Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22053 del 17/10/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 22053 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 20603-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo
studio dell’avvocato STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS,
rappresentata e difesa dall’avvocato TRIFIRO’
2014

SALVATORE, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1498

contro

PULVIRENTI GIOVANNI;
– intimato –

Data pubblicazione: 17/10/2014

Nonché da:
PULVIRENTI GIOVANNI, elettivamente domiciliato in
ROMA, PIAZZA DON MINZONI 9, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO AFELTRA, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ZEZZA LUIGI, giusta

– controricorrente e ricorrente incidentale contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo
studio dell’avvocato STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS,
rappresentata e difesa dall’avvocato TRIFIRO’
e
SALVATORE, giusta delega inAg rttll

Je_e_

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 751/2007 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 01/08/2007 r.g.n. 106/2006 +
122/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/04/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato ROSSI ANDREA per delega TRIFIRO’
SALVATORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
il rigetto del ricorso principale, inammissibilità del

delega in atti;

ricorso incidentale.

Udienza del 29 aprile 2014 — Aula B
n. 6 del ruolo — RG n. 6055Mere-rt-91~2-DG 031 08
Presidente: Vidiri – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata (depositata il giorno 1 agosto 2007): 1) in riforma
della sentenza del Tribunale di Milano n. 3986/05, dichiara inefficace la sanzione di quattro giorni
di sospensione irrogata da Poste Italiane s.p.a. al dipendente Giovanni Pulvirk con lettera del 4
luglio 2003 e dichiara compensate le spese; 2) conferma la sentenza del Tribunale di Milano n.
182/05, riguardante analoga sanzione comminata con lettera del 22 agosto 2003 e dichiara
interamente compensate le spese del grado.
La Corte d’appello di Milano, per quel che qui interessa, precisa che:
a) per quel che concerne la prima delle due suindicate sentenze: 1) in considerazione delle
plurime sanzioni applicate al lavoratore, non risulta essere stata sufficientemente provata l’avvenuta
effettiva consegna proprio della lettera di contestazione riguardante l’addebito esaminato nella
sentenza stessa; 2) neppure è stata accertata l’affissione del codice di disciplinare in un luogo
accessibile a tutti; 3) soprattutto non è stata fornita alcuna indicazione circa il contenuto del codice
con riguardo ai comportamenti contestati;
b) a tale ultimo riguardo va osservato che essendo stato addebitato al lavoratore di aver
smaltito una quantità di corrispondenza inferiore alla media degli altri lavoratori avrebbe dovuto
essere previamente indicato ai dipendenti dettagliatamente il quantitativo esigibile in relazione alle
diverse difficoltà specifiche delle “cassette” contenenti il materiale che ciascun lavoratore doveva
trattare, mentre dall’istruttoria è emerso che il calcolo della produzione di ciascun addetto era
effettuato da un incaricato che lo riferiva al capo reparto;
c) le stesse osservazioni sulla esigenza della previa comunicazione dei quantitativi minimi da
smaltire valgono anche per la seconda sanzione, mentre lo svolgimento delle funzioni sindacali non
appare ostativo rispetto alla possibilità di giustificare la propria condotta, diversamente da quanto
affermato dal primo giudice;
d) comunque, per entrambe le controversie, si impongono assorbenti rilievi di merito, posti in
evidenza dal lavoratore e confermati in sede istruttoria e non efficacemente smentiti dalla società,
riguardanti: 1) la circostanza che il Pulvirai aveva smaltito il quantitativo minimo corrispondente ai
contenitori di materiale, la cui lavorazione richiedeva maggiori difficoltà di preparazione; 2)
l’inesperienza del lavoratore per le mansioni assegnategli; 3) il visus ridotto del Pulvireti, che
peraltro sarebbe stato suo onere comunicare alla datrice di lavoro, quanto meno nelle giustificazioni
del proprio comportamento, che invece il lavoratore si è sempre rifiutato di dare;
e) ricorrono giusti motivi, stante la reciproca soccombenza delle parti in entrambi i giudizi
riuniti, per compensare le spese di causa.

