Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22046 del 17/10/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 1 Num. 22046 Anno 2014
Presidente: FORTE FABRIZIO
Relatore: NAZZICONE LOREDANA

SENTENZA

sul ricorso 5402-2009 proposto da:
DE

STEFANO

MARIO

(c.f.

DSTMRA51A07H224K),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CRESCENZIO 91, presso l’avvocato LUIGI DE
STEFANO, che lo rappresenta e difende, giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

2014

contro

1605

TORRE ARGENTINA SOCIETA’ DI SERVIZI S.P.A. (C.F.
08092790586),

in

persona

del

legale

Data pubblicazione: 17/10/2014

rappresentante

pro

tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 42, presso
l’avvocato SERGIO BUCALO, che la rappresenta e
difende, giusta procura in calce al
controricorso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 5018/2008 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/12/2008;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 25/09/2014 dal Consigliere
Dott. LOREDANA NAZZICONE;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato M. DE
STEFANO, con delega, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M.,

in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

2

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 2 dicembre 2008, la Corte d’appello
di Roma, decidendo in sede di rinvio, ha, in riforma della
sentenza del Tribunale di Roma del 5 marzo 1996, condannato
la Torre Argentina – Società di servizi s.p.a. al
pagamento, in favore di Mario De Stefano, della somma di C

interessi legali dalla sentenza e alle spese di lite, a
titolo di risarcimento del danno per la revoca senza giusta
causa dalla carica di amministratore unico della società.
Preso atto della sentenza di legittimità del 7 maggio
2002, n. 6526 – la quale, cassando con rinvio la precedente
decisione della corte territoriale confermativa di quella
di primo grado, ha affermato il principio che la nomina, in
seno ad una società di capitali, di un consiglio di
amministrazione, del quale venga chiamato a far parte chi
fino ad allora abbia espletato le funzioni di
amministratore unico, comporta la revoca implicita di
questi dalla carica e l’obbligo di risarcirgli il danno,
ove avvenuta senza giusta causa – la Corte d’appello, per
quanto ancora rileva, ha liquidato il danno con riguardo al
periodo successivo alla revoca del 13 novembre 1990 e sino
alla naturale scadenza dell’originario mandato. Non ha,
invece, reputato accoglibile la richiesta di liquidazione
del danno anche con riguardo al compenso nel periodo in cui
egli ha effettivamente svolto le mansioni di amministratore
unico (settembre 1989-novembre 1990), trattandosi di
inadempimento di un’obbligazione autonoma e non
ricollegabile alla revoca.
In mancanza della predeterminazione del compenso in
sede assembleare, la corte territoriale ha liquidato il
danno non sulla base delle tariffe professionali dei
dottori commercialisti, come richiesto dall’ex
t

amministratore, ma in via equitativa, tenuto conto

dei

parametri del compenso stabilito dall’assemblea per
l’organo collegiale (L. 30.000.000 annui per ciascuno d
R.G. 5402/2009

3

11cons.

25.000,00, ivi compresa la rivalutazione, oltre agli

tre membri, per un totale di L. 90.000.000 complessivi per
il consiglio), dell’ampliamento dell’oggetto sociale,
dell’aumento del capitale e dell’attività svolta dal De
Stefano quale amministratore unico, che si era limitato ad
una semplice attività di gestione di una società di modeste
proporzioni, senza alcun assolvimento dei compiti tipici

quanto volta unicamente al pagamento di stipendi, bollette,
fornitori e prestatori d’opera, oltre alla gestione degli
immobili concessi in locazione (sollecito di pagamenti e
cura, a mezzo

