Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22054 del 17/10/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 22054 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 21160-2013 proposto da:
VIALE FABRIZIO c.f. VLIFRZ78R06H501Q, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 4, presso lo
studio dell’avvocato CARLO DE MARCHIS GOMEZ, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2014
1814

I.V.R.I. – ISTITUTI DI VIGILANZA RIUNITI D’ITALIA
S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;
– intimato ricorso successivo senza n. di r.g.

Data pubblicazione: 17/10/2014

VIALE FABRIZIO c.f. VLIFRZ78R06H501Q, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 4, presso lo
studio dell’avvocato CARLO DE MARCHIS GOMEZ, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente successivo –

CLOTILDE S.r.l. in liquidazione (c.f. 05795270965),

G4eitt:,
in oersona dei

–t-e147(5-pr,1_

elettivamente domiciliata in ROMA VIA BUCCARI N. 3
presso lo studio dell’avvocato PROIETTI FABRIZIO che
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MORO
CLAUDIO, giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso successivo –

avverso la sentenza n. 2423/2012 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/03/2013 R.G.N.
8687/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/05/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato DE MARCHIS GOMEZ CARLO;
udito l’Avvocato PROIETTI FABRIZIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per il
rigetto del primo motivo del ricorso, accoglimento
del secondo motivo.

contro

Udienza del 22 maggio 2014— Aula A
n. 6 del ruolo — RG n. 145444
2.%
Presidente: Stile – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata (depositata il 16 marzo 2013), accogliendo l’appello
di IVRI (Istituti di Vigilanza Riuniti d’Italia) s.r.l. in liquidazione avverso la sentenza del Tribunale
di Roma del 23 dicembre 2009, riforma la suindicata sentenza e rigetta la domanda proposta da
Fabrizio Viale nei confronti della società RI.
La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:
a) la ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza di primo grado è contestata,
fondatamente, dalla società SVRI con riguardo sia alla ritenuta giustificazione della condotta del
Viale derivante dalla sofferenza per il caldo sia all’inidoneità della stessa ad esporre a concreto
pericolo l’obiettivo della vigilanza (cioè la Banca in oggetto);
b) al riguardo va osservato che, come risulta dall’art. 11 del Regolamento del Questore di
Roma in materia di servizio anti-rapina — fonte non citata dal primo giudice — la guardia giurata ha
l’obbligo di non allontanarsi dalla posizione assegnata, senza previa autorizzazione dell’Istituto di
vigilanza da cui dipende, salvo l’ipotesi di malore di tale gravità da impedire la pronta
comunicazione al datore di lavoro;
c) non sembra che tale ultima evenienza si sia verificata nella specie, sicché il ricorrente,
benché privo di telefono cellulare aziendale, avrebbe potuto avvertire la centrale dell’Istituto
utilizzando il telefono della Banca;
d) a fronte della violazione del suddetto obbligo, “non possono rilevare come elementi di
valutazione della condotta” il previo accordo con il responsabile dell’Istituto bancario,
l’autorizzazione ad allontanarsi da questi ricevuta e le cautele concordate (disattivazione
dell’accesso automatico e attivazione di quello manuale a cura del responsabile della Banca), tanto
più che l’aver dismesso il giubbotto antiproiettile deve essere considerato come un ulteriore
elemento della idoneità del comportamento contestato ad esporre a concreto pericolo l’obiettivo da
vigilare, piuttosto che come una circostanza che conferma lo stato di malessere, come ritenuto dal
primo giudice”;
e) peraltro, non può essere condivisa neppure la premessa interpretativa che ha portato del
giudice di primo grado — a fronte di un linguaggio tutt’altro che chiaro utilizzato sia nella fonte
legale sia in quella contrattuale — ad escludere che la suddetta condotta integri l’abbandono del
posto di lavoro, sanzionabile con il licenziamento in base al CCNL applicabile;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

f) tale premessa, infatti, consiste nell’attribuire al termine abbandono, nel caso regolato dal
suddetto CCNL, il significato di allontanamento assoluto e definitivo, sulla base di una esegesi
puramente letterale;

