Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22049 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. I, 13/10/2020, (ud. 17/09/2020, dep. 13/10/2020), n.22049

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 30092/2018 r.g. proposto da:

M.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

Roma Via Federico Cesi 72, presso lo studio dell’Avv.to Andrea

Sciarrillo, rappresentato e difeso dall’Avv.to Pietro Sgarbi, del

foro di Ancona giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Catanzaro, depositato in data

24.7.2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/9/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

CERONI Francesca, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udita, per il ricorrente, l’Avv. Sciarrillo, che ha chiesto

accogliersi il proprio ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Catanzaro – decidendo sulla domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da M.S., cittadino della (OMISSIS), dopo il diniego di tutela della locale commissione territoriale – ha rigettato il ricorso, confermando, pertanto, il provvedimento emesso dalla predetta commissione.

Il Tribunale ha ricordato che: a) i vizi del procedimento amministrativo precedente il ricorso giurisdizionale non sono rilevanti nel giudizio innanzi al tribunale il cui oggetto è limitato alla valutazione della esistenza o meno del diritto alla reclamata protezione internazionale; b) non era possibile riconoscere al richiedente lo status di rifugiato, non ricorrendo i presupposti applicativi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1, lett. e; c) il ricorrente aveva narrato innanzi alla commissione: i) di essere già giunto in Italia nel 2008 e di essere stato costretto a rimpatriare per le conseguenze di un esaurimento nervoso; ii) di aver subito la morte del padre e del fratello in occasione di un attentato eseguito dal noto gruppo terroristico di (OMISSIS), al quale aveva partecipato anche lo zio paterno. Il Tribunale ha, dunque, ritenuto che: 1) non era riconoscibile lo status di rifugiato per la non credibilità del racconto della sua vicenda personale, non credibilità che investiva anche le dichiarazioni rese in ordine allo stato di provenienza che, in un primo momento, era stato indicato in quello di (OMISSIS) e, poi, invece (non attendibilmente) in quello di (OMISSIS); 2) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b, per la mancata allegazione da parte dello stesso richiedente delle condizioni previste dalla norma da ultimo citata e comunque in ragione dell’affermata non credibilità del richiedente; 3) non era fondata la domanda di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c, medesimo decreto da ultimo citato, in quanto la regione di provenienza di (OMISSIS) (e non già di (OMISSIS), come non attendibilmente dichiarato dal ricorrente) era da considerarsi un territorio stabile ove, nonostante alcune situazioni di criticità, non si registravano situazioni di conflitti armati generalizzati; 4) non era possibile riconoscere la reclamata protezione umanitaria, in assenza di una condizione di vulnerabilità del ricorrente, il quale neanche aveva dimostrato la sua integrazione nella realtà sociale italiana tramite una stabile occupazione lavorativa.

2. Il decreto, pubblicato il 24.7.2018, è stato impugnato da M.S. con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Con ordinanza interlocutoria datata 24.10.2019, la Corte ha ritenuto di rinviare la causa alla discussione in pubblica udienza.

La parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con una preliminare eccezione la parte ricorrente chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, per violazione degli artt. 3,24,111 e 117 Cost., in relazione alla previsione dell’applicazione del rito camerale, alla mancata previsione dell’appello, al termine di trenta giorni per proporre ricorso per cassazione e alle modalità di conferimento della procura alle liti da parte del ricorrente.

1.1 Con il primo motivo si articola, poi, vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, per la mancata audizione giudiziale del richiedente.

1.2 Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1 Conv. di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e, in relazione al diniego della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato.

1.3 Con il terzo motivo si denuncia vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis.

1.4 Con il quarto motivo si deduce censura di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b e c, in riferimento alla protezione sussidiaria.

1.5 Con il quinto motivo si articola vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in ordine ai criteri di valutazione della prova relativa sempre al diniego della richiesta protezione sussidiaria.

1.6 Il sesto motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e artt. 3 e 10 Cost., in riferimento al diniego di protezione umanitaria.

2. Il ricorso è infondato.

Va per prima affrontata la questione di legittimità costituzionale variamente articolata da parte del ricorrente.

Essa è manifestamente infondata.

Giova ricordare che sulle predette questioni si è già pronunciata questa Corte con articolati provvedimenti.

