Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22056 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 11/09/2018, (ud. 08/05/2018, dep. 11/09/2018), n.22056

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11629/2017 proposto da:

B.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RICCARDO

GRAZIOLI LANTE 5, presso lo studio dell’avvocato MARCO BENVENUTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato LUCREZIA NOVARO;

– ricorrente –

contro

M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

PATRIZIA MALTAGLIATI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 332/2017 del TRIBUNALE di SAVONA, depositata

il 17/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 08/05/2018 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Dato atto che il Collegio ha disposto la motivazione semplificata.

Fatto

RILEVATO

che:

in relazione all’opposizione proposta da B.C. avverso il D.I. n. 345 del 2015, emesso dal Giudice di Pace di Savona ad istanza dell’avv. M.P., il Tribunale di Savona ha riformato la sentenza di primo grado, dichiarando la tardività dell’opposizione, in quanto proposta oltre il termine di quaranta giorni dalla notifica del decreto effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c.;

ha proposto ricorso per cassazione la B., affidandosi a due motivi; ha resistito l’intimato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo (“falsa applicazione di legge (…) in relazione all’art. 339 c.p.c., comma 3. Inappellabilità della sentenza emessa dal Giudice di Pace di Savona”), la ricorrente assume che l’appello non era ammissibile, in quanto la causa (del valore di 649,40 Euro) doveva intendersi pronunciata secondo equità e il vizio dedotto -attinente alla tardività dell’opposizione – non concerneva la violazione di norme del procedimento;

il motivo è infondato: essendo volto a far valere la tardività dell’opposizione al d.i., l’appello aveva dedotto una violazione delle norme sul procedimento (comprensive delle norme disciplinanti il procedimento notificatorio) in cui era incorso il primo giudice ed era pertanto ammissibile ai sensi dell’art. 339 c.p.c., comma 3;

col secondo motivo (“falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 139-140 c.p.c.”), la ricorrente deduce la nullità della notifica, effettuata ex art. 140 c.p.c., ad un indirizzo che non costituiva più la sua residenza dell’ingiunta e con avviso raccomandato ricevuto da un “sedicente vicino di casa (…) in assenza di qualunque delega o indicazione della B.”;

il motivo è inammissibile e, comunque, infondato;

inammissibile, in quanto svolto in difetto di autosufficienza, senza ottemperare all’onere di trascrivere il contenuto degli atti su cui è basato (relata di notifica, avviso di ricevimento della raccomandata, certificato di residenza, certificato indicato al punto f di pag. 7 del ricorso) e di indicarne la sede di reperimento;

comunque infondato, giacchè la ricorrente non ha offerto la prova che il luogo in cui è avvenuta la notifica non corrispondesse alla sua dimora, alla luce del principio secondo cui, “al fine di dimostrare la sussistenza della nullità di una notificazione, in quanto eseguita in luogo diverso dalla residenza effettiva del destinatario, non costituisce prova idonea la produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza difforme rispetto al luogo in cui è stata effettuata la notificazione. Nell’ipotesi in cui la notifica venga eseguita, nel luogo indicato nell’atto da notificare e nella richiesta di notifica, secondo le forme previste dall’art. 140 c.p.c., è da presumere che in quel luogo si trovi la dimora del destinatario e, qualora quest’ultimo intenda contestare in giudizio tale circostanza al fine di far dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l’onere di fornirne la prova” (Cass. n. 10107/2014, conforme a Cass. n. 15200/2005); nè la ricorrente ha adeguatamente contestato l’affermazione del Tribunale circa il fatto che l’appellata non aveva dimostrato di essere nell’impossibilità di prendere cognizione della raccomandata ritirata dal vicino;

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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