Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22043 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/10/2020, (ud. 24/02/2020, dep. 13/10/2020), n.22043

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2034/2013 R.G. proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in Roma, via F. Siacci n.

4, presso lo studio dell’avv. Alessandro Voglino, rappresentato e

difeso dall’avv. Fabio Benincasa, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza 394/28/11 della Commissione tributaria regionale

della Campania, depositata in data 29 novembre 2011;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 febbraio

2020 dal Consigliere Paolo Fraulini.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale per la Campania, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto il ricorso proposto da R.G. avente per oggetto l’impugnazione della cartella di pagamento n. (OMISSIS) relativa ad accertamento di maggior reddito a fini Irpef e Irap relativamente all’anno di imposta 1998 e 2001; la stessa Commissione ha invece confermato la sentenza di primo grado laddove essa aveva annullato la cartella di pagamento n. (OMISSIS) relativa ad accertamento di maggior reddito a fini Irpef e Irap relativamente all’anno di imposta 2001.

2. La CTR, per quanto ancora qui interessa, ha rilevato che, in relazione all’anno di imposta 1998 per il quale – a seguito di accertamento con adesione non andato a buon fine – era stata emessa la cartella di pagamento contenente l’intera somma originariamente dovuta, il contribuente aveva omesso di presentare la garanzia fideiussoria, che il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 8, prevede come condizione per l’ammissibilità della domanda di adesione, con conseguente illegittimità del procedimento e connessa correttezza del recupero erariale contenuto nella cartella impugnata.

3. Per la cassazione della citata sentenza R.G. ha proposto ricorso con quattro motivi; l’Agenzia delle Entrate ha depositato un atto di costituzione con cui si riserva di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso lamenta:

a. Primo motivo: “Vizio di omessa o insufficiente

motivazione della sentenza impugnata (violazione dell’art. 360, n. 5),” deducendo l’illegittimità della sentenza impugnata, laddove avrebbe omesso di rilevare la novità del motivo di appello con cui l’Agenzia censurava la validità del procedimento di adesione in relazione alla mancata prestazione della garanzia fideiussoria, laddove in primo grado era stata sollevata contestazione solo in relazione al versamento delle rate.

b. Secondo motivo: “Violazione o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3),” deducendo il vizio di motivazione della cartella esattoriale impugnata, che recava indicazione della sola tardività dei versamenti, senza nulla accennare in relazione alla necessità della presentazione della garanzia fideiussoria.

c. Terzo motivo: “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, artt. 8 e 9, (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3),” deducendo l’erroneità della sentenza laddove ha ritenuto che la mancata prestazione della garanzia fideiussoria determini l’inefficacia dell’atto di accertamento con adesione già formalizzato.

d. Quarto motivo: “Violazione o falsa applicazione del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 23, comma 18, convertito con modificazioni in L. 15 luglio 2011, n. 111, (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3),” deducendo che la normativa asseritamente violata, abolendo l’obbligo di prestazione della garanzia fideiussoria, avrebbe un effetto retroattivo e come tale sarebbe applicabile al caso di specie.

2. Il primo motivo (formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è inammissibile, giacchè il ricorrente, nel rilevare l’omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione da parte della CTR sulla questione del mutamento della domanda da parte dell’appellante Agenzia rispetto a quella contenuta nella cartella, finisce con il denunciare un error in procedendo. In tal caso è indiscusso nella giurisprudenza di questa Corte che “in materia di vizi in procedendo non è consentito alla parte interessata di formulare in sede di legittimità la censura di omessa motivazione, in quanto spetta alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato o meno il denunciato vizio di attività, attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto” (cfr. da ultimo, Cass. Sez. 2, 2 settembre 2019, n. 21944, che richiama Cass. Sez. L, 5 giugno 2001, n. 7620).

3. Con il secondo motivo, dedotto come violazione o falsa applicazione di legge, si ripropone la questione dello ius novorum in appello, evidentemente considerando l’implicito rigetto, da parte della CTR, della relativa eccezione fatta valere dal contribuente con le proprie controdeduzioni d’appello.

Il motivo è infondato.

E’ ben vero infatti che la motivazione della cartella fa riferimento al “versamento effettuato oltre i termini previsti dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 8, per il perfezionamento dell’adesione”, ma è anche vero che con il ricorso introduttivo il contribuente, non contestando il tardivo versamento della seconda rata, bensì di aver successivamente versato l’intera somma dovuta, ha opposto, in relazione a tali fatti, la circostanza della “avvenuta definizione della contestazione per acquiescenza” (cfr. pag. 3 del ricorso in questa sede che fa riferimento a pag. 11 del ricorso introduttivo), quale fatto impeditivo della pretesa dell’Amministrazione.

Il thema decidendi (e probandi), costituito dal perfezionamento o meno della procedura di adesione, implicante quindi la corretta interpretazione e applicazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, al riguardo, con il ricorso introduttivo del contribuente si era dunque arricchito di circostanze diverse (asserita acquiescenza) da quelle contenute specificamente nella cartella; sì che la deduzione dell’Agenzia (contenuta nel proprio atto di appello, ma rette – come ammesso dal contribuente nel ricorso in questa sede – fin dall’atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia in primo grado in data 16 maggio 2008, cfr. pag. 3 del ricorso) circa la mancata produzione della garanzia, quale ulteriore fatto comunque ostativo per legge all’accoglimento delle ragioni dedotte dal contribuente sul perfezionamento dell’adesione per acquiescenza, va qualificata non come nuova domanda, ma come una legittima controeccezione (in senso lato), come tale rilevabile anche d’ufficio da parte del giudice chiamato a pronunziarsi sulle condizioni previste dalla legge per il perfezionamento della procedura di adesione (Cass. Sez. U. 27 luglio 2005, n. 15661; Cass. Sez. 5, 6 aprile 2018, n. 8470; Cass. Sez. 5, 3 luglio 2019, n. 31481; Cass. Sez. 5, 23 dicembre 2019, n. 34407).

4. Il terzo motivo, con il quale si deduce che la previsione della prestazione della garanzia costituirebbe “una formalità” non incidente quindi sul perfezionamento dell’atto di accertamento con adesione, è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1, è comunque infondato, dovendosi dare continuità al costante e condivisibile orientamento espresso da questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 26681 del 18/12/2009; Sez. 5, Sentenza n. 22510 del 02/10/2013; Sez. 5, Sentenza n. 13750 del 31/05/2013; Sez. 5, Ordinanza n. 13143 del 25/05/2018; Sez. 5, Ordinanza n. 2161 del 25/01/2019) secondo cui in materia di accertamento con adesione del contribuente, ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 8, il pagamento della prima rata e la prestazione della garanzia non costituiscono mera modalità di esecuzione della procedura, bensì presupposto fondamentale ed imprescindibile di efficacia della stessa. Ne consegue che, quando sia stata omessa la prestazione della garanzia prevista dalla legge, in caso di pagamento rateale, i futuri pagamenti non possono essere rimessi alla sola diligenza del debitore, per cui la procedura non può dirsi perfezionata e permane, nella sua integrità, l’originaria pretesa tributaria oggetto di accertamento, da impugnare in via autonoma.

5. Il quarto motivo è invece fondato.

L’invocato D.L. n. 98 del 2011, art. 23, comma 18, conv. in L. n. 111 del 2011, ha abolito l’obbligo di prestazione della garanzia fideiussoria nelle procedure di adesione di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, (modificando il cit. D.Lgs., art. 9).

Secondo il contribuente la citata disposizione avrebbe un effetto retroattivo e come tale sarebbe applicabile al caso di specie.

In effetti in tal senso depone l’interpretazione del D.L. n. 98 del 2011, art. 23, comma 20, conv. in L. n. 111 del 2011, il quale dispone: “Le disposizioni di cui ai commi da 17 a 19, (ivi compreso dunque il comma 18, recante la citata abolizione della garanzia, n.d.r.) non si applicano agli atti di adesione, alle definizioni ai sensi del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 15, ed alle conciliazioni giudiziali già perfezionate, anche con la prestazione della garanzia, alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

La norma afferma con evidenza che l’abolizione della garanzia non opera (quindi la garanzia rimane necessaria) per le definizioni “già perfezionate, anche con la prestazione della garanzia” (nel senso che, in tali casi, il contribuente non può chiedere il rimborso degli oneri sostenuti per la garanzia prestata).

Per converso, ciò significa (secondo l’interpretazione letterale e la chiara ratio legis, diretta a dettare un “regime transitorio”, come si esprime la relazione del Governo al citato D.L.) che l’abolizione della garanzia opera (quindi la garanzia non è più richiesta) in tutti gli altri casi, ivi comprese le definizioni che, sub iudice (come nel caso di specie), non siano “già perfezionate, anche con la prestazione della garanzia”.

Diversamente opinando (nel senso che l’abolizione della garanzia avrebbe effetto solo per le definizioni successive al 6 luglio 2011, data di entrata in vigore del decreto-legge), il citato comma 20, non avrebbe alcun senso o effetto concreto, stante il generale canone interpretativo previsto dall’art. 11 preleggi.

A tale interpretazione (avente effetto retroattivo) non osta il disposto di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 1, (Statuto del contribuente) dovendo questo Collegio ribadire il principio secondo cui “Le disposizioni dello statuto del contribuente – che costituiscono meri criteri guida per il giudice in sede di applicazione ed interpretazione delle norme tributarie, anche anteriormente vigenti, per risolvere eventuali dubbi ermeneutici – non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria, con la conseguenza che esse non possono fungere da norme-parametro di costituzionalità, nè consentire la disapplicazione delle norme tributarie in asserito contrasto con le stesse; pertanto, sebbene sia esclusa l’applicazione retroattiva, in via generale, in base al principio di irretroattività codificato, in materia fiscale, in seno alla L. n. 212 del 2000, art. 3, può essere espressamente prevista dalle singole leggi tributarie” (da ultimo Cass. Sez. 5, 20 giugno 2018, n. 16227).

Per le suddette ragioni inoltre il Collegio ritiene di non dover dare seguito all’orientamento espresso di recente (in un caso peraltro peculiare) da Cass. Sez. 6-5, 18 febbraio 2020, n. 3979, che ha ritenuto inapplicabile il D.L. n. 98 del 2011, art. 23, comma 20, conv. in L. n. 111 del 2011, in una fattispecie di deposito di polizza fideiussoria rivelatasi non valida, per lo stato di fallimento in cui la società versava, sì che – si evince dalla motivazione – alla data del 6 luglio 2011 “l’atto di adesione non era perfezionato, nè era più perfezionabile”.

4. La sentenza impugnata va dunque cassata e le parti rinviate innanzi alla Commissione tributaria regionale per la Campania, in diversa composizione, che regolerà altresì le spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi del ricorso; accoglie il quarto motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia le parti innanzi alla Commissione Tributaria Regionale per la Campania, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

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