E’ stato invero chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, poichè il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (Sez. 1, Sentenza n. 17717 del 05/07/2018). Del pari, nel medesimo contesto decisorio è stato ulteriormente precisato che è’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto da parte della cancelleria, poichè tale previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 (cfr. sempre Sez. 1, Sentenza n. 17717 del 05/07/2018). Inoltre, va ulteriormente ricordato che è manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di

speditezza del procedimento (cfr. sempre Sez. 1, Sentenza n. 17717 del 05/07/2018).

E’ stato infine chiarito, in altra occasione (Sez. 1, Ordinanza n. 27700 del 30/10/2018), che è, del pari, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione.

Ciò posto, il ricorso è infondato.

2.1 Già il primo motivo non merita positivo apprezzamento.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale si è sottratto totalmente al dovere di cooperazione. Più in particolare, in considerazione del fatto che la videoregistrazione del colloquio non era avvenuta, il giudice di merito avrebbe potuto, nell’udienza fissata ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, ascoltare nuovamente il ricorrente soprattutto per dipanare le presunte lacune del suo racconto.

2.1 L’esame della censura non può prescindere da una sorta di actio finium regundorum dei limiti del presente giudizio: premesso che non è dubitabile che il giudice del merito abbia la facoltà, in virtù dei principi generali (nella specie accentuati dall’obbligo di cooperazione), di disporre l’audizione del richiedente, si tratta di stabilire, come suggerisce l’ordinanza di rimessione alla pubblica udienza, se (ed eventualmente, a quali condizioni) in assenza della videoregistrazione del colloquio, sussista l’obbligo di procedere all’effettuazione di tale incombente.

2.2 Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.

Va osservato che questa Corte ha già statuito che nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, anche ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Cass. n. 5973/2019).

Tale interpretazione è conforme agli artt. 12, 14, 31 e 46 della direttiva 2013/32/UE, secondo l’interpretazione che ne ha dato la Corte di Giustizia UE.

Tale Corte, infatti, nella sentenza 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko, ha statuito che “La direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare i suoi artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’art. 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva”.

La Corte di Giustizia, ha, in particolare, evidenziato, nella sentenza sopra citata, ai punti 42, 43 e 44, che l’accertamento di una eventuale violazione dei diritti della difesa deve essere sempre condotto alla luce delle circostanze specifiche che caratterizzano la singola fattispecie, avendo riguardo alla natura dell’atto, del contesto in cui è stato adottato e delle norme che regolano la materia interessata. Ne consegue che l’obbligo di esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto – previsto dall’art. 46, paragrafo 3, della direttiva procedure – deve essere interpretato alla luce dell’intero procedimento di esame della domanda di asilo, segnatamente con riguardo alla stretta interconnessione tra il procedimento di impugnazione e quello di primo grado davanti all’autorità amministrativa, nell’ambito del quale l’art. 14 della direttiva attribuisce al richiedente il diritto al colloquio personale. Peraltro, dato che, in caso di eventuale ricorso, il verbale dell’audizione deve essere inserito nel fascicolo e costituisce un elemento fondamentale nell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto condotto dal giudice adito, qualora il giudice ritenga di poter decidere sulla base dei soli elementi del fascicolo come nel caso di una domanda manifestamente infondata – non sussisterà in capo allo stesso alcun obbligo di ascoltare nuovamente il richiedente per espletare correttamente l’esame previsto dall’art. 46, paragrafo 3, della direttiva. In detto caso, un’accelerazione della procedura viene considerata rispondente all’interesse sia degli Stati membri, sia del richiedente stesso.

2.2.1 Nè, peraltro, l’obbligo del giudice investito dell’impugnazione di provvedere necessariamente ad una nuova audizione del richiedente può eventualmente affermarsi in relazione a quanto affermato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza del 19 marzo 2020 C-406/18, che, nel fare riferimento alla sentenza Sacko sopra esaminata, ha così ha osservato al punto 31:

“la Corte ha anche avuto occasione di rammentare che, in linea di principio, è necessario prevedere, nella fase giurisdizionale, un’audizione del richiedente a meno che non ricorrano determinate condizioni cumulative”. In proposito, va osservato che tale affermazione è stata argomentata con il mero richiamo specifico ai punti nn. 37 e da 44 a 48 della precedente sentenza del 26 luglio 2017 C-348/16 dall’esame dei quali, tuttavia, non emerge affatto il riconoscimento del diritto del richiedente di essere sempre e comunque sentito in sede giurisdizionale.