h) la suddetta situazione — da distinguere dal momentaneo allontanamento dal posto di lavoro
— per il lavoratore cui sono affidati compiti di custodia e sorveglianza configura una mancanza di
rilevante gravità, idonea a determinare l’irrimediabile venire meno dell’elemento fiduciario nel
rapporto di lavoro, indipendentemente sia dall’effettiva produzione di un danno sia dalla mancanza
di una corrispondente previsione nel codice disciplinare sia dalla omessa affissione del codice
stesso.
2.- In data 30 ottobre 2013 i difensori di IVRI hanno notificato al difensore del Viale atto
interruttivo del giudizio ex art. 299 cod. proc. civ. in conseguenza della intervenuta cancellazione di
IVRI in liquidazione dal registro delle imprese, in pendenza dell’originario ricorso per cassazione
notificato alla società cancellata.
Pertanto, il Viale, avendo interesse a proseguire il giudizio, ha provveduto a notificare un
nuovo ricorso — identico al precedente — alla Clotilde s.r.l. in liquidazione, nella sua qualità di socia
unica della società IVRI in liquidazione e quindi di legittimata passiva ex lege per la posizione
processuale della originaria intimata.
2.— Il ricorso di Fabrizio Viale domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste,
con controricorso, la Clotilde s.r.l. in liquidazione che deposita anche memoria ex art. 378 cod.
proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente i ricorsi devono essere riuniti, perché proposti avverso la medesima
sentenza.

I Profili preliminari

1.- Fabrizio Viale ha proposto due distinti e identici ricorsi notificati, rispettivamente, a IVRI
(Istituti di Vigilanza Riuniti d’Italia) s.r.l. in liquidazione e — dopo che i difensori di IVRI hanno
notificato al difensore del Viale atto interruttivo del giudizio ex art. 299 cod. proc. civ. in
conseguenza della intervenuta cancellazione di IVRI in liquidazione dal registro delle imprese in
pendenza dell’originario ricorso per cassazione notificato alla società cancellata — — alla Clotilde
s.r.l. in liquidazione, nella sua qualità di socia unica della società IVRI in liquidazione e quindi di
legittimata passiva ex lege per la posizione processuale della originaria intimata.
Al riguardo si ricorda che, in base al consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, il
ricorso per cassazione deve essere proposto a pena di inammissibilità con unico atto avente i
2

g) viceversa, secondo un criterio finalistico desunto dall’insieme degli obblighi propri della
guardia giurata che sono indicati nel suddetto Regolamento e che delineano nella sostanza l’attività
di vigilanza richiesta, può ritenersi — in conformità con la giurisprudenza di legittimità non
condivisa dal Tribunale — che ricorre l’abbandono tutte le volte in cui viene meno la concreta
possibilità di esercitare la vigilanza;

Nella specie, però, la proposizione del secondo ricorso, avvenuta tempestivamente, risulta
ammissibile e rituale, in quanto tale ulteriore e distinto atto di impugnazione non può apprezzarsi
come atto meramente integrativo o correttivo dell’originario ricorso per cassazione (vedi, per tutte:
Cass. 31 maggio 2010, n. 13257; Cass. 11 maggio 2012, n. 7344; Cass. 27 settembre 2013, n.
22256), sicché è da escludere che la proposizione del primo ricorso abbia comportato la
consumazione del potere d’impugnazione, in quanto la necessità di proporre il secondo ricorso è
stata determinata dalla comunicazione della cancellazione della originaria destinataria del ricorso
dal registro delle imprese, che, essendo avvenuta in data successiva all’entrata in vigore dell’art. 4
del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ha efficacia costitutiva.
Ciò comporta, come chiarito dalla consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte,
che, con la cancellazione, si verifica l’immediata estinzione della società cancellata, con
conseguente sua privazione della capacità di stare in giudizio, sicché, qualora l’estinzione
intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento
interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o
riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 cod.
proc. civ.; qualora l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando
farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza,
pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità,
dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non
può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso (vedi, per tutte: Cass. SU 12
marzo 2013, n. 6070; Cass. 9 aprile 2013, n. 8596; Cass. 20 settembre 2013, n. 21517).
Peraltro, dalla ritualità della proposizione del secondo ricorso deriva l’inammissibilità del
primo (proposto nei confronti della società INVRI), per effetto dell’estinzione della società che ne
era destinataria.
Ciò consente anche di evitare in radice la “moltiplicazione” degli atti di impugnazione
avverso la medesima sentenza, che è una situazione contraria ai principi del giusto processo di cui
all’art. 111 Cost., come già rilevato da questa Corte in precedenti occasioni (vedi, per tutte: Cass. 3
gennaio 2003, n. 8; Cass. 14 gennaio 2003, n. 358 Cass. 16 luglio 2012, n. 12161; Cass. 14
novembre 2013, n. 25609 cit.).
2.— Sempre, in via preliminare, va dichiarata d’ufficio l’inammissibilità dei profili di censura
proposti ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., in entrambi i motivi del ricorso, rispettivamente, formulati
come: “insufficiente, contraddittoria e illogica motivazione della sentenza su un punto decisivo
3

