Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22052 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. I, 13/10/2020, (ud. 17/09/2020, dep. 13/10/2020), n.22052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10615/2019 r.g. proposto da:

M.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Maria

Cristina Tarchini, con cui elettivamente domicilia in Roma, presso

lo studio dell’Avvocato Guglielmo Pinto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Brescia, depositato in data

23.2.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/9/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Brescia ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da M.M., cittadina della (OMISSIS), dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale della richiedente asilo, secondo quanto riferita da quest’ultima; ella ha infatti narrato: i) di essere nata in (OMISSIS); ii) di essere di etnia (OMISSIS) e di religione cristiana e di essersi, poi, trasferita nel (OMISSIS) ove è rimasta fino all’espatrio; iii) di essere stata costretta a fuggire dal suo paese, perchè il terreno, su cui lavorava suo marito, era oggetto di contesa tra il datore di lavoro di quest’ultimo e gli oppositori politici del datore di lavoro e perchè temeva dunque possibili aggressioni di quest’ultimi, in caso di rientro in patria.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, perchè la vicenda narrata non evidenziava alcun profilo di pericolo di danno oggetto di protezione da parte dell’invocata normativa e perchè comunque non sussisteva l’attualità del pericolo dichiarato; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito alla regione nigeriana di provenienza della richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato (Benin City); c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perchè la ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano nè una condizione di peculiare vulnerabilità soggettiva, non rilevando a tal fine neanche la condizione di gravidanza certificata.

2. Il decreto, pubblicato il 23.2.2019, è stato impugnato da M.M. con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di doglianza.

La Procura Generale, nella persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa Francesca Ceroni, ha depositato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo ed unico motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, per il mancato riconoscimento della richiesta protezione umanitaria. Osserva la ricorrente che il tribunale non aveva correttamente valutato gli allegati profili relativi allo stupro subito da parte degli oppositori politici del datore di lavoro del marito, nonchè gli allegati problemi di salute e la gravidanza, come condizioni che evidenziavano una peculiare vulnerabilità soggettiva e legittimanti come tali il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. Il ricorso è fondato.

La ricorrente ha allegato la sua condizione soggettiva di donna in stato di gravidanza, come ragione legittimante la condizione di soggetto vulnerabile titolare del diritto alla invocata protezione umanitaria.

La circostanza risulta essere stata documentata dalla ricorrente e deve ritenersi pertanto pacifica, tanto ciò è vero che lo stesso provvedimento impugnato ne dà atto come elemento di valutazione non contestato ed anzi provato.

2.1 Sul punto, va ricordato che se è pur vero che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria (cfr. anche Sez. 1, Sentenza n. 13079 del 15/05/2019), tuttavia non può essere negato che, anche la di là dell’appartenenza della richiedente ad una categoria soggettiva particolarmente tutelata anche in sede di divieto di espulsione (cfr. art. 19, comma 2, lett. d), la peculiare condizione di puerpera non può non riverberarsi sulla valutazione complessiva di vulnerabilità della richiedente protezione umanitaria.

Sul punto, è necessario ricordare un recente (e condivisibile) arresto giurisprudenziale espresso da questa Corte (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 18540 del 10/07/2019), secondo il quale – ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria – tra i soggetti vulnerabili di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h-bis, come modificato dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 25, comma 1, lett. b, n. 1, rientrano espressamente anche i “genitori singoli con figli minori”, sicchè, accertata la relativa situazione di fatto, essi hanno diritto di accedere alla detta protezione.

Ne consegue che l’affermazione della ricorrente – secondo cui la qualità di donna in stato di gravidanza (e dunque, conseguentemente, anche quella di madre con figlio minore) la faceva rientrare nella categoria dei soggetti vulnerabili meritevoli della concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari – non è stata adeguatamente valutata dal Tribunale (cfr. anche Cass. 12235/2020).

In proposito, questa Corte ha affermato nella pronuncia sopra ricordata (Cass. 18540/2019) che “è pur vero che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, indica come soggetti non espellibili gli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi, e le donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio, implicitamente negando rilievo alla mera veste di genitore affidatario di figlio minore sul territorio italiano” e, tuttavia, “il comma 2-bis dello stesso articolo (inserito dal D.L. n. 89 del 2011, art. 3, comma 1, lett. g), n. 2), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 129 del 2011) dispone, tra l’altro, che il respingimento o l’esecuzione dell’espulsione dei componenti di famiglie monoparentali con figli minori debbano essere effettuate solo con modalità compatibili con le singole situazioni personali, debitamente accertate”). E’ stato anche affermato nel precedente arresto giurisprudenziale, ampiamente condiviso anche da questo Collegio, che “Per altro verso, anche il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 11, lett. h-bis), (come modificato ad opera dal D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142, art. 25, comma 1, lett. b), n. 1))” definisce le “persone vulnerabili”, includendovi, oltre ai minori, ai minori non accompagnati, ai disabili, agli anziani, alle donne in stato di gravidanza, alle persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, alle vittime della tratta di esseri umani, alle persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, alle vittime di mutilazioni genitali, anche i “genitori singoli con figli minori”.

Ne discende che la condizione di donna in stato di gravidanza (e dunque, successivamente, anche quella di madre singola con figlio minore) – pur allegata dalla ricorrente – avrebbe dovuto essere oggetto di una più compiuta ed approfondita analisi da parte del Tribunale.

Tale valutazione è invece completamente mancata, rendendo così necessaria una rilettura da parte del Tribunale degli atti alla luce dei principi di diritto sopra richiamati e qui di nuovo affermati.

Si impone pertanto la cassazione del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Brescia che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Brescia, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

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