Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22043 del 28/10/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 22043 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

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sul ricorso proposto da:
DECARO Idea (DCR DIE 33S64 I535N), rappresentata e difesa,
per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato
Leonardo Palagonia, domiciliata in Roma, Piazza Cavour,
presso la Cancelleria civile della Corte suprema di
cassazione;
– ricorrente –

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– resistente –

Data pubblicazione: 28/10/2015

avverso il decreto della Corte d’Appello di Messina n.
1292/2013, depositato in data 17 giugno 2013.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza dell’8 ottobre 2015 dal Presidente relatore Dott.

sentito,

per la ricorrente, l’Avvocato Leonardo

Palagonia.
Ritenuto che, con ricorso depositato in data 22 giugno
2012 presso la Corte d’appello di Messina, Decaro Idea
chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al
pagamento del danno non patrimoniale sofferto a causa
della irragionevole durata di un giudizio civile iniziato
dinnanzi al Tribunale di Modica nel 1978, deciso con
sentenza depositata il 17 gennaio 2011;
che l’adita Corte d’appello, rilevato che il giudizio
aveva avuto una durata complessiva di trentadue anni e
dieci mesi, riteneva che dalla stessa dovessero essere
detratti tre anni quale lasso ragionevole nonché otto anni
imputabili alle richieste di rinvio delle parti o a rinvii
disposti per la mancata comparizione delle parti;
che per la durata irragionevole accertata in ventuno
anni e dieci mesi, la Corte d’appello liquidava un
indennizzo di euro 10.850, adottando il criterio di 500,00
euro per anno di ritardo in considerazione della condotta
tenuta dalle parti nel corso del giudizio;

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Stefano Petitti;

che per la cassazione di questo decreto Decaro Idea ha
proposto ricorso sulla base di quattro motivi;
che l’intimato Ministero non ha resistito con
controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai

discussione.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione
di una motivazione in forma semplificata;
che con il primo motivo di ricorso (violazione e falsa
applicazione dell’art. 163 cod. proc. civ. e dell’art. 2
della legge n. 89 del 2001 e dell’art. 6, par. l, della
CEDU) la ricorrente censura il decreto impugnato per avere
la Corte d’appello individuato quale data iniziale del
giudizio presupposto la data della sua costituzione in
quel giudizio (22 marzo 1978) anziché la data della
notificazione del decreto impugnato (13 febbraio 1978);
che il motivo è infondato, atteso che la differenza
indicata è, rispetto alla complessiva durata del giudizio
presupposto e alla stessa durata irragionevole accertata
dalla Corte d’appello di entità minima e tale da non
incidere sulla valutazione complessiva del pregiudizio
sofferto;
che con il secondo motivo la ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n.
89 del 2001, degli artt. 1226 e 2056 cod. civ. e degli

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fini della eventuale partecipazione all’udienza di

artt. 6, par. 1, e 13 della CEDU, dolendosi della esiguità
dell’indennizzo liquidato, essendosi la Corte d’appello
discostata dall’ordinario criterio di 750,00 euro per i
primi tre anni di durata irragionevole e di 1.000,00 euro

aspetti non rilevanti ai fini della determinazione
dell’indennizzo;
che con il terzo motivo la ricorrente deduce omesso
esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati
oggetto di discussione tra le parti, e rilevanti ai fini
della determinazione dell’indennizzo;
che il secondo e il terzo motivo, all’esame dei quali
può procedersi congiuntamente per evidenti ragioni di
connessione, sono infondati;
che, invero, nella giurisprudenza di questa Corte si è
affermato il principio per cui, se è vero che il giudice
nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai
criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei
diritti dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di
garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno
e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del
danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non
inferiore ad euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in
relazione ai primi tre anni eccedenti la durata
ragionevole, e non inferiore a euro 1.000,00 per quelli

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per ciascuno degli anni successivi facendo riferimento ad

successivi), permane tuttavia, in capo allo stesso
giudice, il potere di discostarsene, in misura
ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità
della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di

conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass. 17922
del 2010);
che in successive pronunce di questa Corte si è poi
affermato che tema di equa riparazione, ai sensi della
legge 24 marzo 2001, n.89, per violazione del diritto alla
ragionevole durata del processo, il giudice, nel
determinare la quantificazione del danno non patrimoniale
subito per ogni anno di ritardo, può scendere al di sotto
del livello di “soglia minima” là dove, in considerazione
del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa
patrimoniale azionata nel processo presupposto,
parametrata anche sulla condizione sociale e personale del
richiedente, l’accoglimento della pretesa azionata
renderebbe il risarcimento del danno non patrimoniale del
tutto sproporzionato rispetto alla reale entità del
pregiudizio sofferto» (Cass. n. 12937 del 2012); e si è
pervenuti a ritenere che, già prima delle modificazioni
introdotte dal decreto-legge n. 83 del 2012, convertito
dalla legge n. 134 del 2012, il criterio di 500,00 euro
per anno di ritardo costituisse un adeguato ristoro del

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positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar

pregiudizio sofferto nei giudizi amministrativi (Cass. n.
20617 del 2014) e nei procedimenti fallimentari (Cass. n.
16311 del 2014);
che, nella specie, la Corte d’appello ha applicato un

irragionevole e inidoneo ad assicurare un adeguato ristoro
del pregiudizio sofferto, facendo riferimento alla
condotta delle parti, ritenuta significativa di un
sostanziale disinteresse ad una sollecita definizione
della causa;
che il secondo e il terzo motivo devono essere quindi
rigettati;
che con il quarto motivo la ricorrente, denunciano
violazione dell’art. 81, secondo comma, disp. att. cod.
proc. civ., dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e
dell’art. 6, par. 1, della CEDU, nonché omesso esame di
fatti decisivi per il giudizio che hanno formato oggetto
di discussione, si duole dell’avvenuta detrazione di tutto
il periodo intercorso tra l’udienza in cui è stato
richiesto il rinvio e l’udienza successiva, in quanto
interamente addebitabile alle parti, in contrasto con la
giurisprudenza di questa Corte che alle parti può essere
imputato il lasso di tempo fisiologico e non l’intero
lasso di tempo tra un’udienza e quella successiva;
che il motivo è inammissibile;

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criterio che non può essere di per sé considerato

che, invero, sarebbe stato onere della ricorrente
individuare i rinvii disposti dal Tribunale su istanza
delle parti – di tutte le parti – e dimostrare che la
Corte d’appello ha detratto un lasso di tempo che sarebbe

giudiziario;
che, d’altra parte, se è vero che la durata di un
giudizio che si protragga in unico grado per oltre trenta
anni non può non essere riferita per una parte rilevante
all’amministrazione giudiziaria, è altresì vero che non
può escludersi un concorso delle parti nella protrazione
del giudizio per una durata così eccessiva, sia se queste
hanno richiesto rinvii o aderito a quelli chiesti dalle
altre parti, sia e soprattutto se le medesime non hanno
assunto iniziative idonee a sollecitare l’ufficio
giudiziario ad una rapida definizione della controversia;
che, in conclusione, il ricorso deve essere rigettato;
che non vi è luogo a provvedere sulle spese del
giudizio di cassazione, non avendo la difesa erariale
partecipato all’udienza di discussione;
che, risultando dagli atti del giudizio che il
procedimento in esame è considerato esente dal pagamento
del contributo unificato, non si deve far luogo alla
dichiarazione di cui al comma

1-quater dell’art. 13 del

testo unico approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, n.

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stato riconducibile anche ad inefficienze dell’apparato

115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso.

VI – 2 Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione,

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della

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