requisiti di forma e contenuto indicati dalla pertinente normativa di rito, sicché è inammissibile un
nuovo atto successivamente notificato a modifica od integrazione dell’originario ricorso, sia che
concerna l’indicazione dei motivi, ostandovi il principio della consumazione dell’impugnazione, sia
che tenda a colmare la mancanza di taluno degli elementi prescritti, quali l’esposizione dei fatti di
causa o la sintesi della questione di motivazione relativamente al fatto controverso, essendo solo
possibile — ove non siano decorsi i termini — la proposizione di un nuovo ricorso in sostituzione del
primo, ma non anche ad integrazione, né a correzione di un ricorso viziato che non sia ancora stato
dichiarato inammissibile. (vedi, fra le tante: Cass. 31 maggio 2010, n. 13257; Cass. 14 novembre
2013, n. 25609).

della controversia”(nel primo motivo) e come “contraddittoria e illogica motivazione della sentenza
su un punto decisivo della controversia” (nel secondo motivo).

Come di recente precisato dalle Sezioni unite di questa Corte (vedi: sentenze 7 aprile 2014, n.
8053 e n. 8054) nei giudizi per cassazione assoggettati ratione temporis alla nuova normativa, la
formulazione di una censura riferita al n. 5 dell’art. 360 cit. che replica sostanzialmente il
previgente testo di tale ultima disposizione — come accade nella specie — si palesa inammissibile
alla luce del nuovo testo della richiamata disposizione, che ha certamente escluso la valutabilità
della “insufficienza” della motivazione, limitando il controllo di legittimità all’«omesso esame circa
un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», “omesso esame” che
non costituisce nella specie oggetto di censura.
Deve essere, peraltro, precisato che, come si è detto, il suddetto inconveniente si riscontra
soltanto con riguardo ad una parte delle censure proposte con i due motivi di ricorso e non
impedisce, quindi, l’esame delle restanti censure.

II Sintesi dei motivi di ricorso

3.— Il ricorso proposto nei confronti della Clotilde s.r.l. in liquidazione è articolato in due
motivi.
3.1.— Con il primo motivo si denunciano: a) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2119,
1362, 1363, 1364, 1366 cod. civ., dell’art. 1 della legge 15 luglio 1966, n. 604, nonché degli artt.
101 e 104 CCNL per gli Istituti di vigilanza; b) vizio di motivazione nei suddetti termini (vedi
sopra paragrafo 1).
Si contesta la statuizione della Corte romana secondo cui — dopo la distinzione tra
“abbandono del posto di lavoro” da parte di un dipendente cui siano affidati compiti di custodia e
sorveglianza e “momentaneo allontanamento dal posto di lavoro” da parte dello stesso dipendente —
è stato ritenuto che, nella specie si sia in presenza della prima delle due suddette fattispecie, benché
il lavoratore si sia temporaneamente allontanato di pochi metri dal posto di lavoro per un
improvviso malore dovuto al caldo eccessivo, dopo aver avvertito il responsabile dell’Istituto
bancario presso il quale prestava servizio, data l’impossibilità di mettersi in contatto con la centrale
operativa dell’Istituto di vigilanza da cui dipendeva, a causa del non corretto funzionamento della
radio-trasmittente in dotazione, che invano aveva segnalato in passato.
Ciò avrebbe portato il Giudice di appello — in contrasto con la normativa collettiva e, in
particolare, con l’art. 140 del CCNL da applicare — a considerare il comportamento contestato al
ricorrente sanzionabile con il licenziamento per giusta causa, che ha precisato di non concordare —
senza esplicitarne efficacemente le ragioni, tanto più in considerazione dell’equivocità del testo —
4

Infatti, al presente ricorso si applica ratione temporis (visto che la sentenza impugnata è stata
depositata il 16 marzo 2013 e la novella si applica ai ricorsi avverso sentenze depositate dopo il
giorno 11 settembre 2012) il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. in base al quale ai sensi
della suindicata disposizione si può denunciare l’«omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» e non più la «omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio».

con l’esegesi puramente letterale dell’espressione “abbandono del servizio” adottata dal primo
giudice, alla cui stregua la suddetta situazione, come regolata dal CCNL in oggetto, equivarrebbe ad
un “allontanamento assoluto e definitivo”.