1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

2.— Il ricorso di Poste Italiane s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per dodici motivi;
resiste, con controricorso, Giovanni Pulvirtti che propone, a sua volta, ricorso incidentale per un
motivo, cui replica Poste Italiane s.p.a., con controricorso.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Sempre in via preliminare va precisato che al presente ricorso si applicano ratione temporis le
prescrizioni di cui all’art. art. 366-bis cod. proc. civ.
I

Sintesi dei motivi del ricorso principale

1. Il ricorso è articolato in dodici motivi.

1.1.— I seguenti motivi riguardano le statuizioni della sentenza impugnata relative al
provvedimento disciplinare irrogato con lettera del 4 luglio 2003:
1) con i primi due motivi si contesta, rispettivamente come vizio di motivazione e come
violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. la statuizione nella quale la Corte d’appello ha
ritenuto che non sia stata dimostrata da Poste Italiane la effettiva consegna della prima lettera di
contestazione;
2) con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 7, secondo comma, della legge n. 300 del 1970, rilevandosi
che la suddetta disposizione non impone l’uso della lettera raccomandata per l’invio della
contestazione disciplinare, che può avvenire in qualunque modo — non essendo neppure imposta la
forma scritta — e che, quindi, può anche essere effettuata con lettera consegnata a mano, come è
accaduto nella specie, essendo stata la lettera consegnata a mano ai colleghi del lavoratore;
2) con il quarto e il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione, rispettivamente: a) dell’art. 7, primo comma, della legge n. 300 del
1970; b) degli arti. 115 e 116 cod. proc. civ.
Si contesta l’affermazione della Corte milanese secondo cui non sarebbe stata data la prova
dell’avvenuta affissione del codice di disciplinare “in un luogo accessibile a tutti”.
Si rileva, in particolare, che, per il rispetto della suindicata disposizione è sufficiente che il
codice disciplinare sia affisso all’ingresso principale dell’azienda e non è, quindi, richiesta
l’affissione anche in tutti gli ingressi dell’azienda stessa. E si aggiunge che la prova testimoniale, al
riguardo, sarebbe stata mal valutata dalla Corte territoriale;
4) con il sesto, il settimo, l’ottavo e il dodicesimo motivo si denunciano, in relazione all’art.
360, n. 3 (e n. 5 nel sesto e nell’ottavo motivo), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione,
rispettivamente: a) dell’art. 51 del CCNL Poste; b) degli arti. 115 e 116 cod. proc. civ.; c) dell’art.
51 del CCNL Poste Italiane 11 gennaio 2001 e degli artt. 2104 e 2105 cod. civ.
2

Preliminarmente i ricorsi devono essere riuniti perché proposti avverso la stessa sentenza.

Si contesta la affermazione della Corte territoriale secondo cui nel codice disciplinare avrebbe
dovuto essere indicato anche il quantitativo di corrispondenza da smistare per ciascun dipendente, al
fine di legittimare una eventuale sanzione disciplinare nei confronti di chi avesse reso una
prestazione lavorativa inferiore a quella indicata.

1.2.— Con riguardo al provvedimento disciplinare irrogato con lettera del 22 agosto 2003, con
il nono motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, costituito dal fatto che in
merito al suddetto provvedimento disciplinare la Corte milanese si sarebbe limitata a richiamare
quanto argomentato in ordine al primo provvedimento disciplinare, senza fare rinvio a specifici
elementi di prova.
1.3.— In merito ad entrambi i provvedimenti disciplinari, con il decimo e l’undicesimo motivo
si denunciano, in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., rispettivamente: a) insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ; b) violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 51 del CCNL Poste Italiane 11 gennaio 2001 e degli arti. 2104 e 2105 cod.
civ.
Si ribadisce la contestazione sul punto della sentenza impugnata in cui è stato ritenuto esservi
un difetto di prova, a carico della società, sulla possibilità per il lavoratore, nelle condizioni date di
lavoro e di salute, di smistare un quantitativo di corrispondenza pari a quello degli altri compagni di
lavoro.
Si aggiunge che il datore di lavoro, per accertare lo scarso rendimento, deve fare ricorso alla
comparazione tra i livelli produttivi dei dipendenti, anche giovandosi di presunzioni, al fine di
provare la negligenza.

