Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22042 del 28/10/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 22042 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

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SENTENZA

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sul ricorso proposto da:
ODORISIO s.p.a. (P.I. 00895921005), in persona del legale
rappresentante

pro tempore,

rappresentata e difesa, per

procura speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato
Alessandro Bellomi, presso lo studio del quale in Roma,
via Vincenzo Ambrosio n. 4, è elettivamente domiciliata;
ricorrente –

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– con troricorrente –

Data pubblicazione: 28/10/2015

avverso il decreto della Corte d’Appello di Perugia n.
1308/2013, depositato in data 18 luglio 2013.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza dell’8 ottobre 2015 dal Presidente relatore Dott.

Ritenuto

che, con ricorso depositato in data 28

ottobre 2010 presso la Corte d’appello di Perugia, la
ODORISIO s.p.a. chiedeva la condanna del Ministero della
giustizia al pagamento del danno non patrimoniale sofferto
a causa della irragionevole durata della procedura
fallimentare Angin s.r.1., nella quale essa si era
insinuata con domanda del febbraio 1989; fallimento
definito il 12 gennaio 2011;
che l’adita Corte d’appello, pur riconoscendo
intervenuta la violazione del termine ragionevole della
procedura – sette anni -, escludeva però la sussistenza
del diritto all’indennizzo in quanto alla società
ricorrente non era derivato alcun pregiudizio dalla durata
del fallimento in cui si era insinuata;
che, ad avviso della Corte d’appello, la posizione di
creditore insinuato al passivo non comportava lo
svolgimento di quelle attività che in un giudizio
ordinario determinano normalmente ansia e preoccupazione,
atteso che l’attività dei creditori si risolve nella sola

Stefano Petitti.

domanda di ammissione al passivo: domanda, nella specie,
immediatamente ammessa;
che, proseguiva la Corte d’appello, la ricorrente era
una società per azioni strutturata, di dimensioni non

era di importo non rilevante e per di più chirografario,
sicché le prospettive di soddisfo erano nella specie sin
dall’ammissione al passivo (in particolare, tenuto conto
dell’attivo fallimentare, pari a 23.000 euro, poi ridotti
a 2.002,96 detratte le spese, e dell’ammontare dei crediti
ammessi, la posta in gioco reale per la società si
riduceva a euro 40,00);
che

in

tale

situazione

ipotizzare

che

gli

amministratori o i soci potessero avere provato ansia o
turbamento per l’attesa non poteva quindi ritenere
plausibile;
che per la cassazione di questo decreto ODORISIO
s.p.a. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi,
illustrati da successiva memoria;
che

l’intimato

Ministero

ha

resistito

con

controricorso.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione
di una motivazione in forma semplificata;
che con il primo motivo di ricorso (violazione e falsa
applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e

-i –

minimali, con elevato capitale, e che il credito ammesso

degli artt. 6, par. l, della CEDU; omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti) la ricorrente si duole che la
Corte d’appello non abbia tenuto conto che l’indennizzo

del processo, a prescindere dall’esito del giudizio o
della procedura e che comunque l’esiguo importo della
posta in gioco può operare solo sul piano della
liquidazione dell’indennizzo, ma non può indurre ad
escludere in radice l’indennizzo;
che la Corte d’appello ha poi attribuito efficacia ad
elementi che certamente non potevano essere noti al
momento della insinuazione al passivo (peraltro per un
credito che alla data del 1989 era tutt’altro che esiguo:
lire 17.090.200) e alla natura di società per azioni che
non vale ad escludere il diritto all’indennizzo;
che con il secondo motivo (violazione e falsa
applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti) la ricorrente si
duole che la Corte d’appello abbia escluso l’indennizzo
pur se nelle proprie difese l’amministrazione intimata si
era limitata a contestare l’entità della somma richiesta a
titolo di equa riparazione;

del pregiudizio non patrimoniale spetta a tutte le parti

che con il terzo motivo (violazione e falsa
applicazione degli artt. 112 e 92 cod. proc. civ.), la
ricorrente si duole della condanna alle spese malgrado
l’amministrazione resistente avesse richiesto nelle

che il primo motivo è fondato;
che, invero, la giurisprudenza di questa Corte
ritiene, che, in tema di equa riparazione per
irragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 2
della legge 24 marzo 2001, n. 89, anche per le persone
giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno
morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere
psicologico, è tenuto conto dell’orientamento in
proposito maturato nella giurisprudenza della Corte di
Strasburgo – conseguenza normale, ancorché non automatica
e necessaria, della violazione del diritto alla
ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della
Convenzione europea per la salvaguardia del diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, a causa del disagi
e del turbamenti di carattere psicologico che la lesione
di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte
alla gestione dell’ente o ai suoi membri, e ciò non
diversamente da quanto avviene per il danno morale da
lunghezza eccessiva del processo subito dagli individui

proprie conclusioni la compensazione delle stesse;

persone fisiche (Cass. n. 25730 del 2011; Cass. n. 13986
del 2013);
che, si è chiarito, ciò rende superflua la valutazione
circa la concreta e puntuale sofferenza di amministratori

pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno
re

in

ipsa ossia di un danno automaticamente e

necessariamente insito nell’accertamento della violazione
una volta accertata e determinata l’entità della
violazione relativa alla durata ragionevole del processo,
il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che
non risulti la sussistenza, nel caso concreto, di
circostanze particolari che facciano positivamente
escludere che tale danno sia stato subito dalla società
ricorrente;
che, ciò premesso, deve altresì rilevarsi che, in
linea di principio, la esiguità della posta in gioco non
vale ad escludere il diritto della parte di un processo,
una volta che il processo stesso abbia avuto una
irragionevole durata, potendo essa rilevare sul piano
della determinazione dell’indennizzo;
che, nella specie, la Corte d’appello ha errato sia
nel valutare la esiguità della posta in gioco con
riferimento al momento della liquidazione dell’attivo
fallimentare, atteso che si tratta di elemento cognitivo

-6-

e preposti nel corso della procedura presupposta, sicché,

dalle parti apprezzabile solo al momento della
liquidazione e non prima; sia ad escludere la sussistenza
del pregiudizio morale per effetto della valutazione in
ordine alla esiguità della posta in gioco;

conseguente assorbimento degli altri motivi;
che il decreto impugnato va cassato, con rinvio della
causa alla Corte d’appello di Perugia, in diversa
composizione, perché proceda ad un nuovo esame della
domanda e alla regolamentazione delle spese del giudizio
di cassazione.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte

accoglie

assorbiti gli altri;

il primo motivo di ricorso,

cassa il decreto impugnato e

rinvia

la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione,
alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione,

che il primo motivo deve essere quindi accolto, con

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