Si sostiene che la Corte d’appello ha affermato la sussistenza della giusta causa di recesso
senza valutare la condotta materiale del lavoratore, in relazione all’elemento intenzionale e a tutte le
circostanze del caso concreto e, in particolare, senza attribuire esatto rilievo alla circostanza — pur
affermata nella sentenza — secondo cui l’allontanamento è stato determinato da un malore.
A tale riguardo, infatti, la Corte territoriale ha affermato che la suddetta motivazione
fisiologica non può essere intesa come valida causa di temporanea assenza dal servizio, “se non vi
sia stata autorizzazione dell’Istituto di vigilanza”.
Si rileva che l’art. 101 del CCNL cit. esclude che possano costituire giusta causa di
licenziamento sia l’addormentamento sia l’alterazione impeditiva della vigilanza, indotta dallo stato
di ubriachezza, mentre la mancata comunicazione del malessere all’Istituto, dà luogo ad una
condotta diversa da quella contestata e, quindi, non è rilevante nel presente giudizio.
Inoltre, nella sentenza impugnata si sostiene che “non possono rilevare come elementi di
valutazione della condotta” il previo accordo con il responsabile dell’Istituto bancario,
l’autorizzazione ad allontanarsi da questi ricevuta e le cautele concordate (disattivazione
dell’accesso automatico e attivazione di quello manuale a cura del responsabile della Banca).
Viceversa, tali elementi avrebbero dovuto entrare nella valutazione da compiere ai sensi
dell’art. 2119 cod. civ. perché dimostrano la buona fede e correttezza del ricorrente ed escludono
che egli abbia manifestato la volontà di “abbandonare” il posto di lavoro.
Questa considerazione — avvalorata anche dalla deposizione testimoniale del responsabile
dell’Istituto bancario, cui la Corte romana non ha dato alcun rilievo — non poteva non avere peso nel
giudizio di proporzionalità della sanzione.
III — Esame delle censure
4.- Il ricorso, nei limiti delle censure ammissibili — che vanno esaminate insieme, in quanto
intimamente connesse — deve essere accolto, per le ragioni di seguito esposte.
5.- Innanzi tutto va precisato che, in base ad un consolidato e condiviso orientamento di
questa Corte (vedi, per tutte: Cass. 9 dicembre 2013, n. 27440), il giudizio di proporzione della
sanzione disciplinare rispetto al fatto illecito addebitato integra al lavoratore un giudizio di diritto
ossia di sussunzione dello stesso fatto sotto la previsione legale degli arti. 1 della legge 15 luglio
1966, n. 604 oppure 2119 cod. civ., perciò esso può essere censurato invocando l’art. 360, n. 3 — e
non n. 5 — cod. proc. civ.

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3.2.— Con il secondo motivo si denunciano: a) violazione e/o falsa applicazione degli arti.
2119, 1175 e 1176 cod. civ. e dell’art. 1 della legge 15 luglio 1966, n. 604; b) vizio di motivazione
nei suddetti termini (vedi sopra paragrafo 1).

Conseguentemente, la dichiarata inammissibilità delle censure riferite all’art. 360, n. 5, cod.
proc. civ., risulta, nella specie, del tutto ininfluente, visto che comunque tutte le censure del
ricorrente sono incentrate sulla denuncia della erronea falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ.
6.- Detto questo, dalla sentenza impugnata risulta che la Corte d’appello ha male applicato
tale disposizione, nella sua combinazione con le norme del CCNL di settore e del Regolamento del
Questore di Roma che qui vengono in considerazione, in quanto:

2) non ha tenuto presente che ex art. 6 del Regolamento stesso:
«a) Gli Istituti di vigilanza provvedono affinché le guardie particolari giurate nello
espletamento e secondo la tipologia dei servizi cui sono adibite, siano fornite dell’equipaggiamento
tecnico operativo (radio ricetrasmittenti, auto radio collegate, armi giubbotti antiproiettile, torce,
telefoni portatili ecc.), previsto dalle presenti prescrizioni, e necessario per garantire la sicurezza
delle stesse e l’efficienza dei servizi.
b) I mezzi tecnici debbono essere nello stato di assoluta e controllata efficienza e
funzionalità»;
3) ha erroneamente valutato l’elemento oggettivo della fattispecie, limitandosi a dare rilievo al
dovere di non mettere a rischio l’obiettivo, di cui all’art. 11 del Regolamento, senza considerare che
tale norma fa espresso riferimento ad “esigenze fisiologiche di breve durata” stabilendo “n) In caso
di assenza, anche temporanea, della guardia particolare giurata, la stessa deve essere sostituita a
cura dell’Istituto di vigilanza, con l’esclusione di brevissima assenza per esigenze fisiologiche,
durante la quale, previo accordi con il funzionario preposto, potrà essere sostituita da personale
della banca stessa”;
4) neppure ha considerato che era pacifico che il Viale avesse avuto un malore per il caldo
eccessivo — era il 31 luglio ad Ardea — e ciò era stato confermato dal vice-direttore della Banca, e,
d’altra parte, nel controricorso, l’Istituto di vigilanza non nega tale situazione, e anzi parla della
opportunità per la guardia di portarsi una borraccia da casa, senza considerare che essendo la
borraccia o anche una bottiglia d’acqua un oggetto che può essere pericoloso, soprattutto in
considerazione delle delicate mansioni delle guardie giurate, dovrebbe essere il datore di lavoro a
fornire l’acqua ai dipendenti costretti a stare nei box con il giubotto antiproiettile addosso.
7.- Sulla base di tali erronee premesse, la Corte romana, è giunta a ritenere che il
comportamento del Viale fosse da configurare come un “abbandono di servizio”, giustificando, in
modo poco plausibile, la diversità della presente fattispecie rispetto a quella — in realtà, del tutto
analoga — decisa da questa Corte con la sentenza 22 giugno 2009, n. 14586, con la quale è stata
cassata la sentenza di merito che aveva ritenuto giustificato il licenziamento disciplinare intimato ad
un lavoratore, la cui condotta aveva determinato il blocco di breve durata delle macchine e
l’abbandono momentaneo del posto di lavoro in orario notturno, senza considerare la permanenza

6

1) non ha preso in considerazione l’art. 7 del Regolamento del Questore di Roma in oggetto,
secondo cui: “L’inosservanza dei doveri da parte del personale comporta l’adozione dei
provvedimenti disciplinari che vengono regolati dal vigente CCNL”;

del lavoratore nei locali aziendali a breve distanza dalla postazione di lavoro, l’assenza di danno per
l’attività produttiva, la lunga durata del rapporto e la mancanza di precedenti disciplinari.

8.- Né va omesso di sottolineare che la Corte romana — pur riconoscendo la scarsa chiarezza
del linguaggio utilizzato sia nella fonte legale sia in quella contrattuale per l’individuazione
dell’ipotesi dello “abbandono del servizio” — senza neppure considerare la generale finalità di
protezione del lavoratore cui sono finalizzati il diritto del lavoro e il relativo processo, ha adottato
della anzidetta locuzione un significato che non corrisponde né a quello ordinario del termine
“abbandono” né a quello cui si fa riferimento, in ambito penalistico, per la configurazione del reato
militare di “abbandono di posto” (di cui all’art. 120 codice penale militare di pace).
Infatti, in entrambe le accezioni, si richiede un elemento volontaristico, che con riguardo al
reato suindicato, viene individuato nel dolo generico, consistente “nella semplice coscienza e
volontà di allontanamento dal posto di servizio”, con violazione degli ordini ricevuti (Cass. pen. 4
ottobre 2007, n. 39449; Cass. pen. 17 dicembre 2008, n. 5030).
Pertanto, se si può condividere l’assunto della Corte d’appello secondo cui al termine
abbandono, nel caso regolato dal suddetto CCNL, non si può attribuire il significato di
“allontanamento assoluto e definitivo”, come sostenuto dal giudice di primo grado, sulla base di una
esegesi puramente letterale, tuttavia non è possibile accadere alla tesi della Corte romana per cui,
secondo un criterio finalistico desunto dall’insieme degli obblighi propri della guardia giurata
indicati nel suddetto Regolamento e che delineano nella sostanza l’attività di vigilanza richiesta,
ricorrerebbe l’abbandono del servizio, per le guardie giurate, tutte le volte in cui viene meno la
concreta possibilità di esercitare la vigilanza, sicché si tratterebbe di una situazione nella quale non
avrebbe alcun rilievo l’elemento psicologico del lavoratore e che, quindi, sia pure ai fini
disciplinari, sarebbe sanzionata in modo ancora più severo della fattispecie penalistica militare.
Questa particolare accezione della locuzione “abbandono del servizio” ha quindi portato la
Corte d’appello a ritenere che, nella specie, per il fatto stesso — nella sua oggettività — di aver
lasciato il posto di lavoro il Viale avrebbe abbandonato il servizio e quindi commesso una
mancanza che, dati i compiti di custodia e sorveglianza affidatigli, sarebbe da considerare di
rilevante gravità, come tale idonea a determinare l’irrimediabile venire meno dell’elemento
fiduciario nel rapporto di lavoro, indipendentemente sia dall’effettiva produzione di un danno sia
dalla mancanza di una corrispondente previsione nel codice disciplinare sia dalla omessa affissione
del codice stesso.
9.- È tuttavia evidente che questa accezione “oggettiva” dalla suindicata fattispecie — che pure
nella sentenza viene, in linea teorica, distinta dal momentaneo allontanamento dal posto di lavoro,
ma senza altra spiegazione — ha indotto la Corte territoriale a non attribuire alcun rilievo a tutte le
7