Sintesi del ricorso incidentale

2.- Con il motivo del ricorso incidentale si denunciano — con riguardo al punto della sentenza
impugnata in cui la Corte d’appello ha compensato le spese di lite, “stante la reciproca
soccombenza” — a) violazione degli arti. 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod.
proc. civ.; b) vizio di motivazione, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
Si sostiene che, nella specie, non vi sia stata la reciproca soccombenza, ma la soccombenza
esclusiva di Poste Italiane.
Pertanto, la motivazione sul punto sarebbe contraddittoria rispetto a quanto si afferma
precedentemente, oltre ad essere in contrasto con le suindicate disposizioni del codice di rito.
III — Esame del ricorso principale
3

Si sostiene che lo “scarso rendimento” ravvisabile nella prestazione lavorativa del Pulvireti —
e non giustificato dalle sue “maggiori difficoltà di preparazione”, come emerso dalla prova
testimoniale — costituisce una ipotesi di violazione dei doveri previsti in capo ai dipendenti, di cui
all’art. 51 CCNL Poste Italiane 11 gennaio 2001, nonché, più in generale dei doveri di cui agli arti.
2104 e 2105 cod. civ.

3.- Il ricorso principale non è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.

5.- D’altra parte, anche i quesiti formulati a corredo dei motivi, nella maggior parte dei casi,
non risultano conformi al precetto dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis,
come si è detto) non assolvendo alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione
del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale. Come è noto, infatti, tale
obbligatoria funzione risponde all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione
della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più
ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione, il
principio di diritto applicabile alla fattispecie. In conseguenza, i suddetti quesiti non possono
consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di
legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso
motivo, ma devono costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione
di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula juris che sia, in quanto tale, suscettibile di
ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata (vedi, tra le tante: Cass. 25 febbraio 2009, n. 4556; Cass. 7
marzo 2012, n. 3530). In particolare, le Sezioni unite di questa Corte hanno specificato al riguardo
che, a fini indicativi, si potrebbe seguire “uno schema secondo il quale sinteticamente si domandi
alla Corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito
(fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata
nella sentenza impugnata”(vedi, per tutte: Cass. S.U. n. 2658 del 5 febbraio 2008; Cass. 17 maggio
2013, n. 12098).
Nella specie, la grande maggioranza dei quesiti di diritto — in particolare quelli relativi al
primo, secondo, settimo, ottavo, nono, decimo, undicesimo, dodicesimo motivo — non risultano
conformi ai canoni interpretativi indicati specialmente perché non presuppongono un errore nella
interpretazione delle diverse norme regolatrici della fattispecie che vengono richiamate bensì
l’erroneo riconoscimento, nella situazione di fatto come in concreto accertata, della ricorrenza di
elementi costitutivi di una determinata fattispecie, oltretutto in modo generico.
6.- Nel merito, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge (o di CCNL,
nel sesto motivo) presente nell’intestazione dei motivi, tutte le censure — cioè anche quelle proposte
con i motivi dal terzo al settimo, i cui quesiti non sono da considerare mal formulati — si risolvono
nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale
probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.
Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di
motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di
riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza
4

4.- Dal punto di vista della formulazione, le diverse censure risultano spesso ridondanti e
ripetitive, sì da rendere l’intero ricorso di ampiezza eccessiva rispetto alla complessità giuridica
della fattispecie sub judice il che – pur senza trasgredire alcuna specifica prescrizione formale di
ammissibilità – collide di per sé con l’esigenza di chiarezza e sinteticità dettata dall’obiettivo di un
processo di durata non eccessiva quale avuto di mira dall’art. 111 Cost. (vedi, per tutte: Cass. 4
luglio 2012, n. 11199).