Esaminando nel dettaglio tali punti, è pur vero che nel punto 37 della sentenza Sacko viene osservato che l’assenza di audizione del richiedente nel corso di una procedura di ricorso integra una restrizione del diritti della difesa, tuttavia, al punto 38, la Corte UE aveva precisato che “secondo la giurisprudenza costante della Corte, i diritti fondamentali, quale il rispetto dei diritti della difesa, ivi compreso il diritto di essere ascoltato, non si configurano come prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione che questa rispondano effettivamente agli obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato ed inaccettabile, tale da ledere la sostanza dei diritti garantiti..”.

Al punto 39, la Corte Ue aveva, altresì, evidenziato che “un’interpretazione del diritto di essere ascoltato – che è garantito dall’art. 47 della Carta – nel senso che quest’ultimo diritto non riveste un carattere assoluto è avvalorata dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, alla luce della quale deve essere interpretato il citato art. 47 posto che i suoi commi primo e secondo corrispondono all’art. 6, paragrafo 1, e all’art. 13 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (sentenza del 30 giugno 2016, Toma e Biroul Executorului Judecatoresc Horatiu- Vasile Cruduleci, C205/15, Eu:C2016:499, punti 40 e 41 giurisprudenza citata)…”.

Nell’ulteriore sviluppo argomentativo, la Corte UE era poi giunta alle conclusioni già sopra illustrate (punti 42, 43 e 44), ovvero che la necessità che il giudice investito del ricorso ex art. 46 della direttiva 2013/32 proceda all’audizione del richiedente deve essere valutata alla luce del suo obbligo di procedere all’esame completo ed ex nunc contemplato dall’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva, che va, a sua volta, interpretato nel contesto dell’intera procedura d’esame delle domande di protezione internazionale disciplinata da tale direttiva, che è caratterizzata da una stretta connessione tra la procedura di impugnazione dinanzi al giudice e la procedura di primo grado che la precede.

All’esito del suo articolato percorso motivazionale, la Corte ha, infine, affermato (sempre al punto 44) che “tale giudice può decidere di non procedere all’audizione del richiedente nell’ambito del ricorso dinanzi ad esso solo nel caso in cui ritenga di poter effettuare un esame siffatto in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso, se del caso, il verbale o la trascrizione del colloquio personale con il richiedente in occasione del procedimento di primo grado”.

Infine, la Corte di Giustizia, nella predetta sentenza del 26 luglio 2017 C348/16, Moussa Sacko, nell’intento di lasciare al giudice ampia discrezionalità nell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e diritto di cui all’art. 46 direttiva, ha concluso al punto 48, che, “sebbene l’art. 46 della direttiva 2013/32 non obblighi il giudice adito con ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale ad ascoltare il richiedente in tutti i casi”, il legislatore nazionale non può impedire al giudice investito del ricorso di organizzare l’audizione del richiedente se lo ritiene necessario ai fini dell’esame.

Nessuno spunto può quindi trarsi dalla sentenza Sacko, richiamata dalla più recente 19 marzo 2020 C-406/18, per configurare in capo al giudice l’obbligo di sentire sempre e comunque il richiedente in sede di ricorso di impugnazione.

2.2.2 Neppure la sentenza della Corte Gius. Ue del 6 luglio 2020 C-517/17, Mikiyos Addis, fornisce elementi utili per sostenere la tesi della necessaria audizione del richiedente da parte del giudice.

La sentenza in esame è intervenuta in una fattispecie in cui l’autorità Amministrativa tedesca aveva rigettato l’istanza di protezione del richiedente senza il previo colloquio personale ed ha ritenuto, al punto 68, che sarebbe incompatibile con l’effetto utile della direttive procedure, in particolare con gli artt. 14, 15 e 34, che il giudice investito del ricorso possa confermare una decisione adottata dall’autorità accertante in violazione dell’obbligo di dare al ricorrente la facoltà di sostenere il colloquio personale senza procedere esso stesso all’audizione del richiedente.

