Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22038 del 03/09/2019

Cassazione civile sez. II, 03/09/2019, (ud. 08/03/2019, dep. 03/09/2019), n.22038

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28850/2014 proposto da:

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DELLA

VITTORIA 9, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ARIETA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.R., P.A., Z.A., PE.IN.,

P.B., P.S., P.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI, 235, presso lo studio

dell’avvocato VALERIO COLASANTI, rappresentati e difesi

dall’avvocato TOMMASO LONGO;

– controricorrenti –

e contro

D.P.E., M.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2998/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/03/2019 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 18.3-8.5.2014, la Corte d’Appello di Roma, in conferma della sentenza del Tribunale di Velletri N. 166/2005, dichiarava lo scioglimento della comunione di un terreno in comproprietà tra i fratelli P.L., Si. e Re. e disponeva l’assegnazione del bene a Pa.Si., stabilendo un conguaglio in favore degli altri condividenti.

In via preliminare, e per quanto ancora rileva nel giudizio di legittimità, la corte territoriale non ravvisava una causa di nullità nella mancata fissazione, da parte del Tribunale, dell’udienza di precisazione delle conclusioni a seguito della richiesta di attribuzione del bene da parte di Pa.Si., in ragione della natura del giudizio di divisione, in cui l’assegnazione del bene costituisce una modalità di attuazione dello scioglimento della comunione. Confermava l’attribuzione del terreno a Pa.Si., il quale, pur non essendo titolare di una quota maggiore, aveva concluso un preliminare avente ad oggetto l’acquisto delle quote ereditarie di Pa.Re. e D.P.E..

Rigettava l’appello incidentale di M.V., presumendo che l’omesso deposito del fascicolo di parte comportasse rinuncia all’impugnazione e che non fosse, peraltro, consentito verificare la tempestività del gravame.

Nei giudizi di merito, intervenivano Z.A., P.S. e P.R., eredi di Pa.Si., Pe.In., P.M., B. ed A., eredi di Pa.Re., D.P.E., moglie di P.F. e cessionaria della quota della figlia P.I., nonchè M.V., in qualità di creditore del fallimento di P.I..

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P.L., sulla base di sei motivi.

Hanno resistito con controricorso Pe.In., P.M., B. ed A., eredi di Pa.Re., Z.A., P.S. e P.R., eredi di Pa.Si..

Sono rimasti intimati D.P.E. e M.V., nei cui confronti il collegio, all’udienza camerale del 4.10.2018, ha disposto l’integrazione del contraddittorio.

In prossimità dell’udienza, il ricorrente ha depositato memoria difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Per ragioni di priorità logico-giuridica, va esaminato il sesto motivo di ricorso, con il quale si deduce la nullità della sentenza di primo grado, per violazione dell’art. 189 c.p.c., in quanto il Tribunale, all’udienza del 10.6.2005, a seguito della richiesta di attribuzione del bene avanzata da Pa.Si., aveva trattenuto la causa in decisione senza fissare l’udienza di precisazione delle conclusioni.

Il motivo non è fondato.

Nel giudizio di divisione, la richiesta di attribuzione di beni determinati ai sensi dell’art. 720 c.c., attiene alle modalità di attuazione della divisione: la composizione delle quote, infatti, non modifica nè la causa petendi, nè l’oggetto del giudizio, ma attiene solo alle modalità di scioglimento della comunione in base alla stima dei beni ed è rimessa alla valutazione del giudice di merito (Cass. n. 9655 del 2013). L’istanza di attribuzione ex art. 720 c.c., pur tendenzialmente soggetta alle preclusioni processuali, può, quindi, essere avanzata anche in sede di precisazione delle conclusioni o in grado di appello, ogni volta che le vicende soggettive dei condividenti o quelle attinenti alla consistenza oggettiva e qualitativa della massa denotino l’insorgere di una situazione di non comoda divisibilità del bene, così da prevenirne la vendita, che rappresenta l’extrema ratio voluta dal legislatore.

Il giudice di primo grado, pur avendo trattenuto la causa in decisione senza fissare l’udienza di precisazione delle conclusioni, a seguito della richiesta di attribuzione del bene da parte di Pa.Si., non ha violato l’art. 189 c.p.c., trattandosi di richiesta che poteva essere formulata anche in grado d’appello.

