stava effettuando uno scavo molto più profondo. Il concorso di responsabilità era da ricondurre non solo al ruolo di direttori dei lavori, ma anche a quello di progettisti del diverso lavoro effettivamente eseguito.

Doveva, invece, essere esclusa ogni responsabilità del Comune di Rometta, non essendoci alcuna prova che l’amministrazione committente avesse esercitato una qualche ingerenza nell’esecuzione dei lavori o che fosse consapevole del fatto che la società S.I.C.OO.PP. aveva subappaltato i lavori in questione.

Quanto al riparto interno della responsabilità tra gli obbligati in solido, la Corte d’appello ha ritenuto di dover assegnare una metà della colpa all’impresa appaltatrice e l’altra metà ai due direttori dei lavori.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Messina propone ricorso principale l’ing. C.L., con atto affidato a dieci motivi.

Il geom. B.D. ha depositato atto di controricorso contenente ricorso incidentale, sostanzialmente adesivo a quello principale, affidato a undici motivi.

I ricorrenti hanno depositato memorie.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso incidentale.

1. Ragioni di economia processuale consigliano di esaminare il ricorso incidentale del geom. B. che, in conformità alle conclusioni del P.G. di udienza, va dichiarato inammissibile per tardività.

Com’è stato in precedenza più volte affermato, le regole dell’impugnazione tardiva, in osservanza dell’art. 334 c.p.c. e in base al combinato disposto degli artt. 370e 371 c.p.c., operano esclusivamente per l’impugnazione incidentale in senso stretto, e cioè proveniente dalla parte contro la quale è stata proposta l’impugnazione principale, solo alla quale è consentito presentare ricorso nelle forme e nei termini di quello incidentale, per l’interesse a contraddire e a presentare, contestualmente con il controricorso, l’eventuale ricorso incidentale anche tardivo. Invece, quando il ricorso di una parte abbia contenuto adesivo a quello principale, non trovano applicazione i termini e le forme del ricorso incidentale (tardivo), dovendo osservarsi la disciplina dettata dall’art. 325 c.p.c., per il ricorso autonomo, cui è altrettanto soggetto qualsiasi ricorso successivo al primo, che abbia valenza d’impugnazione incidentale, qualora investa un capo della sentenza non impugnato con il ricorso principale o lo investa per motivi diversi da quelli fatti valere con il ricorso principale (sentenza 21 gennaio 2014, n. 1120).

Nel caso di specie, l’impugnazione proposta dal geom. B. è chiaramente adesiva, per non dire sovrapponibile, a quella dell’ing. C., per cui l’interesse alla sua proposizione non può dirsi sorto a seguito della notifica dell’impugnazione principale ed in conseguenza di questa. Non può valere, quindi, il meccanismo dell’art. 334 c.p.c., comma 1; pertanto, poichè la sentenza d’appello è stata pubblicata il 14 maggio 2013 e l’impugnazione incidentale è stata notificata in data 16 settembre 2014, questa è tardiva, a nulla rilevando che l’impugnazione principale sia stata notificata il 27 giugno 2014.

Ricorso principale.

2. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 e 115 c.p.c..

Rileva il ricorrente che la sentenza impugnata, sostanzialmente senza fornire motivazione sul punto, ha riconosciuto la sua responsabilità in quanto direttore dei lavori. In realtà, la Corte d’appello, avendo verificato che gli scavi eseguiti erano ben diversi da quelli progettati, si sarebbe inventata dal nulla l’esistenza di un diverso progetto, poi realizzato, così deducendo la responsabilità del ricorrente. Non vi sarebbe alcuna prova documentale circa l’esistenza di un nuovo progetto, nè del fatto che esso sia riconducibile all’operato del ricorrente, tant’è che la stessa Corte di merito riconosce che lo scavo eseguito era pressochè identico ad un progetto successivo rispetto alla data del medesimo. La responsabilità dell’accaduto, invece, doveva essere attribuita in via esclusiva all’impresa esecutrice.

3. Unitamente al primo motivo possono essere trattati i motivi ottavo e nono.

3.1. Con l’ottavo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullità della sentenza e del procedimento per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.