di

tecnici all’uopo incaricati, della

ristrutturazione dell’immobile rilasciato alla società).
Ciò posto, la corte territoriale ha liquidato, ai
sensi dell’art. 1226 c.c., il risarcimento dovuto per il
periodo successivo alla revoca in L. 30.555.556, pari ad C
15.789 (considerando in via equitativa quello per l’intero
triennio pari a L. 50.000.000), condannando la società a
corrispondere la somma di E 25.000,00, compresa
l’attualizzazione del dovuto e con gli interessi legali
dalla sentenza.
Avverso questa sentenza propone ricorso Mario De
Stefano, affidato a quattro motivi. Resiste la Torre
Argentina Società di Servizi s.p.a. con controricorso. Il
ricorrente ha altresì depositato la memoria di cui all’art.
378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, il ricorrente denunzia
l’insufficiente e contraddittoria motivazione per non avere
la sentenza impugnata liquidato il danno derivante dalla
revoca anticipata dalla carica sulla base della tariffa
professionale dei dottori commercialisti.
Con il secondo motivo, deduce la violazione e la falsa
applicazione dell’art. 1226 c.c., oltre al vizio di
contraddittoria motivazione, per avere la corte del merito
ridotto il compenso risultante dal parametro di quello
dall’assemblea stabilito per l’intero consiglio di
R.G. 5402/2009

4

del dottore commercialista o di natura legale o tecnica, in

amministrazione, sebbene invece la società avesse mantenuto
le stesse dimensioni e non avendo, del resto, neppure il
nuovo c.d.a. svolto attività di natura professionale non
gestoria, ma anzi essendo più gravoso lo svolgimento di una
funzione monocratica. Inoltre, l’ampliamento dell’oggetto
sociale, attuato con la deliberazione del 13 novembre 1990,

non avendo valore incrementativo la semplice “megalomania”
dei soci che abbiano ampliato l’oggetto statutario; mentre
la società non ha prodotto bilanci da cui risulti l’aumento
di fatturato. I ventidue mesi dalla revoca, mancanti sino
al completamento dell’incarico gestorio monocratico,
dovevano quindi essere compensati nella misura di L.
165.000.000 (posto che L. 90.000.000 annui equivalgono a L.
7.500.000 mensili, per 22 mesi).
Con il terzo motivo, deduce il vizio di motivazione,
per avere la corte d’appello, nel liquidare la somma dovuta
a titolo di debito di valore, quantificato l’importo finale
in C 25.000,00, senza tener conto della regola del cumulo
di rivalutazione ed interessi, da calcolare con riferimento
ai singoli momenti in relazione ai quali la somma si
incrementa nominalmente, e senza indicare il criterio
seguito per tale attualizzazione, né il tasso applicato per
gli interessi sulle somme rivalutate ed essendosi limitata
ad aggiungere al compenso liquidato di C 15.789,00 la somma
di C 9.211,00, per ben 18 anni, decorrenti fra la revoca
dall’incarico nel novembre 1990 al deposito della sentenza
il 2 dicembre 2008.
Con il quarto motivo, deduce la violazione dell’art.
112 c.p.c. per l’omessa pronuncia sulla domanda di condanna
alla restituzione delle spese di lite, corrisposte in
esecuzione delle precedenti decisioni.
2. – Il primo motivo é infondato.
2.1. – La corte d’appello, in sede di rinvio, aveva il
compito di liquidare il compenso all’amministratore

per

la

revoca dalla carica senza giusta causa, ai sensi dell’art.
R.G. 5402/2009

5

non dimostra di per sé un’espansione dell’attività sociale,

2383 c.c. La peculiarità del caso in esame, peraltro,
consiste nella circostanza che mancava al giudice del
merito il parametro costituito dalla quantificazione
assembleare del compenso all’amministratore al momento
della sua nomina.
La questione relativa al criterio di liquidazione del