Infatti, la prospettazione da parte del ricorrente di un coordinamento dei dati acquisiti al
processo asseritamente migliore o più appagante rispetto a quello adottato nella sentenza
impugnata, riguarda aspetti del giudizio interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli
elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti che è proprio del giudice del merito, in base al
principio del libero convincimento del giudice, sicché la violazione degli arti. 115 e 116 cod. proc.
civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui
all’art. 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura
della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 26
marzo 2010, n. 7394; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12
febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n. 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18
settembre 2009, n. 20112).
7.- Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono
congruamente motivate e l’iter logico—argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente
individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.
Al riguardo, va precisato che la sentenza impugnata si è pronunciata su due giudizi riuniti
intercorsi fra le parti, che, in primo grado, si erano, rispettivamente, conclusi con:
1) la sentenza del Tribunale di Milano n. 3986/05 aveva dichiarato legittima la sanzione di
quattro giorni di sospensione irrogata da Poste Italiane s.p.a. al dipendente Giovanni Pulvireti con
lettera del 4 luglio 2003 per aver smaltito una quantità di corrispondenza inferiore alla media degli
altri lavoratori;
2) la sentenza del Tribunale di Milano n. 182/05, riguardante analoga sanzione comminata
con lettera del 22 agosto 2003, che aveva dichiarato la nullità della sanzione, in accoglimento della
domanda riconvenzionale del lavoratore, facendo riferimento all’aspettativa sindacale nel corso
della quale era stato chiamato per le giustificazioni.
8.- La Corte milanese ha dichiarato l’inefficacia della sanzione esaminata nella prima delle
suddette sentenze per: a) insufficienza di prova sulla avvenuta effettiva consegna proprio della
lettera di contestazione riguardante l’addebito esaminato nella sentenza stessa (data la molteplicità
delle sanzioni irrogate al lavoratore); b) mancata dimostrazione dell’affissione del codice di
disciplinare in un luogo accessibile a tutti; c) soprattutto mancata indicazione circa il contenuto del
codice con riguardo ai comportamenti contestati, con riferimento in particolare alla mancata previa
comunicazione ai dipendenti del quantitativo di smaltimento esigibile, in riferimento alle varie
“cassette” affidate a ciascun dipendente che contenevano corrispondenza di tipo diverso, con
conseguente diversità di difficoltà di smaltimento.
5

giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo
consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze
probatorie, sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel
sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito
(vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio
2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n.
18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

9.- Da ciò si desume, in primo luogo, che la Corte d’appello, sulla base di accertamenti di
fatto ad essa devoluti — e, come tali, sottratti a sindacato di questa Corte, quando, come nella specie,
la relativa decisione risulti assistita da motivazione congrua e logica — ha ritenuto non raggiunta la
prova dell’effettiva ricezione della lettera di contestazione del primo dei due addebiti in oggetto
(effettività, peraltro, necessaria perché la comunicazione, che in base all’art. 52 del CCNL di settore
deve essere scritta, sia funzionale allo scopo di consentire al destinatario di difendersi) ed ha altresì
rilevato che non era “apparso chiaro” se il codice disciplinare fosse stato collocato in un luogo
idoneo e con modalità tali da consentire la conoscibilità e la consultabilità delle norme disciplinari
da parte di tutti i lavoratori, senza tuttavia affermare la necessità della relativa affissione in tutti gli
ingressi dell’azienda oltre che in quello principale, come sostiene la ricorrente, la quale, peraltro,
non contesta specificamente la rilevata inidoneità dell’affissione (sull’indagine relativa all’idoneità
del luogo di affissione del codice disciplinare, vedi, per tutte: Cass. 24 maggio 1999, n. 5044; Cass.
3 ottobre 2007, n. 20733).
La Corte milanese ha, inoltre, posto l’accento — per entrambe le sanzioni — sulla mancanza di
specificità della descrizione delle condotte poste a base delle sanzioni, elemento questo che, anche
dalla consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte è considerato essenziale affinché possa
dirsi che il potere disciplinare del datore di lavoro sia stato esercitato in conformità con i principi di
correttezza e buona fede che lo governano (vedi, per tutte: Cass. 13 marzo 2013, n. 6337) e che
comportano che sia garantito il diritto dell’incolpato ad esercitare in modo adeguato il proprio
diritto di difesa (vedi, per tutte: Cass. 18 agosto 2004, n. 16249; Cass. 18 giugno 2002, n. 8853;
Cass. 20 luglio 1998, n. 7103).
A tale ultimo riguardo, va soggiunto che è conforme ai principi affermati da questa Corte
anche l’osservazione del Giudice d’appello in merito alla necessità di comunicare ai lavoratori
preventivamente — a fronte di una contestazione di “scarso rendimento” nello smaltimento della
corrispondenza, per essere la corrispondenza trattata dal Pulvireti di quantità inferiore rispetto a
quella trattata in media degli altri lavoratori — il quantitativo di smaltimento esigibile in modo
dettagliato, tenendo conto delle diverse difficoltà specifiche delle varie “cassette” contenenti il
materiale che ciascun lavoratore doveva trattare.
Infatti — come si evince dal fatto che lo stesso concetto di “scarsità” è, per sua natura, relativo
e non assoluto — è evidente che la sua applicazione al “rendimento” dei lavoratori implica
l’identificazione del rendimento “bastevole”, il che, ai fini disciplinari, impone, in base al principio
della specificità degli addebiti, la esatta identificazione del carico di lavoro “esigibile”, come ha
affermato la Corte milanese e come risulta da consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte
secondo cui, essendo il lavoratore subordinato (anche se inserito nella categoria dei quadri) tenuto
ad una obbligazione di mezzi e non di risultato, al fine della irrogazione di una sanzione disciplinare
per “scarso rendimento” è necessario che il datore di lavoro dimostri il notevole inadempimento del
6