Si osserva che la sentenza avrebbe fondato la sua pronuncia di condanna su fatti, atti e questioni non prospettati dalle parti e rilevati d’ufficio. La censura si rivolge contro quella parte della motivazione nella quale la Corte di merito ha rilevato che l’originario progetto redatto dai ricorrenti non era corretto e che perciò i lavori si erano dovuti svolgere in modo diverso.

3.2. Con il nono motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione dell’art. 2697 c.c., in materia di onere della prova.

La censura in esame torna sul problema della dimostrazione dell’effettiva esistenza di un progetto diverso in relazione ai lavori eseguiti. Sostengono i ricorrenti che la sentenza impugnata avrebbe disatteso le regole sull’onere della prova perchè, ritenendo esistente un progetto diverso da quello originario, del quale non c’era prova, avrebbe fatto assurgere a dignità di prova quelle che erano solo ipotesi o supposizioni.

4. I tre motivi ora riassunti, tra loro connessi per evidenti ragioni, sono, quando non inammissibili, comunque privi di fondamento.

Osserva il Collegio, innanzitutto, che le censure ivi formulate, benchè poste in apparenza come violazioni di legge, sono, in sostanza, censure di vizi di motivazione che si tradurrebbero, nell’assunto del ricorrente, in conseguente nullità della sentenza; nullità che, al contrario, non è in alcun modo sussistente.

Ed invero la Corte d’appello, con un accertamento in fatto ampiamente motivato e fondato anche sui rilievi dei consulenti tecnici nominati, ha posto in luce che i danni subiti dal fabbricato del defunto G.M. erano da ricondurre esclusivamente allo scavo effettuato per i lavori commissionati dal Comune di Rometta, senza alcun concorso di colpa da parte del danneggiato. Quanto alle singole responsabilità, la sentenza ha accertato che il progetto originario dell’Ing. C. e del Geom. B. era inattuabile, in quanto fondato “su un rilievo altimetrico non corretto”; per cui, essendo stato eseguito uno scavo ben più profondo rispetto a quello in origine previsto, doveva presuntivamente ritenersi che fossero stati i due professionisti a predisporre il nuovo progetto, poi anche malamente eseguito. A tale conclusione la Corte d’appello è pervenuta confrontando il lavoro realmente eseguito e la sua evidente coincidenza con quello risultante dalla perizia di variante approvata successivamente all’esecuzione.

Non è esatto, pertanto, che la sentenza sia apodittica e che si sia, come sostiene il ricorrente, inventata dal nulla l’esistenza di un progetto diverso; così come non sono fondate le ulteriori censure dei motivi ottavo e nono che ipotizzano una lesione dei principi in tema di contraddittorio e di onere della prova. La necessità di ricostruire le ragioni per le quali il fatto dannoso si era determinato era proprio l’oggetto devoluto all’esame della Corte, rispetto alla cui motivazione le censure in esame si risolvono nell’evidente tentativo di sollecitare questa Corte ad un nuovo giudizio di merito.

5. Con i motivi secondo, terzo, quarto e quinto si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 1304 c.c., dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 1363, 1364 e 1366 c.c..

I quattro motivi hanno ad oggetto la questione della transazione stipulata dal G. con l’assicurazione RAS e l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui essa non aveva effetto estintivo dell’intero debito, posto che la società di assicurazione non era stata considerata obbligata in solido. Rilevano i ricorrenti, al contrario, che la transazione suindicata avrebbe un effetto estintivo dell’intero debito; che la transazione riguardava l’intero debito e che essi ricorrenti avevano chiesto di volerne profittare, trattandosi di obbligazione solidale; che la sentenza avrebbe sul punto omesso di pronunciarsi, posto che essa avrebbe dovuto stabilire che il residuo credito dei danneggiati era pari alla metà dell’intero; e che la Corte d’appello avrebbe errato nell’interpretare l’atto di transazione in questione, dal quale si evincerebbe la totale rinuncia, da parte del G., ad ogni ulteriore pretesa risarcitoria, con conseguente previsione della cancellazione della causa dal ruolo. In conclusione, i motivi sostengono che i ricorrenti avevano il diritto di profittare della transazione, anche se ritenuta parziale, e che tutti gli obbligati in solido erano da considerare definitivamente liberati.

