Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22047 del 17/10/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 22047 Anno 2014
Presidente: FORTE FABRIZIO
Relatore: GENOVESE FRANCESCO ANTONIO

temporale ex

SENTENZA

tune.

sul ricorso 18588-2007 proposto da:

#
R.G.N. 18588/2007

AZIENDA PER IL DIRITTO ALLO STUDIO UNIVERSITARIO
(A.DI.S.U.), in persona del legale rappresentante
pro

tempore,

domiciliata

in

ROMA,

VIA

DEI

Cron.
Rep.

3

Od. 30/09/2014

Data pubblicazione: 17/10/2014

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO pu
STATO, che la rappresenta e difende ape legis;
– ricorrente –

2014
contro

1630

LA CASCINA SOC. COOP. A R.L. (P.I. 01183421005), in
persona del legale

rappresentante pro tempore,

P

1

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FULCIERI
PAULUCCI DE’ CALBOLI l, presso l’avvocato DANTE
GROSSI, che la rappresenta e difende, giusta
procura a margine del controricorso;
– controxicorrente –

409/2007 della CORTE

D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/01/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 30/09/2014 dal Consigliere
Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato DANTE
GROSSI che ha chiesto l’inammissibilità o il
rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’inammissibilità

o

in subordine rigetto del

avverso la sentenza n.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
.

1.La ADISU

(Azienda

per

il

Diritto allo

Studio

– Universitario dell’Università degli Studi di Roma Tor
Vergata) ha affidato alla Serist (ora Cascina scarl), quale
mandataria e capogruppo di un’ATI costituita con altre due

società, il servizio di mensa per gli studenti, con un
contratto del 15 settembre 1986 che, tra l’altro, prevedeva
(all’art. 7) la revisione trimestrale del prezzo, sulla
base degli indici Istat, trascorsi dodici mesi dall’inizio
del servizio.
2.

Su sollecitazione della Giunta Regionale del Lazio, le

parti contraenti, in data 25 febbraio 1991, hanno stipulato
un atto aggiuntivo, con il quale hanno sostituito, con
efficacia ex tunc,

la menzionata clausola contrattuale con

un’altra, armonizzata con il disposto del comma 4 dell’art.
33 della legge n. 41 del 1986, ossia con la facoltà di
«ricorrere al prezzo chiuso, consistente nel prezzo del
lavoro al netto del ribasso di asta, aumentato del 5 per
cento per ogni anno intero previsto per l’ultimazione dei
lavori».
3.Alla scadenza del rapporto contrattuale (30 ottobre 1994)
l’ADISU ha agito per ottenere dalla Serist la restituzione
degli importi che – a suo dire – l’appaltatrice aveva
percepito in misura maggiore rispetto a quelli spettanti,

3

facendo applicazione dell’art. 33, comma 4, anziché del
comma 3 della stessa previsione di legge.
4.

Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda e ha

condannato la Coop. Serist Tor Vergata a pagare, a titolo

5. Investita dell’appello, proposto dalla soccombente, la
Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di primo
grado, ha respinto «la domanda di ripetizione dell’indebito
proposta dall’Azienda» ADTSU,

compensando le spese

dell’intero giudizio.
6
6.

Secondo la Corte territoriale non è corretta la

decisione di prime cure che ha dichiarato la nullità
parziale dell’atto aggiuntivo, integrante un’attribuzione
patrimoniale «sine causa» in favore di Cascina (già Serist)
scarl, con il conseguente diritto dell’ADISU a ripetere
l’indebito in base all’art. 33, co. 3 e 4, 1. n. 41 del
1986, in quanto, al caso in esame, si sarebbe dovuto
applicare ope legis la revisione prezzi di cui all’art. 33,
co. 3, 1. n. 41 cit., per tutti gli appalti di servizi come questo – stipulati dopo l’entrata in vigore della
legge e non già il sistema del «prezzo chiuso» (di cui al
co. 4), fatto valere retroattivamente dalle parti.
Infatti, i due sistemi di rivalutazione dei prezzi
sarebbero alternativi e ciascuno applicabile in base alle
scelte discrezionali dell’Amministrazione, le quali – nella
4

di indebito, una somma in favore dell’ADISU.

