Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22044 del 28/10/2015
Civile Sent. Sez. 6 Num. 22044 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO
sentenza con motivazione
semplificata
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RASO Rita
RTI 59T61 H558W),
rappresentata e difesa,
per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato
Antonino Pellicanà, presso lo studio del quale in Roma,
Piazzale delle Belle Arti n. 8, è elettivamente
domiciliata;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,
pro
rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale
dello Stato, presso cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– controricorrente –
Data pubblicazione: 28/10/2015
avverso il decreto della Corte d’Appello di Catanzaro,
depositato in data 17 luglio 2013 (R.G.V.G. n. 1805/11).
Udita
la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza dell’8 ottobre 2015 dal Presidente relatore Dott.
sentito,
per la ricorrente, l’Avvocato Antonino
Pellicanà.
Ritenuto
che, con ricorso depositato in data l °
dicembre 2011 presso la Corte d’appello di Catanzaro, Rita
Raso chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al
pagamento del danno non patrimoniale sofferto a causa
della irragionevole durata di un giudizio civile iniziato
dinnanzi al Pretore di Palmi, giudice del lavoro, con
ricorso depositato in data 5 marzo 1997, deciso in primo
grado con sentenza depositata il 2 dicembre 2003 e in
grado di appello dalla Corte d’appello di Reggio Calabria
con sentenza depositata in data 20 aprile 2010;
che l’adita Corte d’appello, rilevato che il giudizio
aveva avuto una durata complessiva di tredici anni,
riteneva che dalla stessa dovessero essere detratti cinque
anni quale lasso ragionevole per i due gradi nonché un
anno, in relazione al tempo occorso per la proposizione
della impugnazione;
che per la durata irragionevole accertata in sette
anni, la Corte d’appello liquidava un indennizzo di euro
-2-
Stefano Petitti;
1.800,00, adottando un criterio di 200,00 euro per i primi
tre anni di ritardo e di 300,00 per ciascuno degli anni
successivi, in considerazione della ridotta entità della
posta in gioco;
proposto ricorso sulla base di quattro motivi, illustrati
da successiva memoria;
che
l’intimato
Ministero
ha
resistito
con
controricorso.
Considerato
che il Collegio ha deliberato l’adozione
di una motivazione in forma semplificata;
che con il primo motivo di ricorso (violazione e falsa
applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 in
combinato disposto con gli artt. 6, par. l, 13 e 41 della
CEDU; violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e
2056 cod. civ.; omessa e/o insufficiente, illogica e
contraddittoria motivazione) e con il secondo motivo
(violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge
n. 89 del 2001 in combinato disposto con gli artt. 6, par.
1, 13 e 41 della CEDU; omessa e/o insufficiente, illogica
e contraddittoria motivazione) la ricorrente censura il
decreto impugnato per avere la Corte d’appello liquidato
un indennizzo sensibilmente inferiore a quello ordinario e
del tutto inadeguato a ristorare il pregiudizio sofferto;
che per la cassazione di questo decreto Rita Raso ha
che con il terzo motivo la ricorrente denuncia
violazione del d.l.
(recte:
d.m.) n. 140 del 2012,
rilevando che la somma liquidata a titolo di spese è
inferiore alla tariffa approvata con l’indicato decreto;
violazione dell’art. 92, secondo comma,cod. proc. civ.,
come modificato dall’art. 45 della legge n. 69 del 2009,
dolendosi che la Corte d’appello abbia compensato per metà
le spese in considerazione del comportamento difensivo
tenuto dal Ministero;
che il primo e il secondo motivo, all’esame dei quali
può precedersi congiuntamente, sono fondati;
che, invero, nella giurisprudenza di questa Corte si è
affermato il principio per cui, se è vero che il giudice
nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai
criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei
diritti dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di
garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno
e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del
danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non
inferiore ad euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in
relazione ai primi tre anni eccedenti la durata
ragionevole, e non inferiore a euro 1.000,00 per quelli
successivi), permane tuttavia, in capo allo stesso
giudice, il potere di discostarsene, in misura
-4-
che con il quarto motivo la ricorrente deduce la
ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità
della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di
positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar
conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass. 17922
che in successive pronunce di questa Corte si è poi
affermato che tema di equa riparazione, ai sensi della
legge 24 marzo 2001, n.89, per violazione del diritto alla
ragionevole durata del processo, il giudice, nel
determinare la quantificazione del danno non patrimoniale
subito per ogni anno di ritardo, può scendere al di sotto
del livello di “soglia minima” là dove, in considerazione
del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa
patrimoniale azionata nel processo presupposto,
parametrata anche sulla condizione sociale e personale del
richiedente, l’accoglimento della pretesa azionata
renderebbe il risarcimento del danno non patrimoniale del
tutto sproporzionato rispetto alla reale entità del
pregiudizio sofferto» (Cass. n. 12937 del 2012); e si è
pervenuti a ritenere che, già prima delle modificazioni
introdotte dal decreto-legge n. 83 del 2012, convertito
dalla legge n. 134 del 2012, il criterio di 500,00 euro
per anno di ritardo costituisse un adeguato ristoro del
pregiudizio sofferto nei giudizi amministrativi (Cass. n.
del 2010);
20617 del 2014) e nei procedimenti fallimentari (Cass. n.
16311 del 2014);
che, nella specie, la Corte d’appello ha applicato un
criterio di liquidazione che si discosta grandemente dal
di questa Corte, sicché il decreto impugnato va cassato;
che l’accoglimento del primo e del secondo motivo
comporta l’assorbimento del terzo e del quarto, dovendosi
procedere a nuova determinazione in ordine alle spese per
effetto della nuova liquidazione dell’indennizzo dovuto;
che il decreto impugnato va dunque cassato;
che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc.
civ.;
che, invero, dovendosi ritenere incontestata la durata
irragionevole del giudizio presupposto di sette anni, alla
ricorrente va riconosciuto un indennizzo di euro 3.500,00,
adottando il criterio di 500,00 euro per anno di ritardo;
che, dunque, il Ministero della giustizia deve essere
condannato al pagamento, in favore della ricorrente, della
somma di euro 3.500,00, oltre agli interessi legali dalla
domanda al soddisfo;
criterio minimo ritenuto ragionevole dalla giurisprudenza
•
che il Ministero della giustizia deve essere altresì
condannato al pagamento delle spese dell’intero giudizio,
nella misura liquidata in dispositivo;
che le spese vanno distratte in favore del difensore
PER QUESTI MOTIVI
La Corte
accoglie
il primo e il secondo motivo di
ricorso, assorbiti gli altri; cassa il decreto impugnato e
decidendo la causa nel merito,
condanna il Ministero della
giustizia al pagamento, in favore della ricorrente, della
somma di euro 3.500,00, oltre agli interessi legali dalla
data della domanda al soddisfo;
condanna
inoltre il
Ministero della giustizia al pagamento delle spese
dell’intero giudizio che
liquida,
quanto al giudizio di
merito, in euro 564,00 per compensi, oltre accessori di
legge e, per il giudizio di cassazione, in euro 700,00 per
compensi, oltre agli accessori di legge e alle spese
forfetarie;
dispone la distrazione delle spese in favore
del difensore dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione,
dichiaratosi antistatario.