Come dimostra anche la affermata diversità tra le due indicate di fattispecie di cui si è detto,
la Corte romana, ha ritenuto di ravvisare la fattispecie dello “abbandono di servizio” in quanto, sulla
base di un non completo esame di tutte le norme del Regolamento cit. e del CCNL, ha omesso di
valutare la congruità della sanzione espulsiva, tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla
luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione
del rapporto, come da sempre affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, ivi compresa la citata
sentenza 22 giugno 2009, n. 14586.

10.- Ma, come si è detto, la ricostruzione logico-giuridica della Corte d’appello è anche il
frutto di lettura non completa del Regolamento cit. e del CCNL.
Va, infatti, ricordato che, nell’ambito del Regolamento, in atti:
— in base all’art. 6 (Dotazioni)
“a) Gli Istituti di vigilanza provvedono affinché le guardie particolari giurate nello
espletamento e secondo la tipologia dei servizi cui sono adibite, siano fornite dell’equipaggiamento
tecnico operativo ( radio ricetrasmittenti, auto radio collegate, armi giubbotti antiproiettile, torce,
telefoni portatili ecc.kprevisto dalle presenti prescrizioni, e necessario per garantire la sicurezza
delle stesse e l’efficienza dei servizi.
bì I mezzi tecnici debbono essere nello stato di assoluta e controllata efficienza e funzionalità.
c) È fatto divieto di utilizzare, per l’espletamento dei servizi di vigilanza, automezzi che non
siano di proprietà od in uso all’istituto di vigilanza. Gli stessi devono essere radio collegati con la
centrale operativa dell’Istituto di vigilanza, muniti dei contrassegni identificativi dell’Istituto
medesimo, in uno stato di assoluta efficienza e funzionalità che deve essere accertato mediante
periodici controlli e manutenzione degli stessi.
d) Gli istituti di vigilanza hanno, pertanto, l’obbligo di:
accertare periodicamente l’idoneità dell’equipaggiamento tecnico operativo, fornito in

dotazione o in uso alle guardie particolari giurate, e del parco macchine;
predisporre, secondo i criteri già a suo tempo stabiliti, la documentazione attestante

l’acquisto, la garanzia, la manutenzione del predetto equipaggiamento”;
omissis
— per l’art. 7 (Controlli e sanzioni disciplinari):
“a) Gli Istituti vigilano sull’adempimento delle prescrizioni da parte delle guardie particolari
giurate nell’esecuzione dei singoli servizi.
omissis

8

cautele pacificamente prese dal Viola e risultanti anche dalla testimonianza del responsabile della
Banca, giungendo addirittura ad affermare che , “non possono rilevare come elementi di valutazione
della condotta” il previo accordo con il responsabile dell’Istituto bancario, l’autorizzazione ad
allontanarsi da questi ricevuta e le cautele concordate (disattivazione dell’accesso automatico e
attivazione di quello manuale a cura del responsabile della Banca)” e arrivando a concludere, sul
punto, che la dismissione del giubbotto antiproiettile deve essere considerata “un ulteriore elemento
della idoneità del comportamento contestato ad esporre a concreto pericolo l’obiettivo da vigilare,
piuttosto che come una circostanza che conferma lo stato di malessere, come ritenuto dal primo
giudice”.

b) Per quanto concerne gli aspetti disciplinari, si fa riferimento alla normativa stabilita
dall’art.7 della Legge n.300 del 20.5.1970 (Statuto dei lavoratori)