specie – si sarebbero legittimante orientate, sulla base
dell’art. 33 cit., verso il sistema del prezzo chiuso.
Perciò sarebbe infondata la tesi della nullità parziale
della clausola contrattuale aggiuntiva così come quella
della sua inapplicabilità retroattiva, pienamente

compatibile con l’accordo originario sulla base della
comune volontà delle parti.
7.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per

cassazione, con cinque motivi di ricorso,
8.

Cascina scarl

ADISU.

resiste con controricorso e memoria

ex

art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.Con il primo mezzo di ricorso (Violazione dell’art. 33,
commi 3, 4 e 5 1. n. 41 del 1986, in relazione agli artt.
11 disp. prel. c.c. e 1418, primo comma, c.c., in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c.) l’Amministrazione ricorrente pone
a questa Corte il seguente quesito di diritto:

«Dica la SC

se sia nullo per violazione di norme imperative l’atto
aggiuntivo che, sull’erroneo presupposto della nullità
sopravvenuta della pattuita clausola di revisione prezzi in
un contratto di appalto di servizi, aggiudicato prima
dell’entrata in vigore dell’art. 33 della legge n. 41/1986,
sostituisca quest’ultima retroattivamente con quella del
prezzo chiuso a valere sulle prestazioni già eseguite,
pagate e rivalutate».
5

Secondo la ricorrente, infatti, l’art. 33, comma 4, della
legge n. 41 cit., non si potrebbe applicare – ostandovi il
comma 5 – ai contratti di appalto di servizi già in essere
e,

a fortiori,

esso non farebbe retroagire gli effetti

sulle prestazioni già eseguite con il metodo della

revisione prezzi di cui al comma 3. Nella specie il
contratto sarebbe stato aggiudicato prima dell’entrata in
vigore della legge n. 41 cit. e avrebbe avuto esecuzione,
fino alla stipulazione dell’atto aggiuntivo, con il sistema
degli adeguamenti trimestrali dei prezzi (ossia dal
settembre 1986 al dicembre 1991), così esaurendo del tutto
i rapporti corrispettivi tra le parti.
1.2.Con il secondo mezzo di ricorso (Violazione dell’art.

1419, secondo comma, cc, in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c.) l’Amministrazione ricorrente pone a questa Corte il
seguente quesito di diritto:

«Dica la SC se abbia violato

l’art. 1419, secondo coma, c.c., la Corte di Appello
allorché fa discendere l’effetto retroattivo dell’atto
aggiuntivo da una inesistente fattispecie di nullità ope
legis dell’art. 7 del contratto di appalto».
1.3.Con il terzo mezzo di ricorso (Violazione dell’art.

1325 cc, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.)
l’Amministrazione ricorrente pone a questa Corte il
seguente quesito di diritto: «Dica /a

SC se sia nullo per

difetto di causa un patto di «prezzo chiuso» con effetto

6

retroattivo quando fra le parti ha già avuto esecuzione la
revisione prezzi».
1.4.Con il quarto mezzo di ricorso (Violazione dell’art.
1325, n. 3, cc, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.)
l’Amministrazione ricorrente pone a questa Corte il

seguente quesito di diritto: «Dica la SC se sia nullo per
inesistenza dell’oggetto un patto di prezzo chiuso con
effetto retroattivo quando fra le parti ha già avuto
esecuzione la revisione prezzi».
1.5.Con il quinto mezzo di ricorso (Violazione dell’art.
1418, primo comma, cc, e del principio della invariabilità
dei prezzi pattuiti e dell’impegno finanziario, in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) l’Amministrazione
ricorrente pone a questa Corte il seguente quesito di
diritto: «Dica la SC se sia nulla per violazione di norme
imperative la rinegoziazione e la variazione della
componente di prezzo destinata a compensare gli aumenti del
prezzi con effetti ex tunc, già corrisposta dalla P.A. e
dalla cui esecuzione sia derivato un aggravio dell’impegno
di spesa».
***

2.1.