5.1. I quattro motivi sono da trattare conguntamente stante l’intima connessione tra loro esistente e sono tutti privi di fondamento.

La sentenza impugnata ha illustrato con chiarezza ineccepibile le ragioni per le quali ha ritenuto di non poter applicare l’art. 1304 c.c., nel caso di specie. Si legge alla p. 13 della pronuncia in esame che il pagamento transattivo in favore del G. proveniva dalla società RAS (assicuratrice dell’impresa Ve.), che non era obbligata in solido, posto che la condanna di primo grado non era stata pronunciata anche nei suoi confronti. La società assicuratrice, infatti, era stata condannata alla manleva, il che trova conferma nel fatto che la S.I.C.OO.PP. aveva chiamato l’impresa Ve. in garanzia (e quindi la domanda non si era estesa al garante) e l’impresa Ve. aveva chiamato in garanzia, a sua volta, la RAS.

Dall’evidente correttezza della premessa, e cioè che chi ha pagato la somma di denaro sulla quale si è fondata la transazione non era obbligato in solido in base alla sentenza di condanna, deriva l’infondatezza di tutte le contestazioni, perchè si è fuori del territorio di applicazione dell’art. 1304 c.c., che presuppone, appunto, l’obbligazione solidale; e la sentenza ha anche aggiunto che il pagamento da parte della società RAS era avvenuto ai sensi dell’art. 1917 c.c., comma 2, norma che consente comunque all’assicuratore di pagare direttamente il danneggiato.

5.2. E’ appena il caso di aggiungere che la nota sentenza 30 dicembre 2011, n. 30174, delle Sezioni Unite di questa Corte ha chiarito che l’art. 1304 c.c., ha ad oggetto la transazione sull’intero debito, mentre, se la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito. Questa sentenza ha pure affermato che è compito del giudice di merito stabilire se la transazione si riferisca all’intero debito oppure alla sola quota del debitore che l’ha stipulata.

Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha interpretato l’atto di transazione firmato dal G. con la RAS ed è pervenuta alla conclusione che lo stesso era parziale, tanto che la Corte d’appello, nel trascriverne parte del contenuto, ha aggiunto che il firmatario non aveva più nulla a pretendere nè dalla RAS, nè dall’assicurato ( G.) per tutti i titoli di danno e che la causa s’intendeva abbandonata nei confronti della RAS. Il ricorso, in particolare nel quinto motivo, lamenta violazione delle regole sull’interpretazione dei contratti e, riportando il contenuto della transazione con qualche diversità rispetto al testo virgolettato in sentenza, sostiene che essa avrebbe portata globale, ossia tale da precludere al G. (e per lui ai suoi eredi) di esigere ulteriori pagamenti da parte degli altri condebitori.

Osserva la Corte, a questo riguardo, che il profilo interpretativo è rimesso al giudice di merito che, nella specie, ha svolto il proprio compito con una motivazione analitica e precisa; ne consegue che la pretesa del ricorrente di attribuire portata globale alla transazione si infrange contro le argomentazioni della Corte d’appello e contro i limiti che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo fissato in ordine alle censure di interpretazione dei contratti proposte in sede di legittimità.

Da tali considerazioni deriva l’infondatezza dei motivi di ricorso dal secondo al quinto.

6. Con il sesto motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

Sostiene il ricorrente che la sentenza avrebbe omesso di pronunciarsi sulla questione del riparto interno della responsabilità tra gli obbligati in solido. Mentre la motivazione contiene simile riparto, altrettanto non avviene nel dispositivo, per cui vi sarebbe un’omissione di pronuncia su di una questione posta con l’atto di appello, posto che il credito residuo degli eredi G. dovrebbe ridursi della metà.