carica – nella specie, accertata da questa Corte con la
sentenza rescindente del 7 maggio 2002, n. 6526 – si
collega dunque a quella più generale della determinazione
giudiziale del compenso dell’amministratore di società non
pattuito fra le parti. A tale ultima questione si
dedicheranno alcune considerazioni nel prosieguo, allo
scopo della verifica della correttezza del procedimento
seguito dalla sentenza impugnata al fine della risoluzione
della distinta tematica della determinazione del danno
patito dall’amministratore revocato senza giusta causa, ai
sensi dell’art. 2383 c.c.
2.2. – Rileva la corte territoriale, con accertamento
non sindacabile in questa sede, che l’amministratore
revocato non ha fornito alcun elemento cui agganciare la
determinazione del compenso secondo le tariffe dei dottori
commercialisti, avendo la società precisato che egli è un
avvocato, né risultando lo svolgimento di attività
riservate ai professionisti delle cui tariffe
l’amministratore chiede l’applicazione, ma avendo la corte
del merito accertato che non furono dal De Stefano svolti
compiti tipici della professione del commercialista, del
legale o di altri tecnici.
La pretesa dell’odierno ricorrente di vedere applicata
alla propria prestazione gestoria, quale parametro per la
liquidazione del danno, la tariffa dei dottori
commercialisti è stata pertanto disattesa dal giudice del
rinvio, che ha rilevato come il richiamo alle tariffe,
eppure frequente negli statuti societari (come in quello
orre Argentina s.p.a.) per la determinazione del compenso
RG. 5402/2009

6

danno dovuto per l’illegittima anticipata revoca dalla

dei sindaci,

non si giustifica però con riguardo

all’amministratore, la cui attività ha contenuto
prettamente gestorio, non riconducibile ai compiti del
professionista cui si pretende di ancorare il compenso, ed,
in particolare, con l’attività in concreto svolta dal De
Stefano.

l’orientamento, più volte espresso da questa Corte, e dal
quale non vi è ragione di discostarsi, secondo cui il
rapporto che intercorre tra società ed amministratore è di
immedesimazione organica ed il contratto tipico che lega
tali soggetti non è un contratto d’opera ex art. 2222 c.c.,
in quanto l’opus di amministrazione che egli si impegna a
fornire non è, a differenza di quello del prestatore
d’opera, determinato dai contraenti preventivamente né è
determinabile aprioristicamente, identificandosi con la
stessa attività d’impresa (così, con riguardo al profilo
della negazione del privilegio generale di cui all’art.
2751-bis, n. 2, c.c.: Cass. 27 febbraio 2014, n. 4769; 24
aprile 2007, n. 9911;

23 luglio 2004, n. 13805; 26 febbraio

2002, n. 2769; 17 agosto 1998, n. 8083; 14 settembre 1995,
n. 9692).
Va, infatti, ribadito che l’attività del soggetto cui
è affidata la gestione sociale non può essere equiparata a
quella del prestatore d’opera, intellettuale o non
intellettuale, posto che i compiti affidatigli riguardano
la gestione di un’impresa costituita da un insieme
variegato di atti materiali, negozi giuridici, operazioni
complesse. Dunque, quand’anche taluni di tali atti ed
operazioni possano compararsi all’attività di un prestatore
d’opera, tuttavia essi assumono diversa valenza giuridica
in ragione del rapporto di immedesimazione organica con la
società.
Nel rapporto corrente tra amministratore e società
l’attività di amministrazione si salda con l’attività di
impresa e il suo esercizio si carica dei rischi di
R.G. 5402/2009

7

Il cons. reLiest.

Tali affermazioni risultano affatto coerenti con

quest’ultima,

con

svolgimento

di

un’attività

imprenditoriale complessa, tanto sul piano interno
organizzativo, quanto su quello esterno verso i terzi. Né
rileva in sé la circostanza che a svolgerla possano essere
chiamati dei professionisti legali o commerciali o che il
compimento di una parte delle operazioni richieste possa