Anche, per la sanzione esaminata dalla seconda delle suddette sentenze, la Corte territoriale
ha ritenuto prevalenti e assorbenti le suddette osservazioni sul mancato rispetto della esigenza della
previa comunicazione ai dipendenti dei quantitativi minimi di corrispondenza da smaltire, non
condividendo la tesi del primo giudice — del quale ha, peraltro, confermato la decisione — secondo
cui lo svolgimento delle funzioni sindacali da parte del lavoratore era da considerare ostativo
rispetto alla possibilità di rispondere alle contestazioni disciplinari giustificando la propria condotta.

lavoratore, mediante la prova di elementi tali che consentano al giudicante di mettere a confronto il
grado di diligenza normalmente richiesto per la prestazione lavorativa con quello effettivamente
usato dal lavoratore (vedi, per tutte: Cass. 11 ottobre 2012, n. 17337; Cass. 22 gennaio 2009, n.
1632; Cass. 22 febbraio 2006, n. 3876).
IV

Esame del ricorso incidentale

11.- Va, infatti, ricordato che, diversamente da quel che sostiene il lavoratore, ai sensi dell’art.
92, secondo comma, cod. proc. civ., pure nel testo applicabile ratione temporis prima della modifica
introdotta dall’art. 2, comma 1, lett. a), della legge 28 dicembre 2005 n. 263 — salvo il rispetto del
principio secondo cui la parte totalmente vittoriosa non può essere condannata neppure
parzialmente al pagamento delle spese di giudizio (vedi, tra le tante: Cass. 13 febbraio 2006, n.
3083) — la scelta di compensare le spese processuali è riservata al prudente, ma comunque motivato,
apprezzamento del giudice di merito, la cui statuizione può essere censurata in sede di legittimità
quando siano illogiche o contraddittorie le ragioni poste alla base della motivazione, e tali da
inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale (ex multis: Cass. 17 maggio 2012, n.
7763.
In particolare, se i “giusti motivi” di compensazione totale o parziale delle spese previsti
dall’art. 92 cod. proc. civ. (da indicare esplicitamente in motivazione soltanto per i procedimenti
instaurati dal 1° marzo 2006, a seguito della sostituzione del secondo comma di detta norma per
effetto dell’art. 2, comma 1, lett. a, della legge 28 dicembre 2005, n. 263, e succ. modif. e
integrazioni) possono evincersi anche dal complessivo tenore della sentenza, con riguardo alla
particolare complessità sia degli aspetti sostanziali che processuali (ex plurimis: Cass. 30 marzo
2010, n. 7766), analogamente, la configurabilità della situazione di “soccombenza reciproca”, in
caso di pluralità di giudizi riuniti, rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui
statuizione, al riguardo, deve soltanto tenere conto del fatto che la anzidetta situazione sottende anche in relazione al principio di causalità – una pluralità di domande contrapposte, accolte o
rigettate, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero
l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e
ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero una parzialità dell’accoglimento
meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo (vedi, per tutte: Cass. 23
settembre 2013, n. 21684; Cass. 21 ottobre 2009, n. 22381).
Nella specie, il suindicato principio risulta rispettato, in considerazione della complessità della
vicenda trattata e della molteplicità di domande in essa proposte da entrambe le parti nei due giudizi
riuniti, alcune accolte e altre rigettate.
V

Conclusioni

12.- In sintesi entrambi i ricorsi vanno respinti e, in considerazione della reciproca
soccombenza verificatasi anche nel presente giudizio di legittimità, va disposta la compensazione
della spese processuali.
P.Q.M.
7

10.- Il ricorso incidentale non è fondato.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa, tra le parti, le spese del presente giudizio di i
cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 29 aprile 2014.

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