La resistente ha eccepito l’inammissibilità del primo

motivo di ricorso perché introdurrebbe questioni di fatto
del tutto nuove e comunque, nel merito, anche infondate: a)
una presunta anteriorità dell’aggiudicazione dell’appalto,
7

rispetto all’entrata in vigore dell’art. 33, comma 5, della
legge del 1986 (l’aggiudicazione del contratto sarebbe del
16 settembre 1986 mentre la legge nel suo complesso è
entrata in vigore, prima, vale a dire il 28 febbraio 1986);
b) una presunta definitiva esecuzione delle prestazioni, in

base agli adeguamenti trimestrali dei prezzi, fino alla
stipulazione del patto aggiunto, dovendosi ritenere nullo
il patto di cui all’art. 7 e perciò ripetibili i pagamenti
eseguiti in base ad esso.
2.1.1.

L’eccezione di inammissibilità è infondata, atteso

che nella sentenza impugnata risulta chiaramente affermato
(a p. 2) che il contratto è stato stipulato in data 15
settembre 1986 (e che, pertanto, l’aggiudicazione è
posteriore alla entrata in vigore della legge in esame) e
che esso stabiliva (all’art. 7) un meccanismo di revisione
trimestrale del prezzo. Del resto, come si dirà più avanti,
tali circostanze sono del tutto irrilevanti in quanto
attengono a motivi o moventi soggettivi che, se hanno
spinto le parti contraenti a modificare le pattuizioni
originarie con clausole aggiuntive, non rilevano ai fini
dello scrutinio della corretta applicazione di quelle
disposizioni, ciò che forma oggetto dei motivi di ricorso
che devono essere esaminati nel loro contenuto.
6(
2.2.

Le questioni di merito, pertanto, devono essere

scrutinate senza indugio, perché – come detto – sono
pienamente ammissibili.
8

Tuttavia, nel primo dei quesiti posti alla Corte sono in
realtà compresi tutti gli altri residui quattro quesiti, e
ciascuno di essi è strettamente connesso con gli altri,
onde l’opportunità – per ragioni di comodità espositiva della loro congiunta trattazione.
Punto

di

discussione comune alle due differenti

2.2.1.

prospettazioni (delle parti e dei giudici, di primo e
secondo grado) è che la clausola originaria dell’appalto
possa essere (o meno) sostituita, sulla base delle
previsioni della legge (n. 41 del 1986) sopravvenuta, nella
sua entrata in vigore, alla stipulazione del contratto.
2.2.2.

A tale domanda deve essere data risposta positiva,

in ragione del fatto che l’art. 33 della legge n. 41
richiamata, al comma 5, dispone che « le disposizioni di
cui ai precedenti commi si applicano altresì ai contratti
aventi per oggetto forniture e servizi aggiudicati
successivamente all’entrata in vigore della presente
legge».
Ne consegue che bene hanno fatto i giudici di merito a
ritenere possibile la sostituzione dell’originaria
previsione di revisione trimestrale dei prezzi dell’appalto
con il sistema alternativo di cui all’art. 33, commi 3 e 4,
della citata legge n. 41, avendo questo complesso di
previsioni portata imperativa, sia pure per mezzo della
scelta del tipo di meccanismo revisionale, strutturalmente
9

differenziato nei due tipi della revisione semestrale o del
«prezzo chiuso», a scelta delle parti, e in conformità a
quanto già affermato da questa Corte, enunciando il
principio secondo cui «La convenzione “a prezzo chiuso” si
pone come del tutto alternativa rispetto a quella con
c o sì