allora, restano assorbite nel compenso per la carica).
In definitiva, la natura giuridica del rapporto con
l’impresa collettiva – che non è assimilabile a quello
derivante dal contratto d’opera come esclude la
riconoscibilità del privilegio, così non giustifica alcun
automatico riferimento, al fine della liquidazione del
compenso all’amministratore non determinato dalle parti al
momento della nomina, alle tariffe dei dottori
commercialisti.
3. – Il secondo motivo è infondato.
In punto di fatto, la corte del merito ha accertato,
con valutazione insindacabile in questa sede in quanto
immune da vizi logico-giuridici, due distinte situazioni:
a)

da un lato, che l’amministratore revocato, nei

quattordici mesi di espletamento del suo incarico, ebbe a
compiere l’attività ordinaria propria di una società
immobiliare di modeste dimensioni, quali pagamento di
stipendi ai dipendenti, di bollette, di forniture e
prestatori d’opera, e che curò la cessazione della
locazione dell’immobile sociale, con disdette e diffide,
sorvegliando l’attività del legale e del professionista che
aveva curato la ristrutturazione dell’immobile;

b)

dall’altro lato, che la società, in concomitanza alla
decisione assembleare di sostituzione dell’organo
amministrativo monocratico con uno collegiale – decisione
motivata proprio dall’esigenza di aumentata complessità
della gestione sociale – ebbe a modificare l’oggetto
sociale, espandendo la propria attività in molteplici e

R.G. 5402/2009

8

11 e

implicare la soluzione di problematiche tecniche (che,

complesse

articolazioni,

con

conseguente

accresciuto

impegno dell’ente e dell’organo destinato ad amministrarlo.
La corte del merito ha perciò operato una liquidazione
equitativa del danno, prendendo a riferimento il compenso
stabilito per il consiglio di amministrazione
dall’assemblea che lo ha nominato; le attività di ordinaria

dall’amministratore unico fino a quel momento;
l’ampliamento dell’oggetto sociale statutario con la stessa
delibera di nomina del nuovo organo consiliare; l’assenza
di qualità e di mansioni di dottore commercialista in capo
all’odierno ricorrente.
Ne

ha

dedotto

che

il

parametro

equitativo

rappresentato dal compenso determinato dall’assemblea al
momento della nomina del nuovo organo consiliare potesse
bensì costituire un criterio di liquidazione del danno
lamentato dall’organo monocratico revocato, ma che,
tuttavia, non fosse possibile trasporre automaticamente
quell’importo nel

quantum del risarcimento, dovendo essere

ridotta la somma attribuita ai tre componenti del consiglio
di amministrazione, e determinando il compenso in L.
50.000.000 per l’intero triennio, pari a

L.

30.555.556 per

il periodo non fruito di ventidue mesi.
Se l’accertamento in fatto resta una valutazione
riservata al giudice del merito, la deduzione che il
medesimo giudice ne ha tratto in punto di determinazione
del danno ex art. 1226 c.c. è, dal suo canto, immune dal
vizio di motivazione insufficiente o contraddittoria,
avendo, al contrario, la corte territoriale ampiamente
spiegato il fondamento del suo convincimento.
Né sussiste, in particolare, alcun vizio motivazionale
nel rilievo attribuito all’ampliamento dell’oggetto sociale
al fine di ipotizzare una più complessa attività gestoria
nel successivo periodo: posto che, costituendo l’oggetto
sociale il programma imprenditoriale predisposto dalla
società in vista della sua attività futura, un ampliamento
R.G. 5402/2009