In conformità a quanto previsto dal R.D.L. n.2144 del 12/11/1936, i suddetti provvedimenti,
unitamente alla documentazione relativa, devono essere comunicati allo scrivente al quale è
attribuito il potere disciplinare sulle guardie particolari giurate. A norma del suddetto R.D.L.
n.2144/36, il Questore valuterà l’opportunità dell’adozione di provvedimenti amministrativi a carico
delle guardie particolari giurate che non osservino scrupolosamente le direttive di cui al presente
Regolamento di Servizio”.
— Secondo l’art. 10 (Servizio di vigilanza fissa):
“a) Il servizio di vigilanza fissa diurna o notturna, ad un obiettivo, è espletata da una o più
guardie particolari giurate armate, in uniforme e munite di apparato ricetrasmittente, torcia elettrica
e ordine di servizio scritto”.
— In base all’art. 11 (Servizio interno — box blindato):
“l) Qualora il servizio di vigilanza antirapina venga effettuato all’interno degli istituti di
credito, che abbiano adottato sistemi di difesa passiva, (es. metal-detector), per tutto l’orario di
sportello la guardia particolare giurata deve sostare all’interno del box blindato, la cui porta dovrà
essere chiusa a chiave dall’interno.
omissis
n) In caso di assenza, anche temporanea, della guardia particolare giurata, la stessa deve
essere sostituita a cura dell’Istituto di vigilanza, con l’esclusione di brevissima assenza per esigenze
fisiologiche, durante la quale, previo accordi con il funzionario preposto, potrà essere sostituita da
personale della banca stessa.
11.- D’altra parte, dal CCNL 2010 — Istituti di vigilanza (in atti) risulta quanto segue:
— “Art. 101 —Norme generali
Il lavoratore ha l’obbligo di osservare nel modo più scrupoloso i doveri inerenti alle sue mansioni e
di usare modi cortesi e corretti verso i superiori, i colleghi, i subalterni ed il pubblico.
omissis
Le seguenti norme disciplinari costituiscono il codice di disciplina la cui affissione esaurisce gli
obblighi di pubblicità di cui all’art. 7 Legge n. 300/70.
La inosservanza dei doveri da parte del personale comporta i seguenti provvedimenti, che saranno
presi dal datore di lavoro in relazione all’entità delle mancanze ed alle circostanze che le
accompagnano e descritte a titolo indicativo:
1) rimprovero verbale o scritto;
9

L’inosservanza dei doveri da parte del personale comporta l’adozione dei provvedimenti
disciplinari che vengono regolati dal vigente CCNL.

2) multa in misura non eccedente le quattro ore della retribuzione giornaliera;
3) sospensione della retribuzione e dal servizio da uno a sei giorni.
omissis
C) il provvedimento della sospensione di cui al precedente n. 3 si applica nei confronti del
lavoratore che:
– esegua con negligenza grave il lavoro affidatogli;
– ometta parzialmente di eseguire la prestazione richiesta;
– arrechi danno alle cose ricevute, in dotazione od uso, con responsabilità;
– si assenti per un giorno dal lavoro senza valida giustificazione;
– non avverta subito i superiori diretti di eventuali irregolarità nell’adempimento del servizio;
– si presenti in servizio in stato di manifesta ubriachezza;
– si addormenti in servizio.
Per l’applicazione delle sanzioni disciplinari di cui al presente articolo si richiamano le norme
dell’art. 7 Legge 20 maggio 1970 n. 300 (all. 12) e l’importo delle eventuali multe sarà versato al
Fondo Adeguamento Pensioni presso l’INPS”.
— Art. 140 — Licenziamento per giusta causa
Il licenziamento per giusta causa, con perdita dell’indennità di preavviso, si applica nei confronti
del lavoratore che commetta una mancanza che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria,
del rapporto di lavoro.
A titolo indicativo rientrano fra le mancanze di cui al precedente comma:
– il diverbio litigioso seguito da vie di fatto in servizio, anche fra due dipendenti;
– l’abuso di autorità;
– l’assenza ingiustificata oltre i cinque giorni consecutivi o assenza per sette
giorni complessivi in un anno, sempre senza giustificato motivo;
– l’aver taciuto, al momento dell’assunzione in servizio, circostanze tali che
avrebbero impedito l’assunzione stessa e che, ove il dipendente fosse stato in servizio, ne avrebbe
determinato il licenziamento;
– la recidività nell’addormentarsi in servizio o l’ubriacarsi in servizio;
– l’abbandono del posto di lavoro;
– l’insubordinazione verso i superiori;
10

- l’assunzione diretta di servizi di vigilanza.

