Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22052 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, (ud. 28/03/2018, dep. 11/09/2018), n.22052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

P.I., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale

a margine in calce al ricorso, dall’avv. Domenico Arezzo, con

domicilio eletto in Roma, via Sebino 16, presso lo studio dell’avv.

Vanessa Guerrieri;

– ricorrente –

contro

P.G., rappresentato e difesa, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dall’avv. Gualtiero Cavallaro,

con domicilio eletto in Roma, via Crescenzio 82, presso lo studio

dell’avv. Federico Bonoli;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 2287

depositata il 2 luglio 2013.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28 marzo 2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco.

Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha chiesto

l’accoglimento del quarto motivo di ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

P.G. chiamava in giudizio P.I. e con la citazione a comparire davanti al Tribunale di Caltagirone, Sezione distaccata di Grammichele, chiedeva la divisione giudiziale di beni in comproprietà per quote uguali con il convenuto.

Il Tribunale di Caltagirone formava due porzioni, che attribuiva a ciascuno dei due condividenti, imponendo a carico di P.G. il conguaglio di Euro 78.090,00.

La Corte d’appello di Catania, adita da P.G., confermava la ripartizione, ma riduceva la misura del conguaglio nei limiti dell’importo di Euro 6.984,80, che era stato indicato dal consulente tecnico d’ufficio nominato in primo grado.

La corte di merito condannava il convenuto al pagamento delle spese del grado.

Per la cassazione della sentenza P.I. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi.

P.G. ha resistito con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1114,729 e 1116 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Nel giudizio divisionale, se le quote sono uguali, la loro attribuzione deve avvenire per sorteggio ai sensi dell’art. 729 c.c.e non per attribuzione diretta.

Il secondo motivo denuncia violazione delle stesse norme e omessa motivazione.

La corte di merito ha derogato al criterio del sorteggio, imposto dall’art. 729 c.c., in presenza di porzioni uguali, in assenza di qualsiasi indicazione di ragioni idonee a giustificare una simile deroga del criterio legale.

D’altra parte, essendo i conguagli inscindibilmente connessi con la ripartizione dei beni da dividere, la decisione della corte d’appello, di rivederne la misura, rimetteva necessariamente in discussione anche la ripartizione attuata dalla sentenza di primo grado, escludendo la formazione del giudicato sul criterio da seguire nell’attribuzione delle parti.

I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

Il criterio del sorteggio non è inderogabile non solo da parte del giudice (Cass. n. 1091/2007; n. 3461/2013; n. 4426/2017), ma ancora prima da parte dei condividenti.

Così è perfettamente concepibile che, pur in presenza di quote uguali, i condividenti richiedano l’attribuzione di singoli beni o esprimano preferenza verso l’una o l’altra delle porzioni determinate nel progetto predisposto dal giudice o dal consulente tecnico.

Tali indicazioni attengono alle modalità di attuazione dello scioglimento della comunione e non danno luogo a domande in senso proprio, pur potendo influenzare lo svolgimento delle operazioni divisionali (Cass. n. 13654/2007; Cass. n. 5462/1986).

Se le preferenze espresse dai compartecipi sono compatibili, il giudice deve tenerne conto, non potendo imporre il sorteggio contro la volontà contraria espressa dai diretti interessati.

Solo se le preferenze sono incompatibili dovrà essere seguito il criterio legale del sorteggio, salvo il potere del giudice di derogarvi in presenza di ragioni idonee a giustificare tale deroga secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte (supra).

Ora nel caso in esame risulta dalla sentenza impugnata che il consulente tecnico, nominato in primo grado dal tribunale, aveva prefigurato due porzioni da attribuire separatamente all’uno e all’altro condividente, con la previsione di un conguaglio di Euro 6.984,80 a favore dell’attuale ricorrente.

E’ poi avvenuto che il tribunale, in sede di decisione, rivedendo i valori delle reciproche attribuzioni, ha aumentato il conguaglio a Euro 79.090,00.

La corte d’appello, adita da colui che doveva versarlo, ne ha riportato la misura nei limiti dell’importo indicato dal consulente tecnico, confermando per il resto la ripartizione attuata dal tribunale.

Il ricorrente sostiene che, una volta modificato il conguaglio, doveva invece procedersi per estrazione a sorte delle due porzioni, ma non deduce di avere formulato nel giudizio di primo grado richieste incompatibili con la ripartizione prefigurata dal consulente tecnico (fatta propria prima dal tribunale e poi dalla corte d’appello).

Neanche deduce di aver subordinato il consenso all’attuazione del progetto alla corresponsione a suo favore di un conguaglio maggiore rispetto a quello indicato dall’esperto.

In questo senso le censure sono inammissibili, perchè riflettono una questione proposta per la prima volta nel giudizio di cassazione.

Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c..

Si sostiene che la corte di merito ha proceduto alla revisione del conguaglio in assenza di domanda.

Il motivo è infondato: la revisione del conguaglio costituiva l’oggetto specifico del giudizio d’appello.

Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 92 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), si duole della condanna alle spese processuali del grado, che andavano poste a carico della massa, inerendo la decisione adottata a un aspetto (quella del conguaglio) privo di autonomia rispetto alla istanza di divisione.

Il motivo è infondato.

Il principio per cui, nel giudizio di divisione, le spese processuali debbono essere poste a carico di tutti i condividenti in proporzione delle rispettive quote riguarda soltanto le spese relative agli atti rivolti a condurre il giudizio, nell’interesse comune, alla concreta determinazione delle quote spettanti ad ognuno dei condividenti medesimi, vigendo, invece, la regola generale della soccombenza (salvo il potere di compensazione totale o parziale a norma dell’art. 92 c.p.c.) per le spese relative a tutte le vicende processuali che, pur essendo inserite nel giudizio di divisione, sono state rivolte alla risoluzione di vere e proprie controversie incidentali conseguenti a determinati conflitti di interesse insorti fra i condividenti (Cass. n. 698/1976; conf. 4621/1978; n. 1111/1986; n. 12758/2001; n. 7059/2002; n. 3083/2006; n. 22903/2013).

Nel caso in esame la misura del conguaglio non rappresentava una semplice questione oggettiva, imposta dalla necessità di pareggiare il valore delle due porzioni in rapporto a un incontroverso valore delle quote.

Infatti i compartecipi avevano assunto in proposito una posizione contrastante: avendo la corte di merito risolto il relativo conflitto in favore di una delle parti, essa, del tutto correttamente, ha liquidato le spese del grado in applicazione del principio della soccombenza.

In conclusione il ricorso va rigettato

Le spese seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto dell’art. 13, comma 1-quater del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge;

dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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