Al punto 69 viene quindi affermato che, in mancanza di una siffatta audizione, il diritto del richiedente ad un colloquio personale “non sarebbe garantito in nessuna fase della procedura d’asilo”, il che vanificherebbe una garanzia che il legislatore dell’Unione ha ritenuto fondamentale nell’ambito di tale procedura”.

In conclusione, anche in quest’ultima sentenza, la Corte di Giustizia, non confutando il principio in precedenza affermato della stretta connessione tra la procedura di impugnazione dinanzi al giudice e la procedura di primo grado che la precede, ha ritenuto essenziale garantire al richiedente non il diritto al colloquio in ogni fase della procedura, ma almeno in una fase, che sarà quella di natura giurisdizionale, ove il diritto al colloquio non sia stato garantito in quella amministrativa o giurisdizionale (come appunto avvenuto nel caso esaminato dalla sentenza Mikiyos Addis).

2.2.3 Di tutt’altro tenore sono, invece, le ulteriori pronunce della Corte di Giustizia UE (sentenza del 25 luglio 2018, C- 585/16, Alheto, e del 4 ottobre 2018, Nigyar Rauf Kaza Ahmedbekiva, C – 652/16), che hanno precisato che la locuzione “ex nunc” e l’aggettivo “completo” mettono in evidenza l’obbligo del giudice di procedere ad una valutazione che tenga conto, se del caso, dei nuovi elementi intervenuti dopo l’adozione della decisione da parte dell’Autorità amministrativa, purchè i nuovi elementi non siano stati dedotti in una fase tardiva del procedimento di ricorso e siano stati presentati in maniera sufficientemente concreta per essere esaminati e siano sufficientemente distinti dagli elementi che l’autorità accertante aveva già considerato.

2.2.3.1 Anche alla luce di tali autorevoli decisioni comunitarie, questa Corte ha già statuito che, in considerazione della necessità di leggere del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, in conformità al disposto dell’art. 46, par. 3, della direttiva 2013/32/UE, nell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia UE, ove il ricorso contro il provvedimento di diniego di protezione contenga motivi o elementi di fatto nuovi (sempre che risultino sufficientemente circostanziati e rilevanti), il giudice, se richiesto, non può sottrarsi all’audizione del richiedente, trattandosi di strumento essenziale per verificare, anche in relazione a tali nuove allegazioni, la coerenza e la plausibilità del racconto, quali presupposti per attivare il dovere di cooperazione istruttoria (Cass. n. 27073 del 23/10/2019).

2.2.3.2 In particolare, è stato evidenziato dalla pronuncia sopra citata che “..in tal caso, non appare sufficiente a garantire la tutela del contraddittorio la mera fissazione dell’udienza di comparizione, atteso che l’esame completo ed ex nunc della pretesa del richiedente, affermato dal citato art. 46 par. 3 della direttiva 2013/31, non può prescindere dall’audizione, sui nuovi fatti, del richiedente medesimo, se da costui sollecitata, quale necessario strumento per la realizzazione dell’effettività della tutela, affermata dall’art. 46 par. 1 della direttiva citata…”.

2.2.3.3 Ad un tale fondamentale approdo questa Corte, nella citata sentenza n. 27073/2019, è pervenuta dopo aver condivisibilmente rilevato come l’audizione del ricorrente sui nuovi temi introdotti nel ricorso (se sufficientemente distinti e significativi) costituisca il momento centrale in cui si esprime il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, ove su quei temi il richiedente non sia stato sentito dalla Commissione, tenuto conto che “..l’audizione costituisce uno strumento essenziale per valutare la coerenza e credibilità del racconto, non solo sulla base del suo contenuto, ma anche delle modalità attraverso cui esso viene riferito dal richiedente (e ciò giustifica la previsione della obbligatoria videoregistrazione del colloquio D.Lgs. n. 35 del 2008, ex art. 35 bis) a fronte di situazioni solitamente assai difficili da documentare o da provare compiutamente…”.

2.2.4 Giova, a questo punto, evidenziare che le riflessioni scaturenti dall’esame della normativa e dalla giurisprudenza comunitaria possono rivelarsi inappaganti alla luce dell’obbligo di procedere alla videoregistrazione del colloquio e della sua conseguente acquisizione agli atti della fase giudiziaria successiva a quella svoltasi davanti alla commissione, previsto dal richiamato del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis.

Tale quid pluris del nostro ordinamento induce ad indagare in maniera approfondita sul rapporto fra il colloquio e la sua videoregistrazione: quest’ultima costituisce, all’evidenza, un indispensabile strumento per consentire al giudice di procedere a un esame completo degli aspetti narrati dal richiedente la protezione internazionale (si sono espresse in termini di videoregistrazione quale elemento centrale del procedimento, per consentire al giudice di valutare il colloquio con il richiedente in tutti i suoi risvolti, inclusi quelli non verbali, Cass. 17717/2018 e 2817/2019, richiamate da Cass. n. 27073/2019).

Peraltro, anche la presenza di una videoregistrazione non toglie che l’audizione dell’interessato rappresenti comunque un momento centrale per valutare la credibilità e la coerenza del racconto del richiedente, come può desumersi, invero, anche dal D.Lgs. n. 35 del 2008, art. 35 bis, comma 10, lett. a), (che pur rimette la doverosità dell’audizione alla valutazione del giudice) secondo cui:” E’ fissata udienza per la comparizione delle parti esclusivamente quando il giudice: a) visionata la registrazione di cui al comma 8, ritiene necessario disporre l’audizione dell’interessato…”.

Tuttavia, ove il giudice non ritenga doverosa l’audizione del richiedente e manchi la videoregistrazione del colloquio del richiedente innanzi alla Commissione, ad avviso di questo Collegio, se, da un lato – come è stato più volte sopra ribadito – la necessità di dar corso a tale audizione non costituisce una conseguenza automatica della fissazione dell’udienza di comparizione, in ogni caso, lo stesso giudice non può sottrarsi comunque a tale incombente (oltre che nell’ipotesi già evidenziata di nuove allegazioni), in primo luogo, quando ritenga indispensabile richiedere chiarimenti alle parti.

In una tale eventualità, anche se l’art. 35 bis, comma 10, lett. b) si limita a prevedere come doverosa la sola fissazione dell’udienza di comparizione, un’interpretazione della norma predetta, che contempli anche la necessità dell’audizione del richiedente, si impone, per garantire al richiedente il diritto ad una tutela effettiva a norma dell’art. 46 par. 1 della direttiva 2013/32, quantomeno nei casi in cui il giudice ritenga indispensabile richiedere chiarimenti alle parti in ordine ad eventuali incongruenze e/o contraddizioni riguardanti il racconto reso dal richiedente innanzi alla Commissione Territoriale.

In tali casi, ove il giudice si limitasse a richiedere ed ottenere i chiarimenti soltanto mediante allegazioni di natura cartolare, a prescindere dal rilievo che senza l’audizione dell’interessato verrebbe meno uno strumento essenziale per valutare la coerenza e credibilità del racconto, in ogni caso, si impedirebbe l’acquisizione di materiale probatorio utile per la decisione, soprattutto se favorevole al richiedente, tenuto conto che, a norma dell’art. 3, comma 5, in virtù del c.d. principio dell’onere della prova attenuato, anche le stesse dichiarazioni del richiedente possono essere poste a fondamento del diritto vantato dal ricorrente con la domanda di protezione internazionale se….” a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile…”.

2.2.5 Ritiene, inoltre, questo Collegio, che, in mancanza della videoregistrazione del colloquio innanzi alla Commissione Territoriale, sia doverosa comunque una nuova audizione del richiedente in sede giurisdizionale non solo quando il giudice ritenga indispensabile richiedere chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente (verosimilmente evidenziate nel decreto di rigetto della Commissione Territoriale e poste a fondamento del giudizio di inattendibilità del racconto), ma anche quando quest’ultimo ne faccia apposita istanza nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti.

2.2.5.1 Una tale interpretazione si impone in quanto se, da un lato, si ammette, ai fini dell’esame completo ed ex nunc della pretesa del richiedente, che il giudice sia tenuto all’audizione del richiedente che abbia svolto nuove allegazioni, ove sufficientemente circostanziate e rilevanti, dall’altro, non vi è motivo per cui il giudice debba sottrarsi al dovere di approfondimento istruttorio – soprattutto in assenza della videoregistrazione del colloquio – in relazione ai chiarimenti sollecitati dallo stesso ricorrente in ordine alle eventuali contraddizioni e/o incongruenze rilevate nel suo racconto dalla Commissione Territoriale, purchè la sua istanza sia, analogamente, circostanziata e specifica.

2.2.5.2 Ritiene, infatti, questo Collegio che, non avendo il giudizio D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, natura di impugnazione in senso stretto del provvedimento amministrativo della Commissione territoriale, il richiedente, nel determinare il thema decidendum in sede giurisdizionale, così come può allegare nuovi elementi di fatto a fondamento della sua pretesa (vedi Cass. n. 27073, che ha richiamato Cass. S.U. n. 19393/2009 e Cass. n. 7385/2017), altrettanto, può precisare gli elementi già dedotti in sede amministrativa – con un’eventuale diversa chiave di lettura – offrendosi di fornire quei chiarimenti resisi necessari in relazione alle valutazioni svolte dalla Commissione territoriale nel decreto di rigetto.

2.2.5.3. L’obbligo del giudice di provvedere all’audizione del richiedente che abbia formulato nel ricorso un’istanza circostanziata, nei termini sopra illustrati, trova – come in caso di nuove allegazioni – parimenti una giustificazione in base al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, sancito dall’art. 46 par. 1 direttiva 2013/32, alla luce del quale va letto anche l’art. 16 (contenuto del colloquio personale) della direttiva procedure (2013/32/UE), secondo cui “Nel condurre il colloquio personale sul merito di una domanda di protezione internazionale, l’autorità accertante assicura che al richiedente sia data una congrua possibilità di presentare gli elementi necessari a motivare la domanda ai sensi dell’art. 4 della direttiva 2011/95/UE nel modo più completo possibile. In particolare, il richiedente deve avere l’opportunità di spiegare l’eventuale assenza di elementi e/o le eventuali incoerenze o contraddizioni delle sue dichiarazioni”.

2.2.5.4 Esaminando il testo del predetto articolo della direttiva, va osservato che è innegabile, in primo luogo, che l’art. 16 disciplini le modalità di conduzione del colloquio personale innanzi alla sola Autorità accertante (la Commissione Territoriale in Italia), non occupandosi specificamente del tema in oggetto. Tuttavia, non vi è dubbio che la stessa norma esprima un’esigenza di tutela del diritto di difesa – inequivocabile è l’espressione “il richiedente deve avere l’opportunità di spiegare….” che deve essere garantita all’interessato non solo nella fase amministrativa, ma anche nell’ambito della procedimento di natura giurisdizionale.

2.2.5.5 Ne consegue che, ove eventuali incongruenze e/o contraddizioni delle dichiarazioni del richiedente – che sono poi state poste dalla Commissione territoriale a fondamento del giudizio di inattendibilità del suo racconto – non siano state contestate al medesimo nell’immediatezza durante il colloquio personale in sede amministrativa, ma sono state evidenziate solo nel provvedimento di rigetto della stessa Commissione, allo stesso richiedente deve essere fornita l’opportunità di rendere i dovuti chiarimenti, a quel punto, in sede giurisdizionale, previa richiesta circostanziata di nuova audizione, che deve essere avanzata nel ricorso.

Quest’ultima precisazione si impone, da un lato, in virtù dell’esigenza, costantemente affermata da questa Corte, di coniugare il dovere di cooperazione istruttoria con il principio dispositivo (Cass. 27336/2018; Cass. n. 3016/2019; Cass. n. 19197/2015), e, dall’altro, con la necessità di tener conto della doverosa celerità del procedimento, resa palese dal complesso delle disposizioni emanate a tal fine, dall’abolizione di un grado di giudizio alla riduzione dei termini per proporre impugnazione.

2.2.5.6 E’, in ogni caso, escluso che il giudice debba disporre una nuova audizione del richiedente (salvo che lo stesso giudice non lo ritenga necessario) in difetto di un’istanza di quest’ultimo contenuta nel ricorso, o comunque allorquando tale eventuale richiesta sia stata formulata in termini generici.

La valutazione in ordine alla natura circostanziata o solo generica dell’istanza di audizione del richiedente, eventualmente contenuta nel ricorso, è demandata in via esclusiva al giudice di merito, la cui motivazione deve essere strettamente correlata alla specificità dell’istanza ed è sindacabile in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato alla luce dei parametri della sentenza delle SS.UU n. 8053/2014. Peraltro, ove il giudice di merito ometta di pronunciarsi sull’istanza di audizione formulata dal richiedente, tale omissione è parimenti censurabile sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 13716 del 05/07/2016; conf. Cass. 24830/2017; Cass. 6715/2013).