a) la mancata fornitura alla guardia giurata di radio rice-trasmittente e/o il telefono portatile per
potere comunicare agevolmente con la Centrale;
b) l’obbligo sussistente, in base al Regolamento, a carico dell’istituto di vigilanza datore di lavoro
non solo l’obbligo di provvedere a tale fornitura, ma anche di curarne lo “stato di assoluta e
controllata efficienza e funzionalità”, attraverso periodici accertamenti della loro idoneità all’uso,
mentre, nella specie, è incontestato che la radio-trasmittente data in dotazione al Viale non era
correttamente funzionante e che l’interessato lo aveva invano segnalato in passato, al datore di
lavoro;
c) il fatto che l’art. 11 del Regolamento, richiamato dalla Corte romana — dopo aver precisato che
per il servizio di vigilanza antirapina svolto all’interno degli istituti di credito dotati di sistemi di
difesa passiva, la guardia particolare giurata deve sostare all’interno del box blindato, la cui porta
dovrà essere chiusa a chiave dall’interno “per tutto l’orario di sportello” — aggiunge che “in caso di
assenza, anche temporanea, della guardia particolare giurata, la stessa deve essere sostituita a cura
dell’Istituto di vigilanza, con l’esclusione di brevissima assenza per esigenze fisiologiche, durante la
quale, previo accordi con il funzionario preposto, potrà essere sostituita da personale della banca
stessa”;
d) il fatto che, come risulta da quanto detto, l’art. 140 del CCNL, comprende tra le ipotesi
esemplificativamente indicate come idonee a determinare il licenziamento per giusta causa anche lo
“abbandono del posto di lavoro”, ma lo fa nell’ambito di un elenco di fattispecie di grave
insubordinazione tutte contraddistinte da intenzionalità specifica della condotta volta a non
rispettare le direttive del datore di lavoro e/o tradirne la fiducia;
e) pertanto, considerando che non vi è alcuna ulteriore precisazione in merito agli elementi che
caratterizzano la suddetta fattispecie di “abbandono del posto di lavoro”, l’unico significato ad essa
attribuibile non poteva che essere quello di condotta connotata dalla “coscienza e volontà di
allontanamento dal posto di servizio”, con la precisa intenzione di violare le direttive ricevute;
f) la rilevanza, da attribuire, ai fini della valutazione della condotta — e, in particolare, per valutare
l’elemento psicologico di essa e la sua rispondenza, o meno, ai canoni della buona fede e
correttezza — alle cautele pacificamente concordate con il responsabile dell’Istituto bancario e, in
particolare, alla autorizzazione da questi ricevuta prima di allontanarsi dal box in cui svolgeva
l’attività di vigilanza.
IV — Conclusioni

11

13.- Dalla lettura coordinata delle su riportate norme del Regolamento e del contratto
collettivo — effettuata sulla base degli artt. 1362 e ss. cod. civ. e alla luce degli artt. 2119 cod. civ.
nonché dell’art. 1 della legge 15 luglio 1966, n. 604 — si desume che, nell’effettuare il giudizio di
proporzione del licenziamento per giusta causa in oggetto rispetto al fatto addebitato al Viale, la
Corte d’appello avrebbe dovuto attribuire rilievo anche ai seguenti decisivi elementi della
fattispecie:

«Nel silenzio della normativa legislativa, contrattuale e regolamentare in merito alla
definizione della ipotesi di “abbandono del posto di lavoro” che legittima il licenziamento per giusta
causa della guardia giurata privata — anche se impegnata nel servizio di vigilanza antirapina svolto
all’interno degli istituti di credito dotati di sistemi di difesa passiva e, pertanto, tenuta a sostare
all’interno dell’apposito box blindato, la cui porta deve essere chiusa a chiave dall’interno “per tutto
l’orario di sportello” — sulla base di una interpretazione logico-finalistica e sistematica della relativa
disciplina, si deve ritenere che l’unico significato attribuibile alla indicata fattispecie sia quella di
una condotta connotata dalla “coscienza e volontà di allontanamento dal posto di servizio”, con la
precisa intenzione di violare le direttive ricevute e che la sua realizzazione presupponga che
l’interessato abbia lasciato la postazione di lavoro senza previa autorizzazione dell’Istituto di
vigilanza da cui dipende omettendo di comunicare prontamente all’Istituto stesso la propria
necessità di allontanarsi, sempreché il datore di lavoro abbia rispettato l’obbligo di dotare la guardia
giurata stessa di radio rice-trasmittente e/o il telefono portatile in buono stato di funzionamento,
proprio per consentire agevoli e immediate comunicazioni del dipendente con la Centrale».
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti di VRI
s.r.1., in liquidazione. Accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso proposto nei confronti
della Clotilde s.r.1., in liquidazione. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, e
rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in
diversa composizione.
Cos’ • eciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 22 maggio 2014.

14.- Per tutte le suindicate ragioni la sentenza impugnata va, pertanto, cassata e la causa
rimessa la stessa Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale, decidendo anche in
ordine alle spese del presente giudizio di cassazione, si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della
controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente:

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