9

gestione dei beni immobili sociali, compiute

dell’oggetto medesimo è senz’altro di per sé idoneo ad
integrare il presupposto dell’attribuzione di un maggior
compenso a chi quel programma sia chiamato ad attuare.
4. – Il terzo motivo è inammissibile.
La corte d’appello ha tenuto conto sia della
rivalutazione, sia degli interessi sulla somma rivalutata,

esplicazione del potere di liquidazione equitativa del
danno – in maniera omnicomprensiva e senza calcolo nel
dettaglio.
Dovendo, pertanto, reputarsi che il danno sia stato
liquidato

ex

art. 1226 c.c. per i mesi successivi alla

revoca, la liquidazione resta non sindacabile in questa
sede. Ed invero, per pervenire alla valutazione con il
criterio equitativo ex art. 1226 c.c., è sufficiente che il
giudice dia l’indicazione di congrue, anche se sommarie,
ragioni del processo logico in base al quale lo ha
adottato, restando così incensurabile, in sede di
legittimità, l’esercizio di questo potere discrezionale
(Cass. 9 agosto 2007, n. 17492).
5. – Il quarto motivo – la cui ammissibilità deriva
dalla chiara enucleazione del vizio di omessa pronuncia e
del punto censurato – è fondato.
La sentenza impugnata ha omesso di provvedere sulla
condanna della società – dapprima vittoriosa nei due gradi
di merito – alla restituzione della somma dovuta alla
medesima a titolo di pagamento delle spese legali per detti
gradi, pari ad

e

10.469,80, pagate dal De Stefano alla

società vittoriosa il 10 maggio 2000.
Secondo il principio da questa Corte enunciato (Cass.
3 ottobre 2005, n. 19299; più di recente, 23 maggio 2014,
n. 11519), le pretese restitutorie conseguenti alla riforma
di sentenze delle precedenti fasi possono trovare ingresso
in quelle successive, al fine di precostituire il titolo
esecutivo per la restituzione, in tal senso deponendo

R.G. 5402/2009

10

sebbene abbia quantificato gli importi – pur sempre in

evidenti ragioni di economia processuale per il rispetto
del principio di ragionevole durata del processo.
In particolare, la richiesta di restituzione delle
somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo
grado, essendo conseguente alla richiesta di modifica della
decisione impugnata, non costituisce domanda nuova ed è

16152; 24 maggio 2010, n. 12622; 11 giugno 2008, n. 15461;
24 aprile 2008, n. 10765; v. pure Cass. 8 giugno 2012, n.
9287).
Pertanto, incorre nella violazione del principio di
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice
che, accogliendo l’appello avverso sentenza
provvisoriamente esecutiva, ometta di ordinare la
restituzione di guanto corrisposto in forza della decisione
riformata, pur essendo stata ritualmente introdotta con
l’atto di impugnazione la relativa domanda restitutoria
(Cass. 5 febbraio 2013, n. 2662), risultando così nella
specie integrato il vizio di cui all’art. 360, primo coma,
n. 4, c.p.c.
. 6. – In definitiva, la sentenza va cassata, in
relazione al motivo accolto, e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti in fatto, è possibile decidere nel
merito (cfr. Cass. 15 febbraio 2005, n. 2977 ed altre) con
la condanna della società alla restituzione della somma
corrisposta alla medesima a titolo di spese legali, pari ad
E 10.469,80, con gli interessi legali dal 10 maggio 2000,
trattandosi di debito di valuta.
7.

Atteso l’esito della controversia si ritiene

conforme a diritto confermare le statuizioni dei giudici
di merito in tema di spese processuali e compensare per la
metà fra le parti le spese del presente giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso, respinti
gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione Al
R.G. 5402/2009

11

Il conseI. st .

perciò ammissibile in appello (Cass. 8 luglio 2010, n.

motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna la TORRE
ARGENTINA SOCIETÀ DI SERVIZI S.P.A. alla restituzione in
favore di MARIO DE STEFANO della somma C 10.469,80, con gli
interessi legali dal 10 maggio 2000. Conferma le
statuizioni della sentenza impugnata in tema di spese
processuali e condanna la controricorrente al pagamento

legittimità, liquidate, già operata la compensazione per il
residuo, in C 3.600,00, di cui

e

100,00 per esborsi, oltre

alle spese forfetarie sui compensi nella misura del 10% ed
agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25
settembre 2014.

della metà delle spese del presente giudizio di

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA