Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2204 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. II, 30/01/2020, (ud. 29/10/2019, dep. 30/01/2020), n.2204

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22356-2015 proposto da:

SVILUPPO IMMOBILIARE FINANZIARIA SERVIZI S.R.L., rappresentata e

difesa dall’Avvocato VITTORIO RICCI e dall’Avvocato MANLIO LUBRANO

DI SCORPANIELLO, elettivamente domiciliata a Roma, via Paolo Emilio

71, presso lo studio dell’Avvocato ALESSANDRO MARCHETTI, per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.L., rappresentato e difeso dall’Avvocato NICOLA PIGNATIELLO

ed elettivamente domiciliato a Roma, via Sistina 48, presso lo

studio dell’Avvocato MARCO ORLANDO, per procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrente –

nonchè

CARPNEUS S.R.L., e CENTRO GOMME POMIGLIANO S.R.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2778/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/6/2015;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

29/10/2019 dal Consigliere dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;

sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto

Procuratore Generale della Repubblica Dott. SGROI Carmelo, il quale

ha concluso per il rigetto del ricorso;

sentiti, per la ricorrente, l’Avvocato VITTORIO RICCI e l’Avvocato

MANLIO LUBRANO DI SCORPANIELLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.L., con atto di citazione notificato il 12/6/2001, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Napoli: – la G.D.V. s.r.l. (poi Carpneus s.r.l.) e la Centro Gomme Pomigliano s.r.l., chiedendo che fosse pronunciata, per inadempimento contrattuale delle stesse, la risoluzione del contratto preliminare con il quale le società convenute, in data 7/12/2000, avevano promesso di vendergli un complesso industriale (di proprietà della prima) ed un appezzamento di terreno (di proprietà della seconda) ad esso adiacente, e la loro condanna alla restituzione, in suo favore, della somma, pari a Lire 150.000.000, versata a titolo di caparra, oltre interessi e rivalutazione; – la Sviluppo Immobiliare Finanziaria Servizi s.r.l., chiedendo che, a norma dell’art. 2901 c.c., fosse pronunciata la revoca del contratto con il quale, in data 13/4/2001, la G.D.V. s.r.l. le aveva venduto i beni già promessi in vendita al T., in quanto lesivo dei diritti di credito, spettanti all’attore, in conseguenza della risoluzione del predetto contratto preliminare.

Il tribunale, con sentenza del 17/7/2009, ha accolto le domande proposte dall’attore.

Il tribunale, in particolare, ha ritenuto, innanzitutto, che sussistesse l’inadempimento della società G.D.V. s.r.l. sul rilievo che, pur avendo la stessa dichiarato, in sede di stipula del definitivo, che l’immobile era libero da pesi e trascrizioni pregiudizievoli, era in realtà risultato: – che l’immobile era gravato da un’ipoteca volontaria iscritta il 25/2/1999 in favore di un istituto bancario, per la somma di Lire 800.000.000, a garanzia di un finanziamento di Lire 400.000.000, e da un pignoramento; – che mancava la documentazione relativa alla conformità urbanistico-amministrativa; – che vi era discrepanza tra i dati catastali e lo stato dei luoghi.

Il tribunale, quindi, ritenuta la sussistenza di un collegamento funzionale e negoziale tra le due vendite (quella del complesso industriale e del terreno), per cui il T. non avrebbe avuto interesse ad acquistare solo uno dei due immobili, ha dichiarato la risoluzione di tutte e due le vendite, condannando le promittenti venditrici alla restituzione della caparra.

Accertato il credito del T., in conseguenza della risoluzione del contratto, il tribunale, dopo aver accertato la sussistenza dei relativi presupposti, ha accolto la domanda di revoca che lo stesso, a norma dell’art. 2901 c.c., aveva proposto nei confronti dell’atto con il quale la G.D.V. s.r.l. aveva venduto alla Sviluppo s.r.l. gli stessi beni che gli aveva promesso in vendita.

La Sviluppo Immobiliare Finanziaria Servizi s.r.l., da una parte, e le società G.D.V. s.r.l. (poi Carpneus s.r.l.) e Centro Gomme Pomigliano s.r.l., dall’altra parte, hanno proposto, con due distinti atti d’appello, principale il primo, incidentale il secondo, impugnazione avverso la predetta sentenza.

La corte d’appello di Napoli, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato tanto l’uno, quanto l’altro, ed ha, per l’effetto, confermato la sentenza impugnata.

La corte, innanzitutto, ha ritenuto di condividere la qualificazione giuridica della scrittura privata del 7/12/2000 quale contratto preliminare e non come una semplice puntazione. Nella scrittura, infatti, ha osservato la corte, “risultano… compiutamente definiti l’oggetto della compravendita, il prezzo e le modalità di pagamento: elementi tutti che costituiscono l’essenza di un preliminare”. Nè rileva che le parti avevano previsto una data per la “stipula di un preliminare innanzi al notaio”: tale espressione, infatti, ha proseguito la corte, non vale a far degradare l’accordo a semplice intesa, non avendo le appellanti fornito alcuna prova che grava su chi deduce che l’accordo abbia la natura di mera puntazione – volta superare la presunzione semplice dell’avvenuta conclusione del contratto.

La corte, inoltre, ha ritenuto di non condividere l’assunto delle appellanti secondo il quale non sussisteva alcuna valida ragione che legittimasse il T. a rifiutare la stipula del contratto definitivo. La corte, in particolare, ha ritenuto che, a fronte dell’obbligo del T. di pagare l’intero prezzo e della disponibilità della banca alla cancellazione dell’ipoteca solo previo pagamento dell’intero debito della Carpneus pari a Lire 412.000.000, l’iscrizione ipotecaria gravante sul fabbricato costituisse grave inadempimento delle promittenti venditrici, tale, dunque, da legittimare la risoluzione del contratto. Non rileva, quindi, ha aggiunto la corte, che la società Sviluppo, al fine di acquistare i beni immobili già promessi in vendita al T., aveva ottenuto la cancellazione dell’iscrizione pregiudizievole da parte della banca: la stessa, infatti, aveva versato ai venditori solo una parte del prezzo pattuito avendo versato il residuo alla banca per ottenere la cancellazione dell’ipoteca, laddove, al contrario, nei rapporti con il T., le promittenti venditrici, pur avendo prospettato la possibilità di ottenere la cancellazione dell’ipoteca previo pagamento della somma di Lire 412.000.000 alla banca, non hanno, in realtà, mai affermato che tale somma sarebbe stata poi scomputata dal prezzo totale pattuito.

La corte, poi, ha respinto i motivi di doglianza relativi all’accoglimento dell’azione revocatoria.

La corte, al riguardo, ha osservato, innanzitutto, che, in tema di azione revocatoria ordinaria, l’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di “credito”, comprensiva della ragione o aspettativa, con la conseguente irrilevanza delle relative fonti di acquisizione, coerentemente con la funzione propria dell’azione, la quale non persegue scopi specificamente restitutori, bensì mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori, compresi quelli meramente eventuali, e che, per tale ragione, ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria, non è necessario un credito del terzo certo e attuale ovvero una pretesa obbligatoria liquida ed esigibile, bastando una semplice aspettativa che non si riveli prima facie assolutamente pretestuosa e che sia, quindi, probabile nella sua esistenza ancorchè non sia stata definitivamente accertata. Nel caso di specie, peraltro, ha aggiunto la corte, il credito posto a fondamento dell’azione proposta a norma dell’art. 2901 c.c. è stato previamente accertato dal tribunale a seguito dell’accoglimento della domanda di risoluzione e della condanna delle promittenti venditrici alla restituzione della caparra, oltre interessi.

Quanto agli altri presupposti, la corte, dopo aver premesso che: – l’eventus damni, e cioè il pregiudizio alle ragioni del creditore che agisce in giudizio, dev’essere inteso non già come un danno effettivo ed attuale bensì come un mero pericolo che l’azione esecutiva, da intentare con il debitore inadempiente, possa non conseguire gli effetti sperati: non è necessario, quindi, che l’atto di disposizione del debitore abbia reso impossibile la realizzazione del credito, essendo sufficiente che ne renda più incerta o difficile la soddisfazione; e l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, spetta, secondo i principi generali, sul convenuto nell’azione revocatoria che ne eccepisca, per tale ragione, la mancanza; – la scientia damni, e cioè la consapevolezza da parte del debitore del pregiudizio che, mediante l’atto impugnato, sia in concreto arrecato alle ragioni del creditore, prescinde tanto dalla specifica conoscenza, in capo al debitore, del credito per la cui tutela viene esperita l’azione, quanto dall’intenzione dello stesso di ledere la garanzia patrimoniale generica del credito; – la consapevolezza da parte del terzo del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore, e cioè la scientia fraudis, necessaria per la natura onerosa dell’atto impugnato, può essere provata anche mediante presunzioni, come, ad esempio, la pluralità degli atti e la loro contestualità rispetto al successivo esercizio di azioni esecutive o conservative da parte dei creditori, la sproporzione del prezzo pagato rispetto al valore reale del bene, il trasferimento del bene a soggetti legati al debitore da stretti vincoli di parentela, il fatto che nell’atto dispositivo sia stato dichiarato che il prezzo è stato integralmente versato prima della stipula; ha rilevato, quanto al caso di specie, che il tribunale aveva ritenuto la sussistenza della consapevolezza nel terzo del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore in base tanto alle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società Sviluppo, quanto al fatto che i beni erano stati venduti ad un prezzo sensibilmente inferiore rispetto a quello pattuito dal T.. In effetti, ha osservato la corte, indizio grave è costituito, come ha giustamente ritenuto il tribunale, dal fatto che la misura del prezzo pagato dalla Sviluppo s.r.l. è notevolmente interiore rispetto a quello promesso dal T., tant’è che le stesse promittenti venditrici hanno quantificato il danno da mancato guadagno in Lire 520.000.000. Ulteriore indizio, ha proseguito la corte, è costituito dal versamento del prezzo di Lire 731.188.500 prima del rogito, che ne dà quietanza, senza, però, che ne sia stato provata l’effettiva corresponsione: “le copie degli assegni allegate in atti… sono relative solo alla parte frontale e mancano della parte retrostante, onde non è possibile evincerne l’incasso”. Non è stata, invece, provata, ha aggiunto la corte, l’eccezione di congruità del prezzo pagato, che la Sviluppo s.r.l. ha sollevato sul rilievo che lo stesso sarebbe riferito solo ai beni immobili e non anche, come nel compromesso stipulato con il T., al complesso industriale: in mancanza di elementi di segno contrario, infatti, la corte ha ritenuto che l’oggetto della vendita sia stato lo stesso di quello del T.. Nè, infine, ha concluso la corte, appare dirimente la produzione di un distinto atto di vendita con la Sviluppo s.r.l. afferente le attrezzature, non essendovi la prova del pagamento delle stesse posto che anche copia di tali assegni non è possibile evincere il relativo incasso.

La corte, in definitiva, ha ritenuto che gli appelli proposti dovevano essere rigettati e la sentenza impugnata, per l’effetto, confermata.

La Sviluppo Immobiliare Finanziaria Servizi s.r.l., con ricorso notificato in data 16/9/2015, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza resa dalla corte d’appello, dichiaratamente notificata in data 30/6/2015.

Ha resistito, con controricorso notificato in data 21/10/2015, T.L..

La Carpneus s.r.l. e la Centro Gomme Pomigliano s.r.l. sono rimaste intimate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 2697 e 1362-1370 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 2, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto di condividere la qualificazione giuridica della scrittura privata del 7/12/2000 quale contratto preliminare, escludendo che tale documento costituisse una semplice intesa, sul rilievo che le appellanti non avevano fornito alcuna prova volta superare la presunzione semplice dell’avvenuta conclusione del contratto.

1.2. Così facendo, però, ha osservato la ricorrente, la corte d’appello non ha considerato che soltanto nella cd. puntazione completa di clausole la parte che intenda dimostrare che non si tratta di contratto concluso ma solo di una semplice minuta, deve superare la presunzione semplice di avvenuto perfezionamento del contratto. Nel caso in esame, al contrario, non è stato mai sostenuto che la scrittura del 7/12/2000 fosse completa, avendo, al contrario, contestato la sua idoneità a creare vincoli contrattuali e, tanto meno, un contratto preliminare di compravendita. Si tratta, in effetti, di una semplice puntuazione di clausole per la quale non vi è, a carico del terzo, l’onere di provare alcunchè.

1.3. D’altra parte, ha aggiunto la ricorrente, il richiamo alla presunzione semplice di avvenuto perfezionamento del contratto è fuorviante ed inadeguata, essendo sempre necessaria l’indagine sulla meritevolezza di tutela del contratto atipico.

1.4. L’errore in cui è caduta la sentenza, ha proseguito la ricorrente, sta di aver ritenuto che l’onere di provare la natura di mera intesa gravasse addirittura sulla parte estranea al negozio, trattandosi, in realtà, di un onere probatorio assurdo ed impossibile. Viceversa, la qualificazione di un contratto e del suo contenuto deve essere svolta mediante il ricorso alle regole di interpretazione dei contratti, previste dagli artt. 1362 c.c. e ss., e non mediante attività istruttoria, non essendo, infatti, possibile stabile, con mezzi istruttori, l’effettiva volontà delle parti nè l’oggettivo assetto di interessi desumibile dalle espressioni utilizzate nel documento.

1.5. In definitiva, ha concluso la ricorrente, la corte d’appello, anzichè applicare le regole legali in tema d’interpretazione del contratto, è caduta nell’errore di ritenere che la società Sviluppo avesse l’onere di provare la natura del contratto.

2.1. Il motivo è infondato. La ricorrente, infatti, non si confronta con la statuizione assunta dalla corte d’appello: la quale, in effetti, con apprezzamento in fatto rimasto sul punto del tutto incensurato, ha ritenuto che la scrittura contenesse tutti gli elementi per ravvisarvi un contratto preliminare, e cioè l’oggetto, il prezzo e le relative modalità di pagamento, e che, a fronte di un contenuto di tal genere, le appellanti (compresa, evidentemente, l’attuale ricorrente) non avevano dimostrato, pur avendone l’onere, che si trattasse di un mera puntazione. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, infatti, rientrano nella nozione di “minuta o puntuazione” del contratto, per la quale è indispensabile l’esistenza di un documento sottoscritto da entrambe le parti, tanto i documenti che contengano intese parziali in ordine al futuro regolamento di interessi (cosiddetta puntuazione di clausole), quanto i documenti che predispongano con completezza un accordo negoziale in funzione preparatoria del medesimo (cosiddetta puntuazione completa di clausole): diverso, tuttavia, è il regime probatorio dell’una (ipotesi di puntuazione di clausole incompleta) e dell’altra situazione (ipotesi di puntuazione completa delle clausole di un negozio), denotando la prima situazione (stante l’incompletezza della regolamentazione negoziale registrata nella scrittura) una presunzione iniziale di mancato accordo, salva la dimostrazione concreta che solo a quelle clausole aveva riferimento un accordo raggiunto tra le parti), e denotando, per contro, la seconda ipotesi una presunzione semplice di perfezionamento contrattuale, superabile dalla prova contraria della effettiva volontà delle parti non volta all’attuale raggiungimento di un accordo (Cass. n. 3158 del 1994). In tale secondo caso, quindi, come la corte d’appello ha correttamente affermato, è la parte (ma il principio può essere senz’altro esteso anche al terzo che, come nello specie, ne abbia l’interesse) che intenda dimostrare che non si tratta di un contratto concluso ma di una semplice minuta con puntuazione completa di clausole ad avere l’onere – in virtù del principio secondo cui anche un documento dimostrante con completezza un assetto negoziale può essere soltanto preparatorio di un futuro accordo – di superare la presunzione semplice di avvenuto perfezionamento del contratto fornendo, appunto, la prova concreta della insussistenza della volontà attuale di accordo negoziale, (Cass. n. 10276 del 2002; Cass. n. 12826 del 2004; Cass. n. 7857 del 1997).

2.2. Peraltro, a fronte di un documento sottoscritto dalle parti e contenente la regolamentazione completa, nelle clausole essenziali ed accessorie, di un assetto di interessi negoziale, la dimostrazione dell’insussistenza della volontà attuale di accordo contrattuale presuppone che tale mancanza emerga dalla intenzione manifestata dalle parti nella scrittura, così come interpretata secondo i criteri di interpretazione dei contratti previsti dagli artt. 1362 c.c. e ss.: per sostenere la natura di semplice minuta di una scrittrice contenente la regolamentazione completa di un contratto, occorre, cioè, che dalla scrittura stessa emerga la mancanza di una volontà negoziale attuale. La stessa regolamentazione contenuta nella scrittura, come deva manifestare una volontà negoziale in caso di accordo raggiunto, così, in definitiva, deve manifestare, anche implicitamente, una volontà di non attuale accordo negoziale (Cass. n. 3158 del 1994). Nel caso di specie, invece, la ricorrente non ha chiarito se ed in quale atto difensivo del giudizio di merito aveva eccepito, riproducendo in ricorso la relativa deduzione, che la scrittura in questione, se solo fosse stata correttamente interpretata, conteneva la dichiarazione di una volontà contraria ad un attuale accordo negoziale.

3.1. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 1351 e 1392 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 2, ed, in subordine, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di considerare il fatto, dedotto dalla società Sviluppo nel corso del giudizio, che, nella ricordata scrittura, il sig. D.V.A. aveva precisato che il terreno adiacente era di proprietà della Autogomme e che aveva ottenuto procura in tal senso da parte dell’amministratore della società.

3.2. Tale procura, tuttavia, ha osservato la ricorrente, non è mai comparsa tra gli atti del giudizio ma neanche nel corso della trattativa tra il T. e le società Carpneus e Centro Gomme Pomigliano e dev’essere, quindi, ritenuta insussistente. La procura, infatti, deve avere, a pena di nullità o di inefficacia, la stessa forma del contratto definitivo.

3.3. La scrittura del 7/12/2000, quindi, ha aggiunto la ricorrente, non ha alcuna validità nè efficacia, quanto meno in relazione alla promessa di vendita del terreno di proprietà della Autogomme D.V. s.r.l. (poi divenuta Centro Gomme Pomigliano s.r.l.): se, infatti, è vero che, come sostenuto dal T., il solo terreno non aveva per quest’ultimo un’autonoma utilizzabilità, non può escludersi che il T. non avrebbe acquistato il complesso industriale senza l’area circostante.

3.4. La corte d’appello, invece, ha proseguito la ricorrente, non ha speso neppure un rigo su questo punto, pur trattandosi di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La nullità, quantomeno parziale, della scrittura per difetto di procura determinerebbe, infatti, la caducazione dei reciproci obblighi delle parti o, comunque, la loro radicale ridefinizione.

4. Il motivo è infondato. La società ricorrente, infatti, convenuta in giudizio ai soli fini dell’azione di revoca dell’atto d’acquisto dell’immobile già promesso in vendita, non ha alcun interesse a censurare la sentenza della corte d’appello nella parte in cui ha trascurato di esaminare il fatto, dedotto con l’atto d’appello, che D.V.A., relativamente al terreno adiacente al complesso industriale di proprietà della società dallo stesso rappresentata, aveva dichiarato di agire in forza della procura rilasciatagli dall’amministratore della Autogomme D.V. s.r.l. (poi divenuta Centro Gomme Pomigliano s.r.l.), laddove, in realtà, tale procura non era mai stata depositata in giudizio. Tale censura, infatti, non esclude che il contratto preliminare sia stato, relativamente alla società correttamente rappresentata, senz’altro valido ed efficace: con la conseguenza che, quanto meno nei suoi confronti, una volta accertato l’inadempimento ai relativi obblighi e pronunciata la risoluzione del predetto contratto, erano, quindi, senz’altro ravvisabili tanto l’insorgenza, in capo al T., del credito alla restituzione della caparra, quanto la necessità, a fronte della vendita dell’immobile all’attuale ricorrente, di conservare la relativa garanzia patrimoniale. Nè rileva il fatto che, a dire della ricorrente, una volta accertata l’invalidità o l’inefficacia, quanto meno in relazione alla promessa di vendita del terreno di proprietà della Autogomme D.V. s.r.l. (poi divenuta Centro Gomme Pomigliano s.r.l.), non può escludersi che il T. non avrebbe acquistato il complesso industriale senza l’area circostante. Si tratta, invero, di una questione di diritto della quale la sentenza impugnata non fa parola e che implica un accertamento in fatto: ed è, invece, noto come, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente, a pena di inammissibilità della censura, ha l’onere (rimasto nella specie inadempiuto) non solo di allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma anche, in virtù del principio di autosufficienza, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (cfr. Cass. n. 20694 del 2018).

5.1. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la scrittura del 7/12/2000 contenesse un contratto preliminare.

5.2. Il corretto esercizio dell’attività interpretativa, al contrario, ha osservato la ricorrente, avrebbe dovuto indurre la corte a concludere per l’insussistenza del contratto preliminare. La scrittura, infatti, non contiene tutti gli elementi essenziali del contratto definitivo di compravendita, non avendo definito neppure l’oggetto del contratto posto che la dicitura “complesso industriale ed annesso terreno” è a dir poco generica.

5.3. Mancano, inoltre, i dati catastali degli immobili, con la sua conseguente ineseguibilità a norma dell’art. 2932 c.c. senza che una simile esclusione di tutela sia stata convenuta pattiziamente.

5.4. La validità della scrittura, quindi, ha proseguito la ricorrente, avrebbe dovuto essere valutata non già sul presupposto che si era trattato di un contratto preliminare, quanto di una puntazione o preliminare del preliminare, che è radicalmente invalido a meno che le parti interessate non dimostrino la meritevolezza degli interessi perseguiti.

5.5. Il riconoscimento della liceità e dell’efficacia di documenti contrattuali anteriori al contratto preliminare è, infatti, subordinata alla presenza di interessi pratici qualificati e desumibili dal contesto documentale o da altri elementi di prova assunti in giudizio, vale a dire, come evidenziato dalle Sezioni Unite, l’esigenza di acquisire elementi di conoscenza sulla persona della controparte, o di verificare lo stato della cosa o di verificare la situazione urbanistica o a svolgere altre visure o ricerche necessarie. Nel caso di specie, invece, nessuno di questi interessi emerge dalle evidenze istruttorie.

5.6. E’ mancata, in definitiva, ha concluso la ricorrente, qualsivoglia verifica dell’esistenza di una causa concreta tale da rendere il contratto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento.

6.1. Il motivo è infondato. La ricorrente, infatti, ha, in sostanza, lamentato che la corte d’appello avrebbe malamente qualificato la scrittura come un vero e proprio contratto preliminare sul rilievo che la stessa, non avendo tutti gli elementi essenziali del contratto definitivo di compravendita, a partire dall’oggetto e dai relativi dati catastali, configurerebbe una mera puntuazione di clausole. Sennonchè, come questa Corte ha ripetutamente affermato, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione sia contestata la qualificazione attribuita dal giudice di merito al contratto intercorso tra le parti, le relative censure, per essere esaminabili, non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, ma debbono essere proposte sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. o del vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ed, in ossequio al principio di specificità dei motivi del ricorso, debbono essere accompagnate dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti (la cui ricerca, che integra un accertamento di fatto, è preliminare alla qualificazione del contratto), al fine di consentire, in sede di legittimità, la verifica dell’erronea applicazione della disciplina normativa: ciò che, nel caso in esame, non è accaduto. La ricorrente, infatti, non ha provveduto a riprodurre, in ricorso, il contenuto della scrittura della quale contesta l’erronea interpretazione, quanto meno nella misura idonea a consentire alla Corte la relativa comprensione senza dover procedere alla ricerca del relativo documento tra gli atti del giudizio di merito.

7.1. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando l’errore di motivazione sull’azione revocatoria, in relazione all’art. 360, n. 3 ed, in subordine, n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha confermato la decisione del tribunale che aveva ritenuto fondata l’azione revocatoria.

7.2. Così facendo, infatti, ha osservato la ricorrente, la corte d’appello ha omesso di considerare che, nel caso di specie, il credito vantato dal T. è insussistente. L’azione revocatoria, in effetti, può essere esercitata da chi sia titolare di una aspettativa di diritto in senso proprio, come previsto dall’art. 2901 c.c., comma 1, ma non anche da chi possa vantare un mero fumus di posizione creditoria, privo di attualità e di concretezza, vale a dire il credito litigioso, ancora sub iudice, in quanto contestato nella sua stessa esistenza e, addirittura, come nella specie, inesistente. E’ evidente, infatti, che concedere siffatta tutela in favore di chi faccia valere in giudizio un credito eventuale, nè reale, nè effettivamente esistente, significa violare in modo del tutto arbitrario la libertà di iniziativa economica e di autodeterminazione della controparte, imponendole un sacrificio ingiusto in quanto non sorretta dalla soddisfazione di un apprezzabile controinteresse.

7.3. Nel caso in esame, peraltro, è innegabile l’enorme sproporzione tra il congruo prezzo di vendita pagato dalla società Sviluppo alle due società venditrici ed il presunto credito del T.: a fronte di un prezzo totale pari a Lire 1.150.000.000 per il capannone ed a Lire 870.000.000 (pagate dalla Pneuservice 2000 s.r.l., società posseduta dagli stessi soci dell’appellante e quindi riferibile allo stesso gruppo) per le attrezzature ivi esistenti, oltre ad L.. 180.000.000 per il suolo circostante, il credito vantato dal T. verso entrambe le società venditrici era di appena di Lire 150.000.000, pari, cioè, al 6,5%.

7.4. L’acquisto da parte della ricorrente, inoltre, è avvenuto nel mese di aprile del 2001, con pagamenti eseguiti tra il 13 ed il 23 aprile, come emerge dalla copia degli assegni circolari prodotti in giudizio, mentre l’atto di citazione introduttivo del giudizio è stato consegnato all’ufficiale giudiziario in data 11/6/2011. La domanda di accertamento del credito e di condanna alla restituzione della caparra è, quindi, successiva rispetto all’atto traslativo. Le modalità di nascita di tale presunto credito, pertanto, non erano conoscibili dal terzo convenuto in revocatoria.

7.5. La brevissima distanza tra la percezione del prezzo da parte della venditrice, che ha la forma di una società di capitali soggetta a contabilità ordinaria, nonchè l’entità della somma percepita ne impedivano, peraltro, una rapida sottrazione rispetto alle ragioni del presunto creditore, il quale, pertanto, avrebbe potuto proporre domande cautelari, come un sequestro conservativo, ed, in ogni caso, agire nei confronti degli amministratori delle società venditrici per il risarcimento del conseguente danno diretto.

7.7. La s.r.l. D.V., inoltre, ha onorato il credito restitutorio della caparra vantato dal T. con ricorso di fallimento del 2004 che, di conseguenza, è stato rigettato.

7.8. La corte d’appello, poi, ha proseguito la ricorrente, ha in modo inappagante e superficiale ritenuto la sussistenza degli indizi della cd. scientia damni in capo alla società acquirente, laddove, in realtà, non sussistono documenti o testimonianze che in modo univoco e concludente diano traccia della conoscenza da parte del terzo della specifica lesività dell’atto per i diritti dei creditori dell’altra parte, nè fonti di cognizione che rendano attingibili informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della controparte negoziale.

7.9. La corte d’appello, peraltro, si è limitata a fare riferimento all’ammissione del legale rappresentante della Sviluppo Immobiliare, in sede di interrogatorio formale in data 22/1/2004, circa la conoscenza all’epoca dei fatti delle difficoltà economiche delle società convenute. In realtà, il predetto legale rappresentante ha fatto solo un fuggevole accenno al fatto di aver intuito la situazione patrimoniale del D.V. e di aver, quindi, chiesto al notaio a fare ulteriori ricerche su eventuali rischi, dopo aver chiarito di non aver avuto alcun sentore, prima di recarsi dal notaio rogante, di altro al di fuori dell’ipoteca iscritta sul capannone. Peraltro, le ricerche svolte dal notaio mediante ispezioni e visure nei pubblici registri hanno avuto esito negativo. Quanto, poi, alle difficoltà economiche del D.V., a prescindere dalla circostanza che non è chiaro se esse siano riferite alla persona o alla società (e a quale delle due), è pacifico, ha aggiunto la ricorrente, che esse non assumano alcun valore indiziario: ai fini della revoca ex art. 2901 c.c., infatti, l’elemento soggettivo riferibile al terzo acquirente non può in alcun modo consistere nella generica supposizione di una situazione critica della parte venditrice, dovendo risultare da elementi conoscitivi chiari e precisi. Del resto, tali difficoltà neppure esistevano. Al di là del pignoramento immobiliare estinto alla vendita direttamente dall’appellante, gli eventi degli anni successivi hanno dimostrato che non esistevano squilibri gravi dei conti aziendali delle venditrici, che sono, infatti, tuttora in bonis. La società acquirente, quindi, ha concluso la ricorrente, non aveva nè poteva avere alcuna conoscenza della natura pregiudizievole della compravendita stipulata.

7.10. Nè rilevano le modalità di pagamento del prezzo e la misura dello stesso. Innanzitutto, se si tiene conto che nella dichiarazione del 7/12/2000 il T. e il D.V. avevano menzionato un complesso industriale, e cioè l’immobile con le attrezzature ivi esistenti, oltre al terreno, si deve raffrontare il prezzo ivi indicato, pari a 2 miliardi di Lire, con il prezzo del capannone, pari a Lire 1.150.000.000, il prezzo delle attrezzature, pari a Lire 870.000.000, e il prezzo del suolo di proprietà della Centro Gomme Pomigliano, pari a Lire 180.000.000, per la somma complessiva di Lire 2.300.000.000. In secondo luogo, la corte ha omesso di considerare che il prezzo, come risulta dall’atto del 13/4/2001, è stato pagato, per Lire 731.188.500, con i titoli allegati in copia e consegnati nelle mani del notaio fino all’avveramento della condizione sospensiva di cui all’art. 7 del contratto, mentre, per la residua parte, pari a Lire 418.811.500, è stata pacificamente versata alla banca per ottenere la liberazione del capannone dalle formalità pregiudizievoli iscritte e trascritte dalla stessa.

7.11. Nè, infine, ha concluso la ricorrente, rileva, ai fini della prova della scientia fraudis, la conoscenza dell’unica formalità pregiudizievole, una volta che la società acquirente, venuta a conoscenza dell’ipoteca e del successivo pignoramento, ha concordato con la venditrice una modalità di pagamento di parte del prezzo che estinguesse direttamente quel debito. L’acquirente, in definitiva, con salvezza delle altre formalità non ancora apparenti per le quali si è cautelata con la condizione sospensiva prevista dall’art. 7 del contratto, si è determinata a comprare nella consapevolezza che la situazione giuridica del bene e della controparte fosse tornata normale e priva di pregiudizi.

8.1. Con il quinto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., del R.D. n. 1736 del 1933, art. 82 e dell’art. 2901 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nelle parti in cui la corte d’appello ha ritenuto che la Sviluppo non avesse fornito la prova del pagamento del prezzo sul rilievo che la copia degli assegni circolari allegate in atti sono relative solo alla parte frontale e mancano della parte retrostante, per cui non è possibile evincerne l’incasso.

8.2. Così facendo, però, ha osservato la ricorrente, la corte d’appello, intanto, ha omesso di considerare che il mancato pagamento costituisce un’eccezione non rilevabile d’ufficio e che, nella specie, non era stata eccepita da alcuno. La corte, quindi, ha violato gli artt. 112 e 115 c.p.c., lì dove è stabilito il principio dell’ammissione implicita dei fatti non contestati. Ne consegue che, non essendo stata oggetto di specifica contestazione e, pertanto, di eccezione da parte del T., ogni questione relativa al pagamento del prezzo di acquisto era preclusa alla corte ed, inoltre, pacifica, nel senso che tutte le parti concordavano nel ritenere avvenuto il suddetto pagamento.

8.3. La corte d’appello, inoltre, ha aggiunto la ricorrente, non ha considerato che, a norma dell’art. 82 L. assegni, l’assegno circolare è il titolo di credito che reca un’obbligazione cambiaria diretta della banca, che lo emette su richiesta di un proprio cliente mediante addebito in conto o previo versamento dell’importo corrispondente, ed è considerato, sul piano economico, come un mezzo di pagamento sostanzialmente equiparato alla moneta. Il compratore, quindi, è liberato dall’obbligazione del pagamento del prezzo mediante la consegna degli assegni al venditore, spettando, invece, a chi ne contesta l’effettivo incasso, la prova di tale eccezione mediante richiesta alla banca del venditore del relativo estratto conto se, come avviene di regola, questi ha versato gli assegni sul proprio conto corrente, ovvero dalla contabilità della banca stessa, che registra l’eventuale presentazione del beneficiario presso i propri sportelli. In ogni caso, il pagamento dell’assegno circolare spetta alla banca emittente, mentre a chi richiede l’emissione dell’assegno o degli assegni circolari è precluso, a differenza di quanto accade nell’assegno bancario, di procurarsi una copia fronte-retro dell’assegno dopo la sua negoziazione.

9.1. Il quarto ed il quinto motivo, da trattare congiuntamente per l’intima connessione dei temi trattati, sono infondati.

9.2. Intanto, la Corte rileva che il rigetto dei primi tre motivi ha determinato il passaggio in giudicato della sentenza impugnata relativamente tanto alla sussistenza di un vero e proprio contratto preliminare ed al suo inadempimento da parte delle promittenti venditrici, quanto all’obbligo in capo alle stesse, conseguente alla sua risoluzione, di restituire al T. la somma a suo tempo incamerata a titolo di caparra, in tal modo sancendo il definitivo accertamento del credito di quest’ultimo nei loro confronti e, segnatamente, per quanto ancora rileva, nei confronti della società D.V. s.r.l., che ha poi compiuto l’atto traslativo, impugnato dal creditore (oramai definitivamente tale) con l’azione revocatoria, in favore della società ricorrente.

9.3. L’azione revocatoria, del resto, può essere proposta non solo a tutela di un credito certo, liquido ed esigibile, ma in coerenza con la sua funzione di conservazione dell’integrità del patrimonio del debitore, quale garanzia generica delle ragioni creditizie, anche a tutela di una legittima aspettativa di credito (Cass. n. 5359 del 2009, con riguardo ad azione revocatoria proposta a garanzia di un credito scaturente da una sentenza di condanna non ancora divenuta definitiva).

9.4. Quanto al resto, la Corte non può che evidenziare come la ricorrente, attraverso le plurime censure esposte con i motivi in esame, ha finito, in sostanza, per sollecitare una inammissibile rivalutazione, in sede di legittimità, del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio. La valutazione delle prove raccolte, infatti, anche se si tratta di presunzioni (Cass. n. 2431 del 2004; Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 1234 del 2019), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, in effetti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Com’è noto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame. La corte d’appello, invero, dopo aver valutato i documenti e le prove raccolte in giudizio, ha, in modo logico e coerente, indicato le ragioni per le quali, sia pure in via indiziaria, ha ritenuto, in fatto, la sussistenza di tutti presupposti richiesti per l’accoglimento dell’azione di revoca.

9.5. Del resto, come questa Corte ha più volte affermato, il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria (cd. eventus damni) ricorre non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l’onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (Cass. n. 16221 del 2019; Cass. n. 19207 del 2018; Cass. n. 1902 del 2015). Il fondamento dell’azione revocatoria ordinaria non è, infatti, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore ma soltanto il compimento di un atto che – con riguardo alla data dello stesso e non a quella futura dell’effettiva realizzazione del credito (Cass. n. 16986 del 2007) – renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito (Cass. n. 16986 del 2007). A questo proposito, la sostituzione di un immobile con il denaro derivante dalla compravendita – come nella specie – comporta di per sè una rilevante modifica qualitativa della garanzia patrimoniale, in considerazione della maggiore facilità di cessione del denaro (Cass. n. 1896 del 2012).

9.6. Peraltro, quando l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio che l’atto di disposizione da lui compiuto, diminuendo la garanzia patrimoniale, può arrecare alle ragioni dei suoi creditori nonchè, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga (e generica) consapevolezza in capo al terzo contraente: la relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità salvo che per vizio di motivazione (cfr. Cass. n. 16221 del 2019; Cass. n. 3676 del 2011; Cass. n. 13404 del 2008; Cass. n. 7507 del 2007). Nel caso di specie, la corte d’appello ha ritenuto che costituissero indizi della consapevolezza, in capo alla società acquirente, del pregiudizio che l’atto di vendita arrecava alle ragioni creditorie vantate dal T. verso l’alienante, tanto il fatto che il prezzo pagato dalla Sviluppo s.r.l. era notevolmente interiore rispetto a quello promesso dallo stesso T., tant’è che le stesse promittenti venditrici avevano quantificato il danno da mancato guadagno in Lire 520.000.000, quanto il fatto che il prezzo pattuito di Lire 731.188.500 era risultato versato prima del rogito, che ne dava quietanza, senza, però, che ne fosse stata provata l’effettiva corresponsione. La ricorrente, dal suo canto, pur lamentando la corretta valutazione di siffatte presunzioni, non ha formulato nei confronti della sentenza impugnata alcuna censura in termini di di violazione o di falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. (come pure è possibile: cfr. Cass. n. 29635 del 2018, per cui, in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione, e cioè la gravità, la precisione e la concordanza, fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3, competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta; Cass. SU n. 1785 del 2018, in motiv.), sollecitando, piuttosto, un inammissibile riesame delle risultanze istruttorie. Del resto, in caso di vendita dell’unico bene immobile di proprietà del debitore, l’esistenza e la consapevolezza del debitore e del terzo acquirente del pregiudizio patrimoniale che tali atti recano alle ragioni del creditore, ai fini dell’esercizio da parte di questi dell’actio pauliana, possono ritenersi in re ipsa, a meno che non sia fornita la prova – nella specie, neppure prospettata – da parte di chi ne abbia l’interesse, che il patrimonio residuo del debitore sia sufficiente a soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (Cass. n. 7507 del 2007).

9.7. Nè, infine, rileva la circostanza che gli assegni utilizzati per il pagamento del prezzo fossero assegni circolari, di per sè idonei, come tali, a dimostrare il pagamento (rimasto, peraltro, incontestato) del relativo prezzo. Intanto, il mancato pagamento del prezzo (o meglio, la mancata prova dell’effettivo pagamento del prezzo da parte dell’acquirente) costituisce senz’altro questione che il giudice, ai fini della prova indiziaria della scientia damni dell’acquirente, può esaminare d’ufficio, a prescindere dalla circostanza che il suo versamento effettivo del quale, del resto, non è stata prospettata la specifica deduzione in giudizio da parte dell’acquirente – non è stato specificamente contestato. Quanto al resto, la Corte si limita a rilevare che, in caso di pagamento mediante consegna di assegno circolare, l’estinzione dell’obbligazione con l’effetto liberatorio del debitore si verifica solo quando il creditore acquista concretamente la disponibilità giuridica della somma di denaro (Cass. SU n. 26617 del 2007).

10. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

11. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

12. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto all’art. 13, comma 1 quater del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 7.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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