2.2.5.7. Va, infine, osservato, a completezza del percorso argomentativo sinora sviluppato, che il giudice non deve provvedere all’audizione del richiedente nei casi in cui la domanda venga ritenuta dallo stesso manifestamente infondata o inammissibile per ragioni diverse dal giudizio formulato sulla base di incongruenze che, alla luce di quanto sopra evidenziato, possano o debbano essere chiarite attraverso l’audizione del richiedente.

Sul punto, è indubitabile che le ragioni in base alle quali il giudice (così come la Commissione Territoriale) può non accogliere la domanda di protezione non sono necessariamente legate alla ritenuta inattendibilità del racconto del richiedente, il quale può aver riferito circostanze che, seppur ritenute credibili dal giudice, sono valutate come estranee, come non rientranti nelle fattispecie contemplate dalla legge come fondanti le richieste di protezione internazionale o umanitaria.

Oltre alle ipotesi di ritenuta manifesta infondatezza della domanda, il giudice non è in alcun modo tenuto a disporre l’audizione del richiedente anche ove il ricorso sia ritenuto inammissibile per questioni di natura processuale.

2.2.5.8. Deve quindi formularsi il seguente principio di diritto:

“Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che:

a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda;

b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente;

c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile.” Nel caso in esame il Tribunale di Catanzaro ha escluso la sussistenza delle condizioni che, in base ai principi sopra indicati, impongono di procedere a una nuova audizione, avendo ritenuto che le circostanze dichiarate dal ricorrente, come trasfuse nel verbale di audizione, devono ritenersi esaustive ai fini della decisione e che inoltre la difesa del ricorrente non aveva allegato circostanze nuove rispetto a quelle già dedotte innanzi alla commissione territoriale, tali da necessitare un ulteriore approfondimento istruttorio tramite l’audizione del richiedente stesso. Di tali ragioni, espressamente enunciate dal Tribunale, il ricorrente non si fa carico, omettendone qualsiasi critica, di talchè la censura si appalesa del tutto generica e come tale inammissibile (vedi sul punto anche Cass. n. 8931/2020).

2.2 Il secondo motivo di doglianza è invece inammissibile in quanto non censura la ratio decidendi su cui riposa il giudizio di rigetto della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, e cioè la non credibilità del racconto di quest’ultimo, profilo quest’ultimo che non risulta neanche adeguatamente aggredito nel terzo motivo qui di seguito esaminato.

2.3 Il terzo motivo è del pari inammissibile.

Sul punto è necessario ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Più precisamente, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).

Orbene, osserva la Corte come, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretenda, ora, un’inammissibile rivalutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente e del giudizio di complessiva attendibilità di quest’ultimo, profilo che è irricevibile in questo giudizio di legittimità perchè non dedotto nel senso sopra chiarito e perchè comunque rivolto ad uno scrutinio di merito delle dichiarazioni che invece è inibito al giudice di legittimità.

2.4 Il quarto e quinto motivo – che possono essere trattati congiuntamente perchè attengono entrambi al diniego della reclamata protezione sussidiaria – sono, del pari, inammissibili perchè richiedono alla Corte di Cassazione, ancora una volta, una rivalutazione di merito delle fonti informative internazionali per un nuovo (e diverso) scrutinio della situazione di conflittualità interna della Nigeria, profilo quest’ultimo che è invece rimesso alla cognizione dei giudici del merito, i quali, peraltro, hanno reso, sul punto qui da ultimo in esame, una motivazione congrua e scevra da aporie ed altre criticità argomentative.

2.5 Il sesto motivo è invece inammissibile perchè la censura non coglie la ratio decidendi della motivazione impugnata che riposa su una valutazione di non credibilità del richiedente e sulla mancanza di prova di integrazione nel contesto sociale italiano, motivazione cui il ricorrente contrappone solo doglianze generiche e non centrate sulla possibile situazione di vulnerabilità discendente dalla sua condizione di migrante.

Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese dell’odierno giudizio di legittimità, in assenza di difese da parte dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

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