che, ad essa, non sono

revisione dei prezzi,

applicabili le disposizioni di cui all’art. 33, comma
secondo e terzo (riferibili, pertanto, alla sola
fattispecie della revisione dei prezzi), della ricordata
legge 41/86» (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4547 del 1998).
Infatti, l’istituto della «revisione dei prezzi» e quello
del «prezzo chiuso», così come disciplinato dall’art. 33
della legge n. 41 del 1986, rispondono ad esigenze e
finalità diverse, in quanto il primo mira a ristabilire il
rapporto sinallagmatico tra prestazioni mediante
l’adeguamento del corrispettivo alle variazioni dei prezzi
di mercato, qualora questi superino la soglia della normale
alea contrattuale, mentre il secondo soddisfa l’esigenza di
predeterminazione dell’impegno finanziario assunto dalla
P.A., garantita grazie al criterio dell’alea convenzionale,
forfettizzata per entrambi i contraenti, in virtù di un
sistema di computo automatico degli aumenti, sganciato dal
collegamento con l’inflazione reale e caratterizzato dalla
predeterminazione ex ante degli incrementi di costo
2.2.3.

Diversamente da quanto si assume in tutti i motivi

di ricorso, la sostituzione dell’originaria previsione di
10

revisione trimestrale dei prezzi dell’appalto con il
sistema alternativo di cui all’art. 33, commi 3 (revisione
semestrale) e 4 (prezzo chiuso), della citata legge n. 41,
prescinde – nella sentenza di appello – dalla
considerazione in termini di nullità della clausola

originaria (che viene richiamata solo come antefatto, nella
motivazione del giudice di primo grado), ben potendo le
parti stabilire che la nuova clausola (da esse stesse
negoziata quand’anche, per avventura, sulla base della
ritenuta nullità di quella originaria), debba avere effetto
retroattivo, consentendolo il principio di autonomia
privata come interpretato dalla stessa giurisprudenza di
legittimità che non vi ha ravvisato alcuna limitazione in
ordine all’estensione temporale degli effetti del contratto
(Sez. L, Sentenza n. 7116 del 1992, secondo cui « la
disciplina intertemporale è affidata – alla stregua delle
norme civilistiche che regolano la successione nel tempo
dei contratti – alla libera determinazione delle parti
contraenti, le quali ben possono pattuire l’efficacia
retroattiva delle clausole convenzionali».).
2,3. Ne discende che la risposta al primo quesito proposto

dall’amministrazione ricorrente deve essere l’affermazione
della validità (e non della nullità, come richiesto, per
violazione di norme imperative) dell’atto aggiuntivo che
abbia sostituito (per accordo delle parti e proprio su
iniziativa dell’amministrazione) il meccanismo di revisione
11

trimestrale con quello del cd. «prezzo chiuso», anche con
efficacia retroattiva, ma con la seguente necessaria
precisazione, utile per ogni ulteriore quesito posto dal
ricorrente.
2.3.1.

Tali prestazioni di prezzo, beninteso, non possono

essere certo fatte valere per cumulare, come si afferma nel
controricorso della società appaltatrice e odierna
resistente, i due meccanismi revisionali, ossia quello
originario

(ex art. 7 del contratto: la revisione su base

trimestrale), abbandonato consensualmente sulla base della
legge sopravvenuta, con quello, retroattivamente
applicabile (sulla base della nuova previsione di legge)
con l’atto aggiuntivo sottoscritto dalle parti,
integrandosi, altrimenti, un caso di indebito arricchimento
senza giusta causa, per il principio di unicità della
revisione contrattuale applicabile nei rapporti tra PA e
privato (o il meccanismo revisionale originario o quello
oggetto della patto successivo).
2.4. In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere

respinto e, con esso anche i successivi, in quanto
ricompresi in esso o con esso strettamente legati, sicché
l’esame di uno importa anche quello degli altri, alla luce
di quanto sopra esposto ai § 2.2.2. e ss., sopra
riportati.

**
12

~FP

3.

Il ricorso, complessivamente infondato, deve essere

respinto e la ricorrente condannata al pagamento delle
relative spese, liquidate come da dispositivo.
PQM

delle spese processuali sostenute dalla parte resistente,
che si liquidano nella misura di

e

7.200,00, di cui C

200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie ed agli
accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1
sezione civile della Corte di cassazione, il 30 settembre

Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento

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