Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22048 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. I, 13/10/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 13/10/2020), n.22048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18159/2018 proposto da:

S.S., in proprio, elettivamente domiciliato in Roma, Via

della Mortella n. 41, presso lo studio dell’avvocato Coppola

Silvana, rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

Curatela del Fallimento (OMISSIS), in persona dei curatori Dott.ssa

C.S., e avv. L.A., domiciliato in Roma, Piazza

Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa dall’avvocato Zingrillo Nicola, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di FOGGIA, depositato il 31/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/09/2020 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione dei motivi primo, terzo e quarto, inammissibilità del

secondo motivo;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato S.S.M. che si

riporta.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – S.S., avvocato, proponeva opposizione allo stato passivo del fallimento dell’impresa individuale denominata (OMISSIS) con riferimento al proprio credito di Euro 22.641,16: il credito concerneva il corrispettivo della prestazione professionale da lui asseritamente svolta in favore dell’imprenditore fallito e resa con riguardo a un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo che era stato trattato avanti al Tribunale di Foggia. Deduceva l’opponente di aver svolto attività consistenti nello studio della causa, nella redazione dell’atto di citazione in opposizione e nella stesura delle memorie istruttorie.

Il Tribunale di Foggia, nel contraddittorio con la curatela, costituita in giudizio, respingeva l’opposizione. Rilevava che il ricorrente non aveva fornito la prova del diritto posto a fondamento della propria domanda di insinuazione: riteneva, in particolare, essere insufficiente, a tal fine, la copia dell’atto di citazione in opposizione con l’indicazione del nominativo del difensore a margine, tenuto conto che il documento prodotto risultava essere difforme sia da quello depositato con la domanda di ammissione al passivo, sia da quello in possesso della curatela, nel quale compariva il nominativo di un diverso avvocato, e solo di quello.

2. – Il decreto del giudice dell’opposizione è impugnato per cassazione da S.S. con un ricorso articolato in quattro motivi, che è corredato di memoria. Resiste con controricorso il fallimento.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo di ricorso oppone l’omessa applicazione degli artt. 2230 e 2233 c.c., nonchè la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4. Osserva il ricorrente che la mancata dimostrazione della procura incide sulla sola riferibilità al cliente degli effetti dell’attività professionale svolta dal professionista: essa non spiegherebbe effetto, dunque, sulla prova del mandato professionale, che non esige la forma scritta. Il Tribunale avrebbe quindi errato nel trascurare la documentazione della corrispondenza intercorsa tra lo stesso istante e il co-difensore, indicato nella procura ad litem: documentazione comprovante l’avvenuto conferimento dell’incarico professionale ad esso avvocato S., oltre che l’espletamento di tale incarico.

Con il secondo motivo è lamentata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 2696 c.c.. Il ricorrente si duole di ciò: il Tribunale aveva ritenuto di non ammettere la prova testimoniale richiesta senza addurre alcuna motivazione in relazione al contratto d’opera professionale concluso tra il ricorrente e l’imprenditore fallito.

Il terzo motivo prospetta l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lo scrutinio che si assume mancato è quello relativo allo svolgimento di attività professionale da parte del ricorrente in favore di D.M.A..

Con il quarto motivo viene denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c.. L’istante deduce che dal contesto dell’atto di citazione si rilevava che egli era stato indicato quale difensore da parte di D.M.A.: questi, sottoscrivendo la procura a margine dell’atto di citazione, non poteva non aver conferito l’incarico relativo alla difesa giudiziale anche al ricorrente, nonostante il nome di quest’ultimo non comparisse in testa alla procura ad litem.

2. – Risulta essere fondato il primo motivo; il secondo e il terzo restano assorbiti, mentre il quarto deve essere respinto.

Il Tribunale mostra di confondere il mandato professionale con la procura ad litem. Mentre quest’ultima è un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (il contratto di patrocinio) con il quale il legale viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte; conseguentemente, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem, essendo questa richiesta solo per lo svolgimento dell’attività processuale (Cass. 8 giugno 2017, n. 14276; Cass. 16 giugno 2006, n. 13963). Il mandato professionale può essere conferito anche in forma verbale, e la prova di esso può quindi darsi anche per testimoni (Cass. 5 febbraio 2016, n. 2319 e Cass. 25 febbraio 2011, n. 4705, con riferimento al mandato professionale per l’espletamento di attività di consulenza o di attività stragiudiziale), oltre che in via presuntiva, attraverso idonei indizi plurimi, precisi e concordanti (Cass. 10 maggio 2004, n. 8850). La procura alle liti, poi, può certamente essere rivelatrice del conferimento del mandato professionale ma è solo un indice presuntivo della sussistenza tra le parti dell’autonomo rapporto di patrocinio (Cass. 11 marzo 2019, n. 6905).

Il ritenuto mancato rilascio della procura ad litem in favore dell’odierno ricorrente non poteva perciò esaurire l’accertamento circa l’esistenza del contratto di patrocinio. Il Tribunale avrebbe dovuto indagare se tale contratto potesse desumersi da altri elementi.

Non può invece condividersi quanto dedotto, col quarto motivo, in ordine alla possibilità di ricavare il mandato ad litem dall’intestazione dell’atto di citazione, in cui sarebbe indicato, quale difensore, anche l’avvocato S.. Non è infatti concludente, ai fini che qui interessano, l’insegnamento di Cass. 14 aprile 2010, n. 8903 – richiamata dall’istante -, secondo cui la mancanza del nome del difensore nella procura ad litem non determina la nullità dell’atto quando, avuto riguardo agli altri riferimenti in esso contenuti ed al contesto in cui esso è inserito, non possa sorgere alcun ragionevole dubbio sulla individuazione del difensore e sulla legittimazione del medesimo alle attività processuali da lui compiute. E’ evidente che nel caso in esame, in cui la procura inerisce non a un atto del presente giudizio (di cui la Corte debba conoscere ex art. 360 c.p.c., n. 4), ma alla citazione con cui è stato introdotto un diverso procedimento (il procedimento in cui l’istante assume di aver svolto il proprio ufficio di difensore, in relazione al quale è stato domandato il compenso professionale), sia precluso, in sede di legittimità, un apprezzamento di fatto quanto all’estensione del mandato ad litem: deve negarsi, in altri termini, che possa avere ingresso in questa sede un qualche giudizio circa l’asserita assenza del ragionevole dubbio “sulla individuazione del difensore e sulla legittimazione del medesimo alle attività processuali da lui compiute” (per citare Cass. 14 aprile 2010, n. 8903). L’esame di un tale profilo è riservato al giudice del merito e può esser sindacato in questa sede solo per assenza di motivazione o a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5: censure che il quarto motivo non solleva.

3. – Alla cassazione del decreto segue il rinvio della causa al Tribunale di Foggia, in diversa composizione, cui è pure demandata la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il primo motivo, respinge il quarto e dichiara assorbiti i restanti; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto, rinviando al Tribunale di Foggia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

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