Con il primo motivo di ricorso, deducendo la violazione dell’art. 720 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente si duole della motivazione della corte territoriale, che, pur emendando la decisione del primo giudice che aveva assegnato l’immobile a Pa.Si. quale maggior quotista – mentre egli era titolare della medesima quota degli altri condividenti – ha confermato la decisione di assegnare il bene al predetto, per avere egli concluso un preliminare di acquisto di due quote dei condividenti; in tal modo il giudice d’appello avrebbe erroneamente equiparato il titolare della quota maggioritaria con il promissario acquirente della quota.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per contrasto tra la motivazione ed il dispositivo della sentenza, perchè, pur avendo la corte territoriale ritenuto che Pa.Si. non era titolare di una quota maggiore rispetto agli altri coeredi, non avrebbe tratto le necessarie conseguenze dalla sua affermazione, rigettando la sua richiesta di assegnazione.

Con il terzo motivo di ricorso, deducendo la violazione dell’art. 720 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, si chiede a questa Corte di stabilire se la discrezionalità del giudice debba trovare un limite nei principi di correttezza e buona fede tra condividenti e se sia conforme a tali principi sottoscrivere un preliminare di acquisto di quote degli altri comunisti in corso di causa, per essere favoriti nell’attribuzione dell’immobile nonostante si versi in condizioni di parità delle quote rispetto agli altri condividenti.

Con il quarto motivo, si censura la sentenza impugnata per omesso esame dei contrapposti interessi degli altri condividenti attraverso la decisione di assegnare il bene al promissario acquirente delle quote degli altri due coeredi.

Con il quinto motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, consistente nel comportamento processuale di Pa.Si., che aveva mutato la domanda nel corso del giudizio di primo grado rispetto alle conclusioni cristallizzate nell’atto introduttivo e, successivamente, in grado d’appello.

I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

L’art. 720 c.c., non obbliga il giudice ad attenersi necessariamente al criterio della quota maggiore, nel caso in cui uno o più immobili non siano comodamente divisibili, riconoscendogli la legge il potere discrezionale di derogare al criterio della preferenziale assegnazione al condividente titolare della maggior quota, purchè assolva all’obbligo di fornire una adeguata e logica motivazione della diversa valutazione di opportunità adottata. La preferenza all’uno piuttosto che all’altro degli aspiranti all’assegnazione si risolve in un tipico apprezzamento di fatto, sottratto come tale al sindacato di legittimità (Cassazione civile, sez. II, 05/11/2015, n. 22663; Cassazione civile, sez. II, 04/07/2014, n. 15396).

Nella specie la corte territoriale, pur prendendo atto che Pa.Si. non era titolare di una quota maggiore, ha ritenuto che l’assegnazione in suo favore fosse giustificata dalla circostanza che avesse concluso un preliminare con altri due condividenti, con il quale si era impegnato ad acquistare le loro quote.

Si tratta di una valutazione discrezionale, fondata su una circostanzedi fatto, la sottoscrizione del preliminare di acquisto di altre due quote, alle quali il ricorrente non ha contrapposto specifiche circostanze sulla base delle quali avrebbe dovuto essere preferito nell’assegnazione del bene (Cass. 14 settembre 2011, n. 18783).

Non sussiste, pertanto, alcun contrasto tra motivazione e dispositivo, in quanto la corte, pur dissentendo con l’affermazione del primo giudice, che aveva qualificato Pa.Si. quale maggior quotista sulla base della mera promessa d’acquisto delle quote, è pervenuta alla medesima decisione, accogliendo la richiesta di attribuzione di Pa.Si. sulla base di diversa motivazione.

Del tutto apodittico, oltre che proposto per la prima volta in sede di legittimità, è il richiamo alla contrarietà ai principi di correttezza e buona fede essendo facoltà dei condividenti disporre della loro quota nel corso del giudizio di divisioni, attraverso negozi ad effetti reali od obbligatori, come il preliminare di vendita.

Insussistente è il vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, che, secondo la granitica interpretazione di questa Corte, deve riguardare fatti storici decisivi per il giudizio e non la violazione di norme processuali; nel caso in esame, non costituisce fatto decisivo per il giudizio la circostanza che Pa.Si. abbia richiesto l’assegnazione del bene in corso di causa, contrariamente alle posizioni assunte con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado.

La decisione, come dianzi precisato, è anche conforme al diritto, in quanto la richiesta di attribuzione può essere proposta nel corso del giudizio ed anche in grado d’appello, attenendo alle modalità di attuazione dello scioglimento della comunione.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 8 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2019

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