Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22047 del 28/10/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 22047 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

sentenza con motivazione
semplificata

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

PENNA Vincenza (PNN VCN 63E60 C351T), rappresentata e
difesa, per procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avvocato Luigi Savoca, domiciliata in Roma, Piazza
Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte suprema
di cassazione;
– ricorrente contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del
Ministro pro tempore;
– intimato avverso il decreto della Corte d’Appello di Messina n.
1888/13, depositato in data 19 noveMbre 2013.

Data pubblicazione: 28/10/2015

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza dell’8 ottobre 2015 dal Presidente relatore Dott.
Stefano Petitti.
Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte

chiedeva la condanna del Ministero dell’economia e delle
finanze al pagamento del danno non patrimoniale derivante
dalla irragionevole durata di un giudizio iniziato
dinnanzi al TAR Catania con ricorso del 27 novembre 1991,
ancora pendente alla data della domanda di equa
riparazione;
che l’adita Corte d’appello rigettava la domanda,
rilevando che la ricorrente non aveva chiesto il ristoro
del danno non patrimoniale correlato a turbamenti di
carattere psicologico, ma solo dei danni patrimoniali,
legato al blocco della carriera conseguente alla mancata
ammissione ad un corso triennale della scuola per
infermieri;
che per la cassazione di questo decreto PENNA Vincenza
ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo;
che l’intimato Ministero non ha svolto difese.
Considerato che

il Collegio ha deliberato l’adozione

di una motivazione in forma semplificata;
che con l’unico motivo di ricorso la ricorrente
denuncia violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del

-2-

d’appello di Messina il 6 agosto 2012, PENNA Vincenza

2001, rilevando che nell’atto introduttivo del giudizio
dinnanzi alla Corte d’appello aveva fatto riferimento ai
principi di cui alla legge n. 89 del 2001, il cui art. 2
si riferisce al danno patrimoniale e non patrimoniale, e

riferimento al danno alla carriera professionale, nel
mentre non escludeva in linea di principio la richiesta di
indennizzo per il danno non patrimoniale, fungeva da
indice della intensità del danno e da criterio per la
determinazione dell’indennizzo;
che il motivo è fondato;
che, invero, «in tema di equa riparazione ai sensi
dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, il danno non
patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non
automatica e necessaria, della violazione del diritto alla
ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali: sicché, pur
dovendo escludersi la configurabilità di un danno non
patrimoniale

in

re ipsa ossia di un danno

automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento
della violazione .-, il giudice, una volta accertata e
determinata l’entità della violazione relativa alla durata
ragionevole del processo secondo le norme della citata
legge n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno

-3-

che la indicazione della somma di euro 15.000,00 e il

non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso
concreto, circostanze particolari che facciano
positivamente escludere che tale danno sia stato subito
dal ricorrente. Siffatta lettura della norma di legge

collegata alla sua introduzione, particolarmente emergente
dai lavori preparatori (dove è sottolineata la finalità di
apprestare in favore della vittima della violazione un
rimedio giurisdizionale interno effettivo, capace di porre
rimedio alle conseguenze della violazione stessa,
analogamente alla tutela offerta nel quadro della istanza
internazionale) – è imposta dall’esigenza di adottare
un’interpretazione conforme alla giurisprudenza della
Corte europea di Strasburgo (alla stregua della quale il
danno non patrimoniale conseguente alla durata non
ragionevole del processo, una volta che sia stata
dimostrata detta violazione dell’art. 6 della Convenzione,
viene normalmente liquidato alla vittima della violazione,
senza bisogno che la sua sussistenza sia provata, sia pure
in via presuntiva), così evitandosi i dubbi di contrasto
con la Costituzione italiana, la quale, con la specifica
enunciazione contenuta nell’art. 111, tutela il bene della
ragionevole durata del processo come diritto della
persona, sulla scia di quanto previsto dalla norma
convenzionale» (Cass., S.U., n. 1338 del 2004);

-4-

interna oltre che ricavabile dalla natio giustificativa

che la Corte d’appello si è discostata da tale
principio, ritenendo che la specificazione del pregiudizio
alla carriera professionale integrasse in via esclusiva
una richiesta di danno patrimoniale, laddove il

stesso pregiudizio lamentato erano chiaramente riferibili
anche al profilo morale della sofferenza determinata dalla
irragionevole durata del giudizio presupposto;
che il ricorso va quindi accolto, con conseguente
rinvio della causa alla Corte d’appello di Messina, in
diversa composizione, la quale procederà a nuovo esame
della domanda e alla regolamentazione delle spese del
giudizio di cassazione.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte
impugnato e

accoglie
rinvia

il ricorso;

cassa

il decreto

la causa, anche per le spese del

giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Messina,
in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione,

riferimento all’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e lo

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