6.1. Il motivo non è fondato.

Osserva il Collegio che la Corte d’appello, come lo stesso ricorrente riconosce, ha affrontato il punto alla p. 25 della motivazione, là dove ha precisato che, ai fini del riparto interno della responsabilità, all’impresa appaltatrice spetta il 50 per cento, mentre ai professionisti C. e B. va assegnato l’altro 50 per cento, da dividere in parti uguali fra i due.

E’ esatto che nel dispositivo della sentenza tale precisazione è stata omessa; tuttavia, in ossequio ad una consolidata giurisprudenza, va ribadito che nell’ordinario giudizio di cognizione, l’esatto contenuto della sentenza va individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione, nella parte in cui la medesima riveli l’effettiva volontà del giudice. Ne consegue che va ritenuta prevalente la parte del provvedimento maggiormente attendibile e capace di fornire una giustificazione del dictum giudiziale (così la sentenza 10 settembre 2015, n. 17910). Nel caso in esame, non può neppure parlarsi di contrasto tra motivazione e dispositivo, ma semplicemente di dimenticanza contenuta nel secondo, ove la statuizione sul riparto interno della responsabilità è stata omessa. Ma è evidente che si tratta di un’omissione irrilevante ai sensi dell’art. 112 c.p.c., dovendo il provvedimento impugnato essere letto alla stregua del criterio fissato nella motivazione che dispone il riparto della responsabilità tra i coobbligati solidali.

E’ necessario, a questo proposito, fare un’ulteriore precisazione.

Per le ragioni che si sono già viste, della transazione conclusa tra il G. e la RAS non possono approfittare gli altri condebitori, tra i quali l’odierno ricorrente, in mancanza delle condizioni fissate dall’art. 1304 c.c.. Ciò non toglie, però, che, poichè la sentenza d’appello ha confermato quella di primo grado tranne che per il punto della condanna del Comune di Rometta, dall’entità della condanna complessiva come fissata dal Tribunale, e confermata dalla Corte d’appello, dovrà essere detratta, in sede di esecuzione, la somma già percepita dal G. grazie alla transazione. In altri termini, in sede di esecuzione si dovrà avere cura del fatto che una parte del credito è stata già incassata e che gli eredi del G. non dovranno percepire, a conti fatti, una somma maggiore di quella liquidata in favore del loro dante causa nella sentenza ormai divenuta definitiva.

7. Con il settimo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata, avendo individuato a suo carico un ulteriore titolo di responsabilità, costituito dall’avere egli progettato lo scavo poi effettivamente realizzato, avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, perchè la citazione in giudizio aveva a fondamento solo la qualità di direttori dei lavori e non anche quella di progettista.

7.1. Il motivo non è fondato.

Valgono, al riguardo, le considerazioni già svolte a proposito dei motivi primo, ottavo e nono. Occorre soltanto aggiungere che il passaggio della motivazione che fonda la responsabilità sul ruolo di progettista è solo un’argomentazione di supporto, non decisiva. E comunque la Corte d’appello è pervenuta a tale conclusione sul rilievo per cui, se il progetto originario era dell’ing. C. e del geom. B., anche il mutamento era da ricondurre ad una loro iniziativa, o comunque ad un’attività della quale essi erano responsabili.

Si tratta, palesemente, di un accertamento di merito non controvertibile in sede di legittimità.

8. Con il decimo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in tema di regolazione delle spese.

Si osserva che la domanda contro i direttori dei lavori avrebbe dovuto essere rigettata, con conseguente condanna degli attori al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio nei confronti dei ricorrenti.

8.1. Il motivo, che non è neppure propriamente tale, non è fondato.

La Corte d’appello, infatti, ha doverosamente fatto applicazione del principio di soccombenza, per cui non è chiaro di cosa possa oggi dolersi il ricorrente.

9. In conclusione, il ricorso principale è rigettato, mentre quello incidentale è dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di cassazione vanno compensate tra i ricorrenti, in considerazione delle loro posizioni sostanzialmente convergenti e dell’esito della lite.

Sussistono tuttavia le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e compensa integralmente tra i ricorrenti le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2017

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