Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22049 del 03/09/2019

Cassazione civile sez. II, 03/09/2019, (ud. 10/05/2019, dep. 03/09/2019), n.22049

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28630/2015 proposto da:

ICRA DI Z. ING. M. & C SAS in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato

AMBROGIO NOVELLI;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II

13, presso studio dell’avvocato MARIA CECILIA FELSANI, rappresentato

e difeso dall’avvocato ISIDE STORACE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 606/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 05/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/05/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

Fatto

RITENUTO

che:

– per quanto ancora interessa in questa sede il Tribunale di Genova, nella lite promossa dalla ICRA s.a.s. di Z. ing. M. & C. nei confronti di C.M. per ottenere il corrispettivo dovuto per le opere in cemento armato relative alla realizzazione di una autorimessa, ha determinato il quantum in Euro 193.954,39, con un residuo, a credito dell’appaltatore, al netto degli acconti, di Euro 81.529,39;

– la corte d’appello, accogliendo l’appello del C., ha dichiarato la nullità della sentenza nella parte in cui il tribunale aveva accertato l’avvenuto esercizio del diritto di recesso da parte del committente;

– nello stesso tempo ha rigettato il motivo d’appello con il quale il committente aveva riproposto la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore, non accolta in primo grado;

– la corte ha invece accolto il motivo d’appello con il quale il C. aveva censurato la decisione del tribunale in ordine al criterio utilizzato per determinare il corrispettivo per i lavori in cemento armato eseguiti dall’impresa, riducendo l’importo liquidato dal primo giudice a Euro 24.000,00;

– per la cassazione della sentenza ICRA ha proposto ricorso, affidato a due motivi;

– il C. ha resistito con controricorso;

– la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– ai fini della comprensione del significato delle censure mosse con i motivi di ricorso occorre premettere essere circostanza pacifica in causa che l’ICRA ha eseguito un’opera più ampia rispetto a quella prevista inizialmente in base a un preventivo del 2003, che riguardava la costruzione di tre box;

– al fine di determinare il corrispettivo dovuto il primo giudice aveva utilizzato una nota aggiunta a mano in corrispondenza del punto del preventivo del 2003, che prevedeva per i lavori edili il corrispettivo a corpo di Euro 9.600,00;

– in tale nota era inserita la seguente precisazione: “muro di sostegno h=2,60, L=11, mc=16”;

– trattandosi di determinare il corrispettivo dovuto a misura per le strutture in cemento armato effettivamente eseguite, pari a mc. 131,1, il primo giudice aveva diviso il corrispettivo a corpo di Euro 9.600 per i 16 mc. di cui all’aggiunta a mano, ottenendo così il valore unitario di Euro 600,00;

– sulla base di tale modo di procedere ha determinato il dovuto per i lavori in cemento armato in Euro 78.600,00;

– in dissenso rispetto al ragionamento del primo giudice, la corte ha rilevato che il riconoscimento di tale importo voleva dire riconoscere un incremento del volume dell’opera di oltre otto volte le dimensioni previste nel preventivo del 2003, mentre l’incremento era stato inferiore;

– proprio per chiarire tale incongruenza la corte ha ordinato che il consulente tecnico rendesse chiarimenti;

– tali chiarimento sono stati resi, ma non sono stati ritenuti soddisfacenti dalla corte di merito;

– nello stesso tempo questa ha ritenuto che la consulenza tecnica consentisse ugualmente di determinare il corrispettivo dovuto;

– precisamente la corte ha fatto il seguente ragionamento;

a) pacifico che la volumetria in cemento armato effettivamente realizzata è pari a 131,10 (comprensiva dei mc. 22,1, del muro, inizialmente previsti in mc. 16), si doveva tenere nel debito conto che il costo di Euro 9.600,00 di cui al punto 1 nel preventivo del 2003 non comprendeva solo il muro di cemento armato, cui si riferiva l’annotazione a mano dei 16 mc., ma la totalità delle opere in cemento armato;

b) l’opera realizzata in concreto aveva subito un incremento di 2,5 rispetto a quella oggetto di preventivo cui si riferiva il costo totale a corpo di Euro 9.600,00;

c) secondo la corte, così stabilita la misura dell’incremento, il corrispettivo doveva essere calcolato in base al medesimo coefficiente, cioè moltiplicando per 2,5 il costo di Euro 9.600,00, di cui al preventivo per i lavori edili del 2003;

d) il corrispettivo era quindi pari a Euro 24.000: 9.600 x 2,5, donde il prezzo a metro cubo di Euro 183,07 (24.000:131,10);

– tanto premesso è possibile ora passare all’esame del primo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c.;

– la decisione è oggetto di censura perchè la corte ha calcolato il dovuto, proporzionalmente, sulla base del preventivo del 2003, che faceva riferimento alla costruzione di tre piccoli box, mentre era stata realizzata un’opera di ben più vaste proporzioni;

– la diversità dell’opera era tale da rendere improponibile il criterio proporzionale applicato dalla corte di merito, che sarebbe stato utilizzabile solo se fra l’opera programmata nel 2003 e quella di fatto realizzata vi fosse stata una perfetta proporzionalità lineare, mentre il consulente tecnico aveva escluso che tale essenziale requisito ricorresse nel caso in esame;

– nondimeno la corte ha ritenuto di potere applicare ugualmente un criterio di stretta proporzionalità, così incorrendo in una palese violazione dei principi in tema di rilevanza probatoria della consulenza tecnica percipiente, che costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova;

– nel fare ciò la corte è poi incorsa in ulteriore errore, in quanto non si è avveduta che il corrispettivo di Euro 9.600,00 riguardava la sola costruzione del muro di sostegno e non anche le strutture sottili, come i pilastri e le travi;

– queste erano considerate nel punto n. 2 del preventivo, voce che la corte di merito ha considerato nel proprio ragionamento, tuttavia confondendo la superficie con i metri cubi: infatti nel predetto punto 2 del preventivo del 2003 il numero 107 non rappresentava la previsione originaria dei metri cubi, ma identificava la superficie dell’opera;

– si aggiunge che il costo unitario a metri cubo, determinato in Euro 83,07, era totalmente irrealistico, tant’è vero che il medesimo committente aveva offerto, durante le operazioni di consulenza, a definizione della vicenda il pagamento della somma di Euro 68.000,00;

– il secondo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio;

– si sostiene che il non avere la corte tenuto conto dei rilievi del consulente tecnico sulla inutilizzabilità del criterio proporzionale, non configurabile in presenza di progetti non omogenei, equivaleva a una mancata ammissione della consulenza tecnica;

– in questo caso, secondo principi consolidati, il giudice di merito ha l’onere di motivare il rigetto, essendo altrimenti la decisione censurabile in cassazione;

– mutatis mutandis è censurabile in cassazione la decisione del giudice di merito, la quale si sia discostata dalle conclusioni dell’esperto sulla base di considerazioni non fondate;

– un’ultima parte del ricorso è dedicata a illustrare gli elementi occorrenti per la decisione nel merito, una volta cassata la sentenza impugnata;

– i motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei limiti di seguito indicati;

– è pacifico che, nel caso in esame, si trattava di stabilire il corrispettivo dovuto a misura per un’opera non corrispondente a quella oggetto del preventivo del 2003, nel quale era indicato il corrispettivo a corpo per i lavori in cemento armato;

– il primo giudice aveva ricavato il costo unitario di ogni metro cubo di cemento, da utilizzare per stabilire il compenso a misura per quanto effettivamente realizzato, dividendo l’importo di Euro 9.600, previsto nella voce n. 1 del preventivo del 2003, per i metri cubi indicati nell’aggiunta a penna a tale voce, e cioè per 16;

– la corte di merito ha ritenuto non corretto tale modo di procedere, posto che la voce n. 1 del preventivo non comprendeva solo il muro, cui si riferiva l’indicazione di 16 mc. a aggiunta a mano, ma la totalità delle opere in cemento armato;

– la ricorrente sostiene al contrario che l’importo di Euro 9.600,00 si riferiva alla sola costruzione del muro, oggetto della precisazione a penna;

– ma è chiaro che, per tale parte, la censura è inammissibile, risolvendosi in una lettura delle risultanze istruttorie diversa da quella proposta dal giudice di merito: ciò in cassazione non è consentito;

– sempre con il primo motivo la ricorrente ha denunciato una svista in cui è incorsa la corte nell’indicare in 107 i metri cubi originariamente programmati, non essendosi avveduta che quella misura non indicava la volumetria, ma la superficie originaria dei tre box;

– la censura è inammissibile;

– infatti il supposto errore è rimasto privo di conseguenza, perchè la corte di merito non ha corretto il procedimento seguito dal primo giudice dividendo l’importo di Euro 9.600,00 indicato nel punto 1 del preventivo per 107 invece che per 16, ma ha seguito una via diversa;

– è partita dalla considerazione del costo stabilito per la totalità dei lavori in cemento armato relativi all’opera oggetto del preventivo del 2003: Euro 9.600,00;

– ha poi considerato l’opera in concreto realizzata, che aveva una volumetria due volte e mezzo maggiore rispetto a quella inizialmente programmata;

– ha quindi moltiplicato il costo previsto a corpo per il medesimo coefficiente;

– infine ha diviso il prodotto per i metri cubi effettivamente realizzati, ricavandone il corrispettivo a misura;

– ma è di immediata percezione che tale modo di procedere potrebbe al limite ritenersi corretto, già sotto un profilo logico, ipotizzando che, a parte la maggiore volumetria dell’opera, vi fosse per il resto perfetta identità dei punti di riferimento: come se la diversa e maggiore realizzazione avesse comportato una replica della opera iniziale, per cui se 1 costa n 2,5 costerà n x 2,5;

– il consulente tecnico, investito di una richiesta specifica su questo punto, aveva negato che tale metodo fosse utilizzabile, non essendoci continuità fra l’opera come preventivata e quella poi di fatto realizzata;

– la corte ha totalmente trascurato tali rilievi, puntualmente riproposti con il ricorso, dando per assodato l’utilizzabilità del criterio proporzionale, ma senza chiarire le ragioni che l’inducevano a superare i rilievi del consulente sulla non comparabilità delle due situazioni;

– in questo senso la sentenza è viziata per omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8053 del 2014;

– del resto è principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte che il mancato esame delle risultanze della CTU integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risolvendosi nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (Cass. n. 13992/2016; n. 13770/2018; n. 13399/2018);

– la sentenza va pertanto cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame e liquiderà le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso; cassa la sentenza; rinvia alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2019

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