Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22041 del 03/09/2019

Cassazione civile sez. II, 03/09/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 03/09/2019), n.22041

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 357/2015 proposto da:

A.L.G., R.E., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE DELLA PIRAMIDE CESTIA 31, presso lo studio dell’avvocato

LEONILDA MARI che unitamente all’avvocato GIAMPIERO CASSI, li

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

A.L.C., P.P.F., C.C.,

C.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SESTIO CALVINO 33,

presso lo studio dell’avvocato ANTONINO BOSCO, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato BERNARDINO SIRCA giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrenti –

nonchè

M.L., RA.GI., V.F., RO.GA.,

B.C., A.L.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1683/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 4/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/03/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Sentito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale,

Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso;

Uditi l’Avvocato Leonilda Mari per i ricorrenti e l’Avvocato

Bernardino Sirca per i controricorrenti.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. A.L.G. e R.E. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze gli altri condomini del condominio “Palazzo A.L.” deducendo di rappresentare oltre un terzo dei comproprietari previsto dall’art. 61 disp. att. c.c. e, poichè l’attuale consistenza condominiale era iniqua ed inutilmente complessa, imponendo la partecipazione dei condomini a spese per spazi e servizi da cui non traevano alcuna utilità, sebbene non potessero reputarsi comuni, chiedevano che, attesa l’autonomia strutturale dei vari corpi di fabbrica presenti nel condominio, fosse disposto lo scioglimento dello stesso condominio e la sua scomposizione in cinque unità autonome, provvedendosi in ogni caso a dichiarare la nullità delle tabelle millesimali attualmente applicate, in quanto errate e prive di fondamento ex art. 69 disp. att. c.c., provvedendosi alla stesura delle nuove tabelle e con il riconoscimento del diritto degli attori alla ripetizione delle somme indebitamente versate sulla scorta delle tabelle errate.

Si costituivano A.L.C., P.P.F., C.C., C.L. e A.L.A. che si opponevano alla domanda, mentre gli altri convenuti restavano contumaci.

Disposta CTU, il Tribunale adito con la sentenza n. del 23 aprile 2008 rigettava la domanda di scioglimento del condominio, stante l’accertata esistenza di compenetrazioni ed intersezioni tra le varie unità immobiliari, tali da comportare che le stesse sarebbero ricadute in due distinti condomini, attesa anche l’anomalia rappresentata dalla permanenza dei contatori dell’acqua e del gas di uno dei futuri condomini nell’androne di un altro condominio.

Da ciò traeva altresì il corollario che la domanda relativa alle tabelle millesimali fosse assorbita dal rigetto della domanda principale.

La Corte d’Appello di Firenze, sul gravame proposto dalle originarie parti attrici, rigettava l’impugnazione con la sentenza n. 1683 del 4 novembre 2013.

In primo luogo osservava che, a fronte delle quattro possibili parti individuate dal CTU nelle quali il condominio attuale potrebbe essere ripartito, gli attori soddisfacevano il quorum richiesto dall’art. 61 disp. att. c.c., solo in relazione al cd. Condominio n. 1, in quanto per il Condominio n. 3 occorreva rilevare che l’appartamento dell’attrice avente accesso da tale condominio, in realtà si sviluppava in proiezione verticale nella parte del fabbricato denominata come Condominio n. 4, non potendo quindi essere presa in considerazione ai fini del detto quorum.

In relazione alla decisione di rigettare la domanda di scioglimento, evidenziava che dal supplemento di CTU era emerso che dalla separazione del corpo di fabbrica sarebbe derivato che ben otto unità immobiliari del Condominio n. 1 sarebbero venute a ricadere in due distinti condomini, con una evidente situazione di interferenze e sovrapposizioni, che preclude l’ipotizzabilità di essere al cospetto di edifici autonomi. Nè tale inconveniente potrebbe essere superato adducendo la possibilità di predisporre adeguate tabelle millesimali, che non potrebbero mai ovviare alla carenza di autonomia strutturale. In merito alla domanda di nullità delle tabelle millesimali, ancorchè fosse erronea la conclusione del Tribunale circa il carattere accessorio rispetto alla domanda di scioglimento del condominio, doveva rilevarsi che le tabelle vigenti erano state approvate all’esito della Delib. 14 marzo 1995, all’unanimità dei presenti.

Una volta esclusa, alla luce della giurisprudenza delle Sezioni Unite, la necessità dell’unanimità dei condomini per approvare le tabelle, essendo sufficiente anche la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 c.c., comma 2, era carente l’allegazione posta a supporto della domanda, mancando la puntuale individuazione delle ragioni per le quali i valori millesimali di cui alla tabella sarebbero errati e non corrispondenti all’effettivo assetto proprietario.

Infine era accolto l’appello incidentale in punto di spese, non potendosi reputare corretta la decisione del Tribunale di compensare le spese tra le parti, e dovendo essere invece poste, unitamente a quelle del grado di appello, a carico degli appellanti.

2. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso A.L.G. e R.E., sulla base di un motivo.

A.L.C., P.P.F., C.C. e C.L. hanno resistito con controricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa fase.

Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

3. Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. e dell’art. 1117 c.c..

Si deduce che le indagini del consulente tecnico d’ufficio avevano evidenziato la presenza di singoli corpi di fabbrica all’interno dell’attuale condominio, essendosi altresì evidenziato che il fabbricato era frutto dell’aggregazione di distinti corpi di fabbrica, facilmente identificabili, come riscontrabile anche dall’andamento delle falde di copertura e dalla tipologia delle facciate, avendo altresì aggiunto che la divisione proposta non avrebbe creato problemi nella gestione delle parti comuni.

La soluzione del giudice di merito contrasta evidentemente con quanto accertato dal CTU e contravviene alla previsione normativa, anche per quanto attiene al mancato riconoscimento in capo agli attori del quorum necessario per addivenire allo scioglimento in relazione al Condominio n. 3, violando in tal modo l’art. 1117 c.c., laddove ha escluso che l’utilizzo delle scale, dell’ingresso e degli androni per accedere all’unità immobiliare della ricorrente, che si assume far parte del Condominio n. 3, sia risolutivo rispetto alla collocazione dell’appartamento nella proiezione verticale di altro condominio.

Si deduce altresì che, quale effetto della riforma della sentenza gravata, dovrebbe determinarsi la perdita di efficacia ex art. 336 c.p.c., delle statuizioni in punto di spese di lite.

4. Il motivo è infondato.

Preliminarmente deve essere disattesa la censura di parte ricorrente quanto alla mancata considerazione ai fini del riconoscimento del quorum previsto dall’art. 61 disp. att. c.c., della titolarità in capo alla A.L.G. di un appartamento ubicato nel fabbricato individuato come Condominio n. 3, e ciò in ragione del fatto che in realtà la sua proiezione verticale interesserebbe in prevalenza la parte del fabbricato denominato, sempre nell’elaborato peritale, come Condominio n. 4.

Rileva in tal senso che la doglianza investe precipuamente un accertamento in fatto operato dal giudice di merito che proprio in relazione alla necessaria indagine finalizzata a verificare l’autonomia degli edifici, presupposto necessario, come si avrà modo di esporre oltre, per addivenire all’accoglimento della domanda di scioglimento del condominio, ha riscontrato che l’unità immobiliare di cui al motivo di ricorso, sebbene avente anche accesso dalle parti comuni del fabbricato denominato Condominio n. 3, nella realtà faceva parte di un diverso edificio, destinato, secondo la prospettazione dell’ausiliario d’ufficio, a dare vita ad un diverso condominio, con la conseguenza che dal computo dei condomini dell’edificio di cui si chiede la separazione, ed in relazione al Condominio n. 3 non poteva tenersi conto del bene in esame.

La contraria deduzione di parte ricorrente evidenzia che nel novero dei beni comuni ex art. 1117 c.c., rientrano anche le scale, gli ingressi, gli androni ecc., così che il bene che ne usufruisce in concreto non può che considerarsi incluso nel condominio.

L’errore che risiede in tale prospettazione parte in primo luogo dal fatto di avere riguardo a quella che è la situazione attuale di unitarietà dell’intero condominio del palazzo A.L., con la conseguenza che ogni singola unità immobiliare ivi inclusa può vantare diritti di comunione sui beni rientranti nel novero di cui all’art. 1117 c.c., laddove posti a servizio della stessa.

Trascura però di considerare la diversa conclusione alla quale dovrebbe approdarsi all’esito dello scioglimento del condominio, in quanto, avendo i giudici di merito accertato con verifica in fatto, non suscettibile di rivisitazione in questa sede, che l’unità immobiliare de qua in realtà appartiene al corpo di fabbrica denominato come Condominio n. 4 da parte del CTU, le scale, l’androne e l’ingresso del diverso condominio n. 3 non rientrerebbero più tra i beni comuni sui quali l’appartamento in questione possa vantare diritti ex art. 1117 c.c., potendo se del caso riconoscersi un perdurante diritto alla loro fruizione sulla base di un diverso regime giuridico, quale ad esempio quello fondato sull’esistenza di un diritto di servitù, occorrendo infatti avere riguardo ai fini che interessano, unicamente alla appartenenza o meno del bene ad un determinato edificio.

Disattesa tale censura, va altresì escluso che ricorra la dedotta violazione delle norme in tema di scioglimento del condominio. A tal fine deve farsi richiamo alla costante giurisprudenza di questa Corte che, già a far data da Cass. n. 1964/1963, ha affermato che a norma degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., lo scioglimento del condominio di un edificio o di un gruppo di edifici, appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi, in tanto può dare luogo alla costituzione di condomini separati, in quanto l’immobile o gli immobili oggetto del condominio originario, possano dividersi in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, quand’anche restino in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall’art. 1117 c.c.. Il tenore della norma, riferito all’espressione “edifici autonomi” esclude di per sè che il risultato della separazione si concreti in un’autonomia meramente amministrativa, giacche, più che ad un concetto di gestione, il termine “edificio” va riferito ad una costruzione, la quale, per dare luogo alla costituzione di più condomini, dev’essere suscettibile di divisione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, indipendentemente dalle semplici esigenze di carattere amministrativo. La sola estensione che può consentirsi a tale interpretazione è quella prevista dall’art. 62 citato, il quale fa riferimento all’art. 1117 c.c. (parti comuni dell’edificio in quanto destinate in modo permanente al servizio generale e alla conservazione dell’immobile, riguardato sia nel suo complesso unitario che nella separazione di edifici autonomi). In questo ultimo caso, l’istituzione di nuovi condomini non è impedita dalla permanenza, in comune delle cose indicate dall’art. 1117, la cui disciplina d’uso potrà formare oggetto di particolare regolamentazione riferita alle spese e agli oneri relativi. Al di fuori di tali interferenze di carattere amministrativo espressamente previste dalla legge, se la separazione del complesso immobiliare non può attuarsi se non mediante interferenze ben più gravi, interessanti la sfera giuridica propria di altri condomini, alla cui proprietà verrebbero ad imporsi limitazioni, servitù o altri oneri di carattere reale, è da escludere, in tale ipotesi che l’edificio scorporando possa avere una propria autonomia strutturale, pur essendo eventualmente autonoma la funzionalità di esso riferita alla sua destinazione e gestione amministrativa.

Trattasi di principi assolutamente condivisibili e che sono stati ripresi anche dalla più recente giurisprudenza che ha ribadito che (Cass. n. 27507/2011) l’autorità giudiziaria può disporre lo scioglimento di un condominio solo quando il complesso immobiliare sia suscettibile di divisione, senza che si debba attuare una diversa ristrutturazione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, mentre, laddove la divisione non sia possibile senza previa modifica dello stato delle cose mediante ristrutturazione, lo scioglimento e la costituzione di più condomini separati possono essere approvati soltanto dall’assemblea con un numero di voti che sia espressione di due terzi del valore dell’edificio e rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio.

In termini si veda anche Cass. n. 21686/2014 che ha affermato che l’espressione “edifici autonomi”, non consente di accedere all’esito interpretativo secondo cui il risultato della separazione si possa concretizzare in una autonomia meramente amministrativa, giacchè, più che ad un concetto di gestione, il termine “edificio” va riferito ad una costruzione, la quale, per dare luogo alla costituzione di più condomini, deve essere suscettibile di divisione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, indipendentemente dalle semplici esigenze di carattere amministrativo.

Resta quindi preclusa la possibilità di attuare la separazione in caso di interferenze gravi, interessanti la sfera giuridica propria di altri condomini, alla cui proprietà verrebbero ad imporsi limitazioni, servitù o altri oneri di carattere reale, in quanto ciò porta ad escludere che l’edificio scorporando possa avere una propria autonomia strutturale, pur essendo eventualmente autonoma la funzionalità di esso riferita alla sua destinazione e gestione amministrativa.

Infine, tali principi hanno ricevuto ulteriore conferma da Cass. n. 16385/2018 che ha precisato come l’indagine circa la natura autonoma o meno degli edifici scorporandi dall’unitario condominio costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito.

Poste tali doverose premesse in diritto, reputa il Collegio che la sentenza impugnata abbia fatto corretta applicazione dei principi suesposti e che la censura di parte ricorrente miri nella sostanza a sollecitare un diverso apprezzamento delle risultanze fattuali in contrasto con i limiti posti al sindacato di legittimità.

La gran parte del motivo riporta, infatti, le conclusioni del CTU nominato in corso di causa, sottolineandosi come lo stesso avesse individuato, in relazione all’attuale condominio, dei distinti corpi di fabbrica, che assumeva fossero anche facilmente identificabili, aggiungendo che la soluzione della divisione non avrebbe creato problematiche nella gestione delle parti comuni.

Tale giudizio di divisibilità è stato però contraddetto dalla sentenza gravata la quale, conformemente a quanto già opinato dal giudice di primo grado, ha evidenziato che, secondo quanto emergeva dallo stesso supplemento di CTU (pagg. 9-11), addivenendosi alla creazione del Condominio n. 1, ben otto unità immobiliari sarebbero venute a ricadere in due distinti condomini.

Trattasi di una situazione fattuale che denota come in realtà non possa ravvisarsi, in mancanza di più precise indicazioni provenienti da parte ricorrente circa le ragioni che abbiano portato tali unità immobiliari ad essere compenetrate in quelli che il CTU reputa essere diversi edifici, il connotato dell’autonomia per i condomini che scaturirebbero aderendo alle conclusioni del CTU, il quale, peraltro, ben consapevole della circostanza valorizzata dal giudice di appello ha ritenuto che (cfr. pag. 13 del ricorso ove si riportano stralci della CTU), la reale condivisione di varie unità immobiliari potrebbe essere gestita tramite adeguate tabelle millesimali.

In tal modo però si contravviene apertamente alla nozione di autonomia che è richiesta dalle norme in esame che è propriamente quella strutturale, alla quale non può derogarsi, come nel caso di adozione di adeguate tabelle millesimali per regolare la coesistenza di varie unità immobiliari all’interno di due edifici, accontentandosi di un’autonomia meramente amministrativa o contabile.

Nè appare pertinente rispetto alla vicenda in esame quanto affermato da Cass. n. 4439/1982, secondo cui, dato il valore di atto ricognitivo dello scioglimento del condominio di edificio, secondo la previsione degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., con la costituzione di condomini separati per le parti di detto edificio che presentino i connotati di autonomi e distinti edifici, il singolo condomino, che quale proprietario di più appartamenti, ricadenti per l’avvenuto scioglimento in edifici distinti, li abbia unificati (abbattendo un muro divisorio) prima dello scioglimento stesso, possa ritenersi obbligato alla separazione degli appartamenti medesimi, ovvero autore di un’indebita imposizione di servitù, per il fatto di continuare ad utilizzare determinate cose comuni di ciascun distinto edificio per l’intera sua proprietà esclusiva, salvo che ricorra la dimostrazione dell’insussistenza della distinzione degli edifici, e la ricorrenza, in realtà, di un unico edificio, in quanto nel caso in esame non è dimostrato che la condizione di sovrapposizione delle unità immobiliari sia frutto di una condotta illegittima dei proprietari delle singole unità stesse, o se piuttosto non risalga alle originarie modalità costruttive dell’edificio, che invece denoterebbe in maniera evidente la volontà di far perdere ai vari corpi di fabbrica la connotazione dell’autonomia.

Ne discende quindi che, non potendosi discutere circa la legittimità della condizione attuale dei fabbricati (trattandosi in ogni caso di questione che esula dal novero di quelle solevate dai ricorrenti), la permanenza dello stato di fatto attuale e quindi della sovrapposizione in più condomini delle medesime unità immobiliari preclude il riconoscimento del carattere dell’autonomia degli edifici, mentre ove si opinasse per addivenire alla separazione degli appartamenti, al fine di ricondurli nelle proiezioni verticali dei vari edifici, si verrebbero in tal modo ad imporre alle proprietà individuali delle limitazioni che appaiono incompatibili con i presupposti che la legge richiede per addivenire allo scioglimento del condominio. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla a disporre quanto agli intimati che non hanno svolto attività difensiva in questa fase.

